La montagna vissuta. La montagna fonte di guadagno. La montagna amata, luogo naturale di vita in cui contadini e boscaioli erano consapevoli di essere custodi di un patrimonio di grande valore. La montagna simbolo di fatica, ma che dava i suoi frutti a piene mani, in cambio della cura che le veniva rivolta. Ora, che Parco del Campo dei Fiori ha subito devastazioni per il recente maltempo al punto che in certi tratti non esiste più il bosco, è doveroso raccogliere una testimonianza che racconta di un tempo oggi impensabile in cui ci si inoltrava nei boschi, di piccola-media proprietà, con i carri trainati dai buoi. Gianenrico Ossola, orafo, 65 anni, ricorda questi momenti perché da bambino li ha vissuti nella frazione Cugnolo, testimone di un’epoca -quella contadina- che stava volgendo al termine. E’ salito anche lui sul carro con suo padre Angelo, su su verso il forte d’Orino, passando dalla strada militare. Ha impresso nella memoria l’attenzione che veniva dedicata ai sentieri per facilitare il passaggio, creando cunette e scoli laterali perché l’acqua, in caso di piogge abbondanti, perdesse la sua forza distruttiva, spargendosi nei boschi che crescevano a lato, molto curati e dove l’erba veniva tagliata come cibo per gli animali. “E ad ogni passaggio -spiega- ci si voltava per vedere se il peso del carro non avesse scombinato tutti questi accorgimenti. Se succedeva, ci si fermava e si sistemava il tutto. Ciò avrebbe costituito un vantaggio per noi e per gli altri. La comunità del bosco viveva grazie alle attenzioni nei confronti della montagna. E la montagna dava la legna. I campi attorno a casa, coltivati a grano, frumento, mais, patate servivano come alimento per le famiglie. Era un’economia di autoconsumo. Il guadagno scaturiva dalla vendita del legname. “Per trasportarlo a valle, si raggiungeva il sentiero n.10 con il carro a quattro ruote. Oltre -spiega Ossola- la salita diventava sempre più ripida e allora si usava quella che chiamavamo la “baroza”, un carretto a due ruote su cui erano fissati due assi che toccavano terra e su cui veniva legata la legna. Oltre ancora, ci si serviva di specie di teleferiche su cui erano agganciate le corde”. Importanza assumeva in paese la figura del falegname che costruive i carri e in particolare le ruote. Spettava poi al contadino, oliarle ogni mattina per fare scorrere meglio i perni. “Gli alberi -riprende- erano tagliati da persone competenti, i boscaioli, in media ogni 20 anni, sempre d’inverno, tra novembre e marzo. Venivano fatti crescere frassini, rovere, ciliegi. Anche le fascine avevano la loro importanza: servivano per accendere i forni o venivano consegnate legate ai pescatori, che le ammucchiavano nel lago perché i pesci persici vi deponessero le uova nei mesi di febbraio-marzo. Nulla veniva abbandonato. L’erba tra un albero e un altro era tagliata perché costituiva il foraggio per gli animali. C’erano poi i pascoli, dove le mucche rimanevano fino in autunno. Quando cadevano le foglie, tutte erano raccolte perché avrebbero costituito il letto per le mucche e trasportate nelle stalla con il “sciuè”, una specie di gerlo. Gianenrico non dimentica la presenza dei ciliegi: tanti, che hanno costituito un’altra fonte di guadagno: nell’arco di dieci giorni veniva effettuato il raccolto e trasportato sui carri al mercato di Varese. I castagni, oltre per il frutto (già nel Medioevo la montagna era apprezzata per le “silvae castanae”) che veniva fatto essiccare, erano considerati per il loro legno che costitutive un ottimo sostegno per le viti ed era apprezzato per accendere il forno e cuocere il pane. Non è da tutti avere bisogno di funghi per preparare il risotto e in breve, senza bisogno di acquistarli, uscire nel bosco vicino casa e portare un mazzetto di ovuli, o porcini, o le cosiddetto mazze di tamburo. Era una uno dei tanti doni del bosco, assieme ai mirtilli, ai fiori, quali mughetti, ciclamini, narcisi. Le volpi, le lepri i fagiani erano presenze familiari. La descrizione di Gianenrico non vuole essere idilliaca, perché la montagna era sinonimo di schiene piegate intente in lavori faticosi, di visi sudati, di mani screpolate. Ma soprattutto di un’armonia tra uomo e natura.
Federica Lucchini
Video Da Varesenews