VALCUVIA: INCENDI E ANTINCENDI
Gli incendi storici che colpirono la valle
Nel corso dei secoli, la Valcuvia fu colpita da gravissimi incendi che distrussero rioni o boschi alcuni dei quali sono rimasti nella memoria della gente. Il più antico di cui si ha conoscenza e che forse fu anche il più grave, risale al 1564 quando il paese di Orino fu totalmente bruciato e se ne conservano ancora le documentazioni all’Archivio di Stato di Milano. Fu un rogo immane dove perirono svariate persone, sopratutto bambini piccolissimi, ma dove arsero anche numerosissimi animali imprigionati nelle stalle. I danni procurati furono enormi e per venire incontro alla popolazione rovinata, le autorità sospesero il pagamento delle tasse per alcuni anni, prassi questa, che era l’unica in uso in epoche dove non si concepivano aiuti finanziari diretti dallo stato e tanto meno esistevano le assicurazioni.
Un incendio leggendario fu quello che colpì la l’archivio della Chiesa di San Lorenzo ne primi decenni del 1600. Si dubitò di vari colpevoli: si disse di un canonico o di un debitore della Chiesa, i quali, per motivi differenti volevano distruggere documenti compromettenti, ma ci fu chi vide in quel rogo una misura preventiva contro il contagio della peste imperversante in quegli anni.
Nel 1636, il 20 luglio, toccò a Gemonio ad essere messo a ferro e fuoco delle truppe alleate Franco-Piemontesi, durante la Guerra dei Trentanni. Per vendicarsi di non aver avuto i viveri e i foraggi pretesi, la soldataglia si accanì su ogni cosa: saccheggiò e sventrò case e chiese, rubò animali, usò il foraggio per far da letto ai cavalli e disperse le riserve di grano. Quando si ritirò portò via tutto ciò che poté ed il resto lo bruciò insieme al paese. La gente si salvò perché fuggì prima.
Il Millesettecento, è invece passato alla storia come il secolo delle inondazioni e fra tutte, quella del 14 ottobre 1755, quando un’enorme frana squarciò entrambi i versanti della valle, procurando danni ingentissimi ad ogni paese, causando la morte di dieci persone e lasciando centinaia di famiglie rimaste senza tetto. Una catastrofe immane.
Il fuoco ritornò a fare danni invece il 2 luglio del 1839, a Cassano quando l’intiera contrada detta la Stretta bruciò un giorno e due notti prima di venire domato. Fortunatamente non ci furono vittime ma duecento persone rimasero senza casa. Il 17 dicembre 1906 fu Brinzio a subire un grave incendio che distrusse parecchie case, causò innumerevoli danni ma fortunata mente non fece alcuna vittima, che invece ci scappò nell’incendio di una stalla nel maggio di due anni dopo, quando morì asfissiato un bambino.
Dopo la seconda Guerra Mondiale fu il Monte Nudo a ardere a causa di un gigantesco rogo che mandò in fumo interi ettari di bosco. Incendio, si disse, di origine dolosa che vanificò il grande lavoro di rimboschimento con 160 mila piante, operato nel 1902 dall’Ing. Enrico Peregrini.
L’ultimo memorabile incendio che colpì i nostri paesi fu quello che, la notte del 13 agosto 1950, distrusse la fabbrica d’organi Mascioni di Comacchio. I danni furono ingenti allo stabilimento e agli organi in costruzione, e la produzione fu costretta a fermarsi per due mesi.
La macchina idraulica
Fra i vari documenti del mio archivio, ve n’è uno del 7 gennaio del 1844. Si tratta di una convocazione per il Consiglio Comunale del comune di Cuvio indetto per il 3 febbraio successivo nel quale, a conclusione dell’ordine del giorno, si doveva deliberare ‘se il comune crede di far acquisto mediante associazione di più comuni di una o più pompe idrauliche per estinguere gli incendi’.
Si tratta di una notizia notevole dalla quale si apprende come già oltre un secolo e mezzo fa, si valutava il mezzo migliore per limitare gli incendi che tanto mettevano preoccupazione. Questa macchina idraulica fu di fatto acquistata congiuntamente dai comuni di Cuvio, Brenta, Caravate e Gemonio che l’ebbe in deposito. Si trattava di grossa vasca nella quale veniva versata acqua che, tramite una leva azionata a forza di braccia da due uomini, veniva pompata in tubi o canne e diretta sulle fiamme con una certa pressione. Non era gran ché ma sempre più efficiente che non la catena di secchi da sempre usata.
Il macchinario, costruito dalla ditta ‘Gilli e Micheli’, al momento del bisogno, doveva essere portato con un carro o a mano nelle vicinanze di una fontana o di un corso d’acqua. Non si conosce fino a quando fu usato (nel 1898 fu utile ancora a Gemonio), si sa però che nel 1979, arrugginita, era conservata come anticaglia, nel parco delle scuole medie di Gemonio dove l’Architetto Gianni Pozzi l’ha fotografò. Tempo dopo gli stradini la gettarono via. g.r.