In quei dolcetti posti sul tavolo e preparati con grande difficoltà, considerate le ristrettezze che il conflitto in corso imponeva, c’erano racchiusi tutta l’ansia e lo spavento delle suore di Carità della Santa Croce, l’Ordine nato in Svizzera a Ingenbohl, che dal 1925 aveva la sua casa provinciale a Besozzo. C’era una di loro che parlava in tedesco e con grazia e abilità riusciva sempre a intrattenere questi soldati accompagnati dai repubblichini, loro alleati, che avevano intenzioni minacciose. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, una simile visita non lasciava nulla di buono da presagire. I dolci erano un pretesto per catturare la loro benevolenza. Li faceva accomodare, li faceva sentire a casa e non lesinava il tempo necessario per distrarli. Un tempo lunghissimo con il cuore in gola, nonostante la studiata cordialità. Quando poi, i militi, colpiti dall’affabilità delle religiose, se ne andavano senza nessun sospetto, allora le preghiere di ringraziamento si elevano al cielo: sarebbe bastato che uno di loro avesse voluto effettuare un’indagine nei locali dell’Istituto “Rosetum”, gestito per molte alunne, o nei locali della casa di proprietà che le porte del carcere si sarebbero aperte per loro. Alcune ragazze di origine ebraica, infatti, frequentavano la scuola sotto falso nome e in alcuni periodi erano presenti nella struttura ebrei che tramite una rete di collaborazione sarebbero poi transitati in Svizzera. Persone braccate che ogni giorno temevano per la loro vita. Un atto di altruismo ad altissimo rischio per le religiose che dal 1925 a Besozzo, grazie alla fondatrice, madre Cecilia Monti si occupavano di educazione tramite l’Istituto femminile di perfezionamento, Rosetum, messo sotto la protezione di santa Teresina, la santa delle rose. In quegli anni, la madre – prefetta (così si chiamava la responsabile delle alunne che frequentavano da interne) era suor Maria Cervetti, di origine pavese, che compì 100 anni nel febbraio del 2012 e dopo poco tempo morì. Lei ricordava molto bene quelle esperienze. C’è poi un altro dato che evidenzia il grande coraggio di queste religiose: nell’area attorno al loro istituto c’era un’altra costruzione che fu requisita come sede della federazione del partito fascista e come sede della 35^ brigata nera “Don Emilio Spinelli” di Arezzo, che aveva dovuto lasciare la città toscana, a seguito dell’arrivo degli alleati. Gente feroce che non esitava ad arrestare per un minimo sospetto. Nella proprietà delle religiose, quindi, era alloggiato il nemico e a pochi metri di distanza loro ebbero il coraggio di proteggere gli ebrei, sapendo tutti i rischi che avrebbero corso. Una sfida quotidiana all’insegna della preghiera e dell’altruismo. Una pagina di storia della nostra terra, questa, che merita di essere portata alla luce, grati a chi rischiava la propria vita per salvarne altre.
Federica Lucchini