– Ha raggiunto l’amatissima moglie Laura, Antonio Giovenzana, 88 anni, l’ultimo socio fondatore della sezione del Cai di Gavirate. Oggi alle ore 11 si svolgeranno le sue esequie nella chiesa parrocchiale di san Giovanni evangelista.
Dover scrivere di lui è un onore, tanto ha saputo interpretare al meglio i valori dell’alpinismo, dell’amicizia e della solidarietà. Lo diceva il suo comportamento quotidiano, lo dicono quei preziosissimi volumi fotografici che attestano le sue scalate degli oltre 4mila metri, i suoi diari minuziosi, in cui traspaiono pezzi di autentica umanità. Testimone della tragedia del Dente del Gigante il 15 agosto 1951, in cui persero la vita amici a lui carissimi, ne scrisse con struggente dolore.
Per ricordarlo è meglio il silenzio e lasciarlo parlare attraverso i suoi scritti che ci fanno gustare la bellezza del creato e dell’amicizia. Da una pagina scelta a caso del suo diario, in cui non parla delle importanti scalate, ma della sua esperienza in campo umanitario nel 1992 a Moroto in Uganda presso la missione di don Vittorione, un’esperienza per lui immensamente gratificante: “Sovrastante Moroto si erge un monte brullo con chiazze di vegetazione, sterpaglie e una croce bianca – opera di qualche missionario – ne indica la sommità. Più volte ero stato tentato di salirvi, ma era stato sconsigliato da don Vittorio. Nel torrido pomeriggio di una domenica, approfittando della siesta di tutti, con una borsa a tracolla e l’immancabile macchina fotografica, presi la via che mi parve più logica per arrivare in cima a quel monte. . Dopo circa due ore vi arrivai. Seduto su un masso, in un silenzio quasi irreale, sognai di essere sul Ruwenzori, sul quale tanto desideravo salire. All’improvviso “Antognò, Antognò! E poi una cantilena tanto familiare: erano otto ragazzini del villaggio, piccoli amici che mi stavano sempre appresso. Mi abbracciarono ridendo con i loro denti smaglianti e quegli occhini dolcissimi. Come avessero potuto evitare, scalzi, quelle spine così robuste che per tre volte mi avevano perforato le suole delle scarpe, proprio non riuscivo a spiegarmi, ma ero tanto felice di averli con me! Come sempre la macchina fotografica finì nelle loro mani perché si sentivano importanti. Finale: il sogno si era avverato: “il mio Ruwenzori” era stato quella piccola cima, che valutai la più alta mai conquistata”.
Federica Lucchini
Varesenews
L’articolo di Federica Lucchini in occasione del 70°
GAVIRATE ANTONIO GIOVENZANA
“Nell’immediato dopoguerra le scarpe erano una diversa dall’altra come cuciture e formato, scelte da un mucchio di oggetti di residui militari che il buon amico ciabattino, Giulietto Ossola, conservava accanto al banchetto di lavoro e che saggiamente furono da lui trasformate con chiodatura, lucidatura e una buona stringatura in pelle: divennero invidiabili”. Nel 2007 il vecchio scarpone, acquistato nel 1985, non riuscì a reggere il peso dei tanti chilometri percorsi in montagna da Antonio Giovenzana e mentre era sul ghiacciaio che avrebbe condotto l’alpinista, nel giorno del suo ottantesimo compleanno, al Rifugio Sella “è andato in frantumi, neanche fosse un pezzo di cristallo”. E’ particolare: il percorso alpinistico e soprattutto umano di Antonio – 109 cime scalate oltre i 4000 metri – può essere illustrato attraverso la storia delle sue scarpe: compagne preziose che gli hanno permesso di essere fedele ai dettami del suo maestro, il compianto medico Annibale De Molli: in montagna non si va soltanto con i muscoli, ma si va soprattutto con il cuore. La montagna esalta e matura l’anima.
Domenica scorsa (16 novembre) con una mostra il Cai di Gavirate ha festeggiato in sala consiliare i 70 anni di alpinismo di Antonio. E’ stato un momento intensamente vissuto da molta gente che ha commentato le migliaia di foto da lui scattate durante tutte le sue innumerevoli escursioni in tutto il mondo e letto alcune pagine dei suoi diari, ricchi di passione e di fede. Pagine di una ricchezza umana infinita. Lui si scherniva, felice, accompagnato dai ricordi. “Tradurre in parole sentimenti così profondamente vissuti – scrive – può a volte costituire una barriera insormontabile. Salire non significa solamente andare in alto, ma è soprattutto elevarsi con lo spirito per avvicinarsi sempre più e gustare il sapore delle altezze, ammirando le bellezze del Creato. Se volgo il mio sguardo indietro, pur avendo sempre avuto l’alpinismo come filo conduttore di oltre 70 anni di vita, riesco di solito a tenere il conto degli anni che passano, ricordando le passeggiate e le salite più o meno impegnative e le tante avventure che ad esse mi legano. Purtroppo, però, pochi sono gli amici rimasti con cui poterle ricordare. Mi è comunque di conforto la certezza della validità dei nostri ideali.
Un particolare: il vecchio scarpone rotto – nello stile di Antonio – non è finito nei rifiuti: l’ha riportato in cima al monte dove tante volte aveva sostato con la moglie Laura. Federica Lucchini