GUARIRE E’ DAVVERO EDUCARE, MA BISOGNA FARE IN FRETTA, IL TEMPO PUO’ ESSERE MOLTO PREZIOSO
di felice magnani
A oltre settant’anni può anche sembrare di averne venti, di avere ancora la forza della giovinezza, si può anche peccare di presunzione, ma il tumore è lì a due passi. E’ silente, ti consuma senza che tu te ne accorga, silenzioso come un serpente. Non ha rispetto per chi sei, per quello che hai fatto e vorresti fare. L’unica via d’uscita? Credere, credere nel medico e nella medicina, amare chi dedica la propria vita per salvare quella degli altri, aprire il cuore a chi spesso non si vede ma c’è, in ogni istante, soprattutto quando il tema della vita e quello della sopravvivenza sono di gran lunga superiori a tutti gli altri. E’ nei momenti della malattia che gli uomini e le donne dei camici bianchi emergono in tutta la loro luminosa grandezza, è quando la sofferenza tenta di imporre le proprie leggi che la cultura, quella medica, conferma la sua forza e la sua determinazione, è quando il mondo sembra sparire nel vortice di una drammatica pandemia che la scienza con i suoi operatori dimostra quanto sia importante che uno Stato prenda coscienza di quanto sia fondamentale avere una Sanità all’altezza della situazione, proteggere e valorizzare quel mondo medico, paramedico e infermieristico che si prodiga giorno e notte nelle corsie degli ospedali, negli studi, nelle cliniche pubbliche e private, nei consultori e in tutti quei luoghi e agenzie dove una presenza, un atto, un gesto o una parola possono rimettere in moto la fiducia nella vita umana, quella fiducia che sta alla base di tutto e senza la quale il resto diventa fragile e instabile. Ci siamo mai chiesti chi sia il medico? Di quali valori sia portatore? Quale sia il prezzo che debba pagare quando è inviato a combattere sul fronte della vita, magari in condizioni di subalternità rispetto alla realtà che si trova di fronte? E’ in questa carenza d’identità che si perde gran parte della conoscenza umana, è nell’ignoranza quotidiana che si smantella quell’insostituibile impianto su cui sono state costruite la basi di una vita più sicura e garantista, è nella non conoscenza che spesso l’umanità svuota la propria carica ideale, quella che dovrebbe trovare la sua culla d’ingaggio nelle famiglie e nella scuola, quella scuola che sembra essere diventata l’ultima ruota del carro. Quando la vita civile, quella sociale, quella politica e quella correlata alla quotidianità si frantumano, è forse il caso di riprendere con forza il valore straordinario della scuola, la sua capacità di essere compagna e guida, di indicare ai giovani quelle vie di accesso che, se ben frequentate, comprese e indirizzate, possono compiere veri e propri miracoli. Ricostruire quell’impianto umano che la presunzione e l’arroganza spazzano via è il primo passo verso una presa di coscienza capace di rimodellare e di ricomporre quella voglia di vivere che è condizione essenziale per formare una società civile degna della propria identità. E’ soprattutto nei momenti difficili, quando la vita scappa di mano e pone una serie infinita di domande e di interrogativi, è quando il presente diventa una battaglia da vincere, che si scopre l’importanza di chi studia e lavora per aiutare l’umanità a essere migliore, a ritrovare nella salute del corpo anche quella dell’anima. Forse la scuola dovrebbe entrare negli ospedali, dovrebbe parlare con quelle persone dal camice bianco, dovrebbe cercare di capire il senso di una vita costretta a piegarsi, dovrebbe ripassare con umiltà e saggezza che cosa sia fondamentale imparare per dare un volto di socialità ampia e umana a quel mondo che ci ruota attorno, ma che spesso cerchiamo forse di evitare perché lo temiamo. Di solito si teme perché non si conosce abbastanza e la vita è senza dubbio quanto di più prezioso esista, da conoscere, coltivare, proteggere e salvaguardare. In questi mesi di pandemia capiamo una volta di più l’umanità e il coraggio di quel mondo medico e paramedico e infermieristico che anche a costo del sacrificio della propria vita combatte contro il male, forse per far capire a una umanità fragile e in molti casi poco attenta, quale sia la via più bella e sicura per rimettere in piedi un mondo che ha quotidianamente bisogno di essere ricercato, capito, accompagnato, sorretto e illuminato da nuove forme di speranza. Se capiti in qualsiasi ospedale, in qualsiasi momento della tua storia, hai la possibilità di capire sul campo che cosa siano i valori, che tipo di volto abbia quell’umanità di cui spesso ci dimentichiamo. Negli ospedali si apre un mondo che fa capire concretamente quanto sia fondamentale amare e sostenere quella Sanità spesso abbandonata al proprio destino. Mentre il Covid 19 continua a mietere le sue vittime, le persone dal camice bianco corrono e si prodigano, pensano, agiscono e sperano, lottano e accompagnano, senza tirarsi mai indietro, senza lamentarsi, con quella determinazione e quel senso di responsabilità che solo chi ama davvero la vita produce. Vederli è un po’ come riprendere a vivere, è come ritrovare il coraggio di sapere che qualcuno è pronto a sacrificarsi, per ridestare l’umanità che aleggia in ognuno. Amare la vita è amare soprattutto chi per essa dà la propria ogni giorno, senza tirarsi mai indietro, con l’animo disponibile sempre a ricostruire. E’ nell’impegno e nel senso del dovere della nostra Sanità che la società ha tutto il tempo e lo spazio per ridefinirsi, riaccendendo quella civiltà dell’impegno che rende ancora più grande e appetibile il preziosissimo dono della vita.