“Ma che posto è?”. Quella mattina del 2011 la domanda di Ginetta al marito Giuseppe Bartoccini suonò veramente strana: il massiccio del Monte Rosa, che si staglia nella sua interezza di fronte alla finestra di casa a Voltorre, era sempre stato motivo di ammirazione per loro in tutte le ore del giorno. Ora a lei appariva un posto sconosciuto. Una domanda incomprensibile la sua. Un campanello d’allarme? Poco per volta giunse la conferma anche nel modo di gestire la casa da parte di Ginetta (l’apparecchiare per cinque commensali al posto di due, ad esempio). L’Alzheimer si stava manifestando in modo sempre più evidente. Ed equivalse ad un precipizio. La storia vissuta dai coniugi Bartoccini è simile a quella di migliaia di famiglie colpite dal morbo. Perché raccontarla? Il percorso intrapreso da Giuseppe, che come tutti i famigliari i quali devono assistere all’evolversi della malattia toccano il fondo della disperazione, a un certo momento ha avuto come una inversione ad U. Non improvvisa, naturalmente. Prima il decadimento cognitivo di Ginetta è significato incredulità, solitudine -molti parenti e amici non si sono più visti per la difficoltà di interagire con lei- poi il disperato bisogno di cercare un aiuto perché Giuseppe non conosceva la malattia. La lettura di tutti i libri del professore Pietro Vigorelli, l’appoggio all’associazione Varese Alzheimer e a mano a mano la consapevolezza che il suo disorientamento doveva tramutarsi in resilienza, Certo, la presenza di una figura di cui la moglie ha saputo percepire la capacità di entrare in sintonia con lei, è stata determinante per potersi allontanare da casa alcune ore del giorno. “Ho capito che era fondamentale che io mi volessi bene per me stesso -spiega. Così potevo essere d’aiuto”. Ed è stata quella la scialuppa che lo ha salvato. Determinante è stato anche l’incontro con alcune persone che pareva sentissero il suo bisogno di essere sostenuto, ma soprattutto di trovare una via nuova per poter fare uscire quella sorgente sotterranea che non trovava sbocco. O meglio lo aveva sempre trovato ma ora gli era impedito: cioè quella di dare agli altri. Con la moglie già malata si è impegnato in manifestazioni sempre con un occhio attento alla disabilità come “Vietato frenare”, nell’ambito della Pro Loco. “E’ improponibile!” è stata la sua espressione quando il giornalista Michele Farina suggerì l’idea dell’Alzheimer Fest. “Ma come si fa a organizzare una festa basata su un contesto di dolore?”, è stata la domanda di Bartoccini. Eppure l’idea che ci si potesse divertire tutti assieme a lungo andare poteva essere vincente. “Ed è nato -aggiunge- quel momento che per chi lo vive appieno ha dell’incredibile: una serie di eventi anche in contemporanea, diversissimi, allegri, colti, dove la persona affetta da demenza si mischia con gli altri visitatori, provenienti da diverse parti d’Italia. Quest’anno si ripeterà ed avrà come motivo conduttore “Oltre l’indifferenza” verso tutte le fragilità”. Motore di tutto l’associazione “Progetto Rughe” che lui ha contribuito in modo determinante a far nascere, contro lo stigma, in un processo di aiuto alle famiglie. La sorgente aveva trovato la sua strada e Gavirate nel frattempo era diventata comunità Amica delle Persone con Demenza. Ora che la moglie Ginetta è scomparsa, è bello un ricordo significativo: dopo una giornata felice le dissi: “Sai Ginetta che ti voglio bene?”. E lei: “Adesso che comincio a conoscerti, anch’io!” “Mi sentii commosso: avevo nuovamente conquistato mia moglie, dopo tutto quello che avevo fatto per conquistarla la prima volta!”, conclude.
Federica Lucchini