“Il lago ce lo abbiamo in casa”. Sta in queste parole l’essenza di una famiglia di pescatori che richiama l’idea di un grande albero con radici profonde e nuovi rami verdi. La linfa è data da quelle acque che per generazioni l’hanno nutrito e ancora oggi permeano la sua vita in forme diverse. Gli Zanetti sono una grande famiglia unita: i quattro fratelli – Piergiorgio, Gianfranco, Roberto, Mauro- abitano con le famiglie chi a Gavirate, chi a Bardello, chi a Biandronno. L’unione è molto forte anche con le nuove generazioni in nome di quel lago che li ha cresciuti (“Era a 200 metri da casa nostra, lo sentiamo dentro. Per noi ha rappresentato il nostro orizzonte”, dice Roberto). La loro frequentazione quotidiana fa sì che registrino tutti gli “umori” e i cambiamenti anche lungo le rive. “Quando vediamo intaccate le sue acque per noi è come un’offesa, ci sentiamo coinvolti in prima persona. Ci sentiamo in qualche modo le sentinelle del lago”, aggiunge Mauro. Ognuno ha il suo ruolo: Gianfranco è uno dei quattro pescatori professionisti del lago di Varese, Piergiorgio il primogenito, è ornitologo di fama, Roberto, cacciatore, Mauro, speleologo, e storico della famiglia. La sua ricerca che dura da 40 anni ha dato origine ad un archivio di documenti sul lago, non solo cartacei, per la quale usare l’aggettivo “impressionante” non è assolutamente esagerato: “Un intero piano della mia casa è occupato da materiali: documenti, fotografie, libri, attrezzi da pesca o altri oggetti collegati alla cultura immateriale del lago. Ci auguriamo io e Tiziana di poter inventariare e studiare tutto a fianco dei nostri padri e zii che ci possono spiegare il loro utilizzo “, commenta il figlio Manuel, che della famiglia è il fotografo. “Siamo le nuove generazioni di una famiglia impegnativa”, aggiunge Tiziana per la quale gli studi di diritto dei beni culturali, oltre che vederla attiva nell’ambito universitario con incarichi di rilievo, ha permesso di ricongiungersi alla storia della famiglia. Fin da bambini i loro genitori avevano un compito: aiutare il papà nella pesca e la mamma nella pescheria a Gavirate. Si dovevano tagliare i pesci a filetto, sistemare le reti, oltre che a badare alla stalla. E’ interessante ascoltare l’animazione ricordata da Roberto quando racconta di lavori che tenevano impegnati lui e i fratelli maggiori, terminata la scuola. In particolare era la sistemazione delle retine con i sassolini per i pesci persici “dannatamente ingarbugliate”, racconta Piergiorgio che rubavano tempo al gioco. E quei sassolini bianchi che servivano come pesi (prima dell’introduzione degli anelli metallici) li andavavano a cercare, come in un gioco che non era tale -era già la vita dei “grandi”- ma che la fantasia di un bambino assegnava alla leggerezza.
Anche i tappi di sughero delle bottiglie, abbondanti al Circolo di Voltorre, una volta tagliati servivano come galleggianti, così come il piombo fuso veniva utilizzato come peso per affondare le reti. “Papà e Gianfranco pescavano di notte -aggiunge Roberto- e noi di giorno pulivamo le reti dalle alghe, che facevamo scorrere su un bastone di bambù, evitando i grovigli (“I scisciun”, in dialetto). Le arrotolavamo attorno ad un bastone per portarle al lago”. Non dimentica la costruzione dei bartavelli e le reti in inverno quando il lago non gelava e si poteva pescare. Aggiunge poi la sua anima di cacciatore: da 30 anni tiene un diario giornaliero sul meteo, sul passo degli uccelli. Una panoramica precisa che permette di avere a disposizione informazioni dettagliate. Nella sue parole c’è il cuore e la precisione. Mauro apre un capitolo che evoca momenti di dolore: “Quando il lago era balneabile purtroppo ci sono stati casi di annegamento e -spiegano all’unisono i fratelli- le famiglie delle vittime arrivavano disperate a casa nostra a Voltorre sapendo della nostra conoscenza delle correnti, dei fondali e ci chiedevano aiuto. Sono state esperienze di dolore”. Al padre toccò di recuperare il figlio Mauro che il 21 luglio del 1966 rischiò di annegare. Fu l’unico che trasse dalle acque vivo essendo vicino alla riva: un dono, forse un miracolo del lago. Quel lago che continua a dare senso e sentimento alla loro vita.
Federica Lucchini