“Ho lavorato con un santo, il dottor Giuseppe Ambrosoli, che mi ha insegnato a fare il medico e a guardare i malati”. Giuliano Rizzardini, direttore del Dipartimento Malattie Infettive dell’ospedale Sacco di Milano, in occasione della festa della Repubblica, nel parco di Villa Tatti Tallacchini ha ricevuto dal sindaco Silvio Aimetti un encomio per la sua azione altamente meritoria durante la pandemia. E’ tornato, accolto festosamente, dopo anni, nel paese dove è vissuto fino alla laurea. E dove, ricorda con un sorriso, era conosciuto come “el fiö de la banca” per l’attività paterna. Felice di ritrovare l’amico, Livio Felloni, medico di base a cui è stata conferita la cittadinanza onoraria. Conoscere la sua storia professionale che lo ha condotto a dirigere uno dei centri che ha affrontato il Covid in prima linea significa incontrarsi con la figura luminosa che lo ispira ancora in ogni atto, tanto è stato coinvolgente il suo insegnamento di uomo e di medico: “Tutte le volte che mi trovo in difficoltà, mi chiedo come avrebbe fatto il mio maestro”. Già, quel medico indicato dalla Chiesa Cattolica come venerabile e in odore di beatificazione, che lui ha conosciuto nel nord dell’Uganda nel 1985, quando con la moglie ha deciso di seguire un progetto di cooperazione italiana. Rizzardini ricorda con un sorriso l’input che gli venne offerto da una amica, mentre a Gavirate stava bevendo un aperitivo in una pasticceria dopo aver partecipato alla messa. Appena laureato non aveva ben chiari i suoi progetti e quell’invito “Ma perché non vai in Africa?” fu determinante. Giunse in Uganda in piena guerra civile e in quel contesto insanguinato ebbe modo di apprezzare maggiormente la figura di Ambrosoli (1923-1987) che “guardava il bene nella sua interezza. Riusciva a entrare in rapporto con il malato in modo commovente, facendolo sentire al centro della sua attenzione. E soprattutto non si negava mai nei contesti più difficili della guerra. Ricordo i sacrifici immani a cui si sottopose e alla fine gli costarono la vita durante il trasferimento forzato del nostro ospedale da Kalongo a Lira. Soprattutto senza di lui non avremmo retto all’isolamento”. Rizzardini porta nella sua famiglia un dono di Ambrosoli: fu lui che fece nascere la sua prima figlia. Vengono da quella prima esperienza i suoi studi in termini di approfondimento dell’Aids e delle malattie infettive. Nell’attuale suo ruolo ha vissuto a contatto con la violenza della pandemia. “Ricordo la prima notte a Codogno. Noi nella pianura in mezzo alla nebbia, vestiti con tute che ci facevano apparire marziani, lo sgomento che ci attanagliava. E’ stata commovente la dedizione degli operatori sanitari. Sono stato fortunato nella mia attività -termina- Vedo ora pazienti, malati da anni di Aids che conducono una vita normale, ho visto pazienti guarire di epatite C e soprattutto ho visto la risposta eccezionale della comunità scientifica nell’attuale frangente”.
Federica Lucchini