La vita militare del ventiquattrenne Cesare Ribolla gli ha aperto un mondo che, partito dalla curiosità, ha investito le corde più profonde del suo animo e si è allargato sempre più fino a coinvolgere tutti i soldati gaviratesi deceduti durante la prima e la seconda guerra mondiale. “Fanno parte ormai di me”, afferma. Per ognuno di loro ha compilato una scheda. Sembra che i militi caduti gli vengano incontro per chiedergli di non essere dimenticati e lui li ascolta. Attraverso il linguaggio burocratico fa sgorgare la vita e quella che definisce “la catena del dolore”: i familiari preoccupati per la mancanza di notizie del figlio al fronte si rivolgevano al sindaco Paolo Maggioni (rivestirà la carica fino al 1919). Lui con il prevosto don Vittorio Brunetti, ricevuta la comunicazione del decesso del giovane, avvenuta solitamente mesi prima, si dirigeva a piedi a casa dei genitori per dare la dolorosa notizia “con tatto”, come veniva suggerito dai comandi militari. E i gaviratesi, che ormai conoscevano cosa significasse quell’accompagnarsi delle due massime autorità del paese, seguivano per essere di conforto, mentre già le campane suonavano a morto. La geografia dei luoghi di sepoltura è vastissima: da Salonicco, a Reims, per citare alcuni esempi. “Non moriranno fino a quando racconteremo la loro storia -spiega Sgherbini quando va a raccontare delle sue ricerche nelle scuole- Finito l’intervento mi sento esausto”. Quel percorso che è partito dalla curiosità, lo ha investito come una missione, mentre il raggio della ricerca si allarga sempre più. Recentemente, è stato lui che ha contribuito in modo determinante al ritrovamento nel cimitero italiano d’onore di Amburgo delle spoglie di un alpino di Voltorre, Dante Buzzi, deceduto in prigionia durante la seconda guerra mondiale. Con la sua precisione e la sua tenacia, scopre anche dei falsi storici. Di quel Cesare Ribolla, che ha dato l’input alle sue ricerche, ha trovato con grande emozione la tomba al cimitero monumentale di Milano: ha visto il suo volto, ha conosciuto i suoi desideri, le sue aspirazioni leggendo le lettere. Sotto la sua foto, la data di nascita, il 20 gennaio 1894 e quella di morte, 25 novembre 1918. Poi la scritta: “morto eroicamente”. Sulla sua ultima cartolina scriveva: “Mio amato papà, le invio la presente per dare mie notizie e far sapere che mi trovo in ospedale per causa febbre d’influenza. La febbre sempre continua, ma speriamo in bene. Cari bacioni a tutti, tuo Stefano”. Dopo qualche giorno, morì di Spagnola. L’enfasi fascista voleva tutti eroi, non uomini con le loro paure. “Io al loro posto come mi sarei comportato?”, mi chiedo quando leggo le loro vicende”, termina Sgherbini.
Questo suo viaggio nella memoria dura da dodici anni, da quando un rigattiere ha scovato in una soffitta quattro pacchetti di lettere dal fronte, scritte da un fante milanese deceduto durante il primo conflitto mondiale, e glieli ha donati, chiusi in una scatola di scarpe. Legate accuratamente con nastrini che ancora denotano l’amore di chi li ha conservati, sono complessivamente 422 missive suddivise negli anni della guerra. Cesare Sgherbini, presidente dell’Anpi di Gavirate, le ha lette e con una ricerca lunga sempre più approfondita, di quelle che non si accontentano dei dati, ma li confrontano e li verificano, fra documenti d’archivio, lettere al Ministero della Difesa, fogli matricolari è riuscito a ricostruire quale è stata la sua fine e dove ora è sepolto.
Federica Lucchini