Giorgio in breve ci racconta
Ho parlato della censura postale militare. Tutte le lettere, cartoline, telegrammi e anche pacchi postali venivano controllati. E’ stato calcolato che durante i tre anni di guerra le missive censurate furono 5 miliardi, una quantità immane superiore a qualsiasi altro paese belligerante. La censura non era solo militare, ma anche civile. Venivano controllate lettere e cartoline dal fronte per l’interno e viceversa, ma anche la posta civile interna e per l’estero e viceversa. Il primo lavoro di censura lo facevano gli uffici militari da campo, poi le missive venivano inviate in una delle quattro direzioni ci censura poste nelle città di Bologna, Genova, Milano e Treviso.
Per i censori era un lavoro immane perché, giornalmente venivano spedite dal milione e mezzo ai due milioni e mezzo di cartoline e lettere. Nell’estate del’17 toccarono addirittura i 4 milioni. A lungo andare gli uffici si intasarono ma piuttosto che consegnare le missive e i pacchi senza un controllo, si preferì distruggere quintali di materiale. Il motivo per così tante missive stava nel fatto che un soldato, che poteva morire il giorno dopo, trovava consolazione nello scrivere giornalmente a casa, e stessa cosa era per i parenti. Anche per i giornali la censura era rigida, tutte le notti, i giornali venivano letti da addetti e ciò che non era conforme veniva cancellato così che i giornali si presentavano con spazi bianchi, a volte pagine. Eclatante fu il caso del ‘Popolo Varesino’, foglio democratico poco ligio alle direttive, che il 19 settembre 1917 uscì completamente bianco per protesta. I giornalisti dovevano avere particolari permessi per andare al fronte – l’Avanti non ne ebbe – e poi dovevano scrivere di atti di eroismo e non delle carneficine, esaltare e non infondere preoccupazioni. Anche la spagnola, l’epidemia che causò più morti della guerra, fu censurata.
Ho poi brevemente narrato del Corpo di spedizione nella Siberia russa inviato dall’Italia, come altri stati occidentali, per combattere al fianco degli zaristi contro i bolscevichi rivoluzionari. Un corpo di appena 1500 soldati di cui ottocento trentini e triestini, ex sudditi austriaci, fatti prigionieri dai russi e sbandati dopo la rivoluzione. Erano soldati con le mostrine nere e perciò vennero chiamati ‘Battaglioni Neri’. Rimasero in Siberia due anni, fra inverni freddissimi, fino a -52°, e alcune scaramucce, e nel 1920 vennero richiamati. Giunsero in patria proprio nel bienni rosso, dove socialisti e comunisti manifestavano e scioperavano per la grave situazione economica, un momento non certo favorevole per chi era andato in Russia a combattere il comunismo. Il governo per tenere calmi gli animi, preferì tacere, arrivando addirittura a negare in parlamento che un corpo militare fosse mai stato inviato in Russia. Una forma di censura anche questa.
Giorgio