Era la Firenze del quartiere Rifredi quella che Galeazzo Torsellini, 85 anni, vetraio molto conosciuto per la sua competenza, abilità e simpatia, scomparso in questi giorni, citava sempre nei suoi ricordi: una vita sulle strade, animata, attorno a piazza Dalmazia con la sua grande quantità di botteghe, il cinema Flora, e lui bambino, discolaccio, curioso, mai fermo che visse anche la guerra nella sua crudeltà. Dall’alto di un tetto durante le sue scorribande assistette ad una fucilazione da parte dei tedeschi. E quella scena inattesa rimase sempre scolpita nella sua memoria: i corpi che caddero a terra e quel rumore sinistro della mitragliatrice che il solo ricordo lo faceva ancora rabbrividire. Ma c’è stata anche la Firenze della Liberazione nell’agosto del 1944 dove lui, sgattaiolando tra gli adulti, vide arrivare quegli strani soldati con il gonnellino e la cornamusa. Quella parata scozzese nella sua mente, in mezzo al tripudio di gioia, rimase indissolubilmente legata al successivo arrivo degli americani che dai carri armati lanciavano scatole di latta contenenti latte condensato. Ed era grazie agli americani che divenne un accanito fumatore: afferrò subito il pacchetto di sigarette che gli venne lanciato e poi altri ancora. Il vizio lo mantenne fino a quarant’anni quando decise di sostituirlo con la bicicletta. Quindicenne, giunse nella nostra terra a seguito del cognato (rideva al ricordo del viaggio sui sedili lignei della Ferrovie Nord che gli richiamavano quelli del Far West) e trovò il nostro lago un luogo da sogno. Raccontare il suo successo lavorativo significa percorrere la strada intrapresa dai piccoli artigiani durante gli anni del boom economico: un crescendo di attività legato all’edilizia, allo sviluppo industriale. Lui meticoloso con il vetro sapeva osare, aveva confidenza. Stupiva gli alunni in visita al suo laboratorio con la sua magia: ne prendeva uno sottilissimo, alzava le braccia, le allargava e lo lasciava cadere godendo della preoccupazione dei bimbi che, esterrefatti, quando aprivano gli occhi, lo vedevano in terra intero. La sua grande abilità aveva fatto in modo che si piegasse come una foglia. La voglia di scherzare gli era connaturata: per accentuarla aveva in negozio un merlo indiano, Checco, che accoglieva i clienti e che non mancava di ripetere le imprecazioni toscane. C’era un cliente che non si fidava della robustezza e della resistenza di un vetro? Niente paura. Per dimostrargli il contrario saliva lui stesso in piedi su una mensola dello stesso spessore. La miglior dimostrazione che affermava il vero. I macchinari erano molto semplici, il lavoro tanto. Stretto era il rapporto con i suoi dipendenti, schietto, diretto: spesso in estate chiudeva la vetreria alle 17,30 e tutti assieme andavano a fare il bagno nel lago di Monate. Per divertirsi assieme, ma anche per sottolineare quanto tenesse al rapporto umano. Galeazzo Torsellini ha avuto la gioia di veder proseguire la sua attività nelle mani dei figli Mara e Roberto, nati in vetreria, pronti a cogliere ogni innovazione, portando il loro nome all’estero.
Federica Lucchini