Dicono che il loro è solo un servizio. Si scherniscono. Eppure quando aprono quella piccola porta, che costringe a chinare il capo, ed entrano in quello spazio esiguo delimitato da mura possenti, “imbevute” di storia millenaria, la loro funzione assume una “colorazione” particolare: perpetuano, infatti, un’attività che qui, a Voltorre, risale presumibilmente all’epoca romanica, tanta è l’età della torre che domina il chiostro. Sarebbe lunghissimo (e impossibile a sapersi) l’elenco dei nomi di tutti i campanari che quotidianamente e per tanti secoli, facevano suonare le campane per le funzioni religiose e per ogni evenienza che riguardasse la comunità. Loro – Claudio Lunardi, Fiorenzo Calzi ed Ettore Riva (quest’ultimo per ragioni di salute suona ora raramente) – ne ripetono i gesti, dividendosi i compiti. Certo, non suonano più la campana risalente al Duecento, fusa dal Magister Blasinus Stemalius de Lugano, ritenuta una delle più antiche della Lombardia e ora nella casa parrocchiale in quanto rotta, ma tre campane che comunque sono state fuse nel 1912 dalla ditta Angelo Bianchi & Figli. Hanno la loro età e hanno avuto il privilegio di non essere fuse per ricavarne cannoni: si tramanda che l’allora parroco, don Luigi Macchi, si parò davanti alla porta della torre, opponendosi all’ordine fascista, e dicendo che si sarebbe dovuto passare sul suo cadavere, se si avesse voluto portarle via.
I compiti sono suddivisi e rispettati rigorosamente “in quanto – affermano in coro – la comunità aspetta i richiami delle campane: 30 minuti prima della celebrazione della messa, durante i battesimi, i matrimoni le campane vengono tutte e tre suonate a festa, lasciandole libere, sciolte. Quindi suona il campanone in si bemolle con la sua scritta “A fulgure et tempestate libera nos Domine”, la mezzana, un Do da 70 cm. dedicata a Maria Addolorata, e la più piccola, di nota Re, dedicata a san Giuseppe. Quando, invece, si tratta di un funerale – continuano – sono 33 i ritocchi: c’è un “don” poi piano piano si lascia andare la corda di canapa; si riprende lasciando passare un lasso di tempo come se si volesse accompagnare il corteo”. Tocchi speciali per ricreare l’agonia del Signore sono quelli delle ore 15 di ogni venerdì. A questi si è dedicato per anni il campanaro emerito, come viene definito simpaticamente, Ettore Riva. Alla festa patronale di san Michele, invece, il procedimento è diverso: viene usata la vecchia tastiera con tre tasti in legno posta nella cella campanaria. Un maestro campanaro, chiamato appositamente, spinge i tasti collegati con un filo di ferro al battaglio. Fra i nomi dei campanari che hanno preceduto gli attuali un caro ricordo è legato all’Amelia: vestita di nero, con la sua bicicletta arrivava puntuale e suonava, felice di essere al servizio della sua chiesa di Voltorre.
Federica Lucchini