Menta e Rosmarino

Per date gusto, sapore e profumo alla vita del paese

  • Comuni
    • Azzio
    • Besozzo
    • Caravate
    • Cazzago Brabbia
    • Cittiglio
    • Cocquio Trevisago
    • Cuvio
    • Gavirate
    • Gemonio
    • Laveno Mombello
    • Orino
    • Altri Comuni
  • Il Giornale
  • Libri
  • Arte
  • Chiesa
    • Don Hervè
Sei qui: Home / Comuni / Cittiglio / Frammenti 9 di Felice Magnani

Frammenti 9 di Felice Magnani

 6 Febbraio 2019 |  Pippo | |

ABBASSARE I TONI E DIALOGARE DI PIU’

Gli educatori di una volta insegnavano a parlare sottovoce, a non disturbare la classe, a non urlare nei luoghi pubblici, credevano talmente tanto nella voce del silenzio che ne predicavano sistematicamente la forza e la bellezza, a volte anche con determinata tenacia e perseveranza. Era il tempo in cui l’educazione passava trasversale dentro la quotidianità, la esorcizzava, la teneva sotto controllo, la educava a comportamenti meno spavaldi e più adeguati, capaci di creare lo spirito giusto per pensare, agire, parlare, giocare, insomma si pensava che non ci fosse bisogno dell’urlo animalesco per attirare l’attenzione. Era un modo per creare una misura, per dimostrare che la voce possiede un contesto tutto suo, nel quale esprime ed elabora la sua attività comunicativa nel pieno rispetto delle regole. Adottare uno stile è fondamentale, facilita la comprensione, favorisce l’attività del pensiero, soprattutto quando questo si materializza e si propone, con l’intento di dimostrare quanto sia importante ragionare sulle cose, prima di farle. Uno dei temi fondamentali dell’educazione di una volta era la riflessione, quella cosa che i preti ci avevano insegnato sotto forma di esame di coscienza. Prima di confessare le tue colpe dovevi trascorrere un po’ di tempo a riflettere sulle cose non buone che avevi fatto. Non era una scemata inventata tanto per rompere le scatole al prossimo, ma un raffinato ed elegante atto educativo, promosso per prendere coscienza, per rendersi conto di quanto fosse importante soffermarsi sugli sbagli commessi, per non commetterli più. L’educazione incideva sistematicamente sui comportamenti umani; tutti, genitori, insegnanti, preti, educatori vari seminavano le regole del buon vivere, ciascuno con il proprio metodo, la propria preparazione, la propria cultura, in ognuno c’era la sacra voglia di trasmettere, di far imparare, di rendere migliori, di aprire la cassaforte della bellezza esistenziale a chi la stava cercando. La libertà personale era un diritto, ma soprattutto una conquista ragionata e ponderata, impregnata di tanto senso del dovere. Era estremamente difficile incontrare un ragazzino che si sarebbe permesso di dare del tu a un adulto o di mancargli di rispetto. Certo non tutti erano santi, i discoli c’erano anche allora, ma erano ben consapevoli che trasgredire significava incorrere nell’imprevedibile correttivo, che in molti casi poteva anche essere un efficace sganassone. La psicologia non era ancora entrata a larghe mani nel panoramico educativo tradizionale, le regole venivano tramandate con le parole e con l’esempio, a ogni mancanza corrispondeva una punizione, nessuno era disposto a farsi mettere i piedi in testa e le autorità esercitavano la loro funzione stando al proprio posto, non c’era pericolo di invasioni di campo. Il genitore si faceva rispettare, l’allenatore idem, così come l’educatore, l’insegnante, il sacerdote, l’uomo d’ordine, era praticamente impossibile ledere il sacrosanto principio della libertà personale, del ruolo e dell’autorità. Nella semplicità generale c’era un grandissimo contenuto morale, non c’era infatti bisogno di avere la laurea o il diploma per capire che alcuni comportamenti erano contrari al buon senso e che avrebbero creato seri problemi alla società civile. La società aveva una configurazione gerarchica ben delineata, all’interno della quale si poteva vivere dignitosamente senza trasgredire. Il cittadino sentiva dentro di sé e accanto a sé la forza dell’esercizio educativo, inizialmente forse lo rifiutava, ma poi capiva che aveva una sua caratterizzazione logica e che era funzionale al proprio stato. L’educazione diventava così il simbolo di una società avanzata, che faceva propri i principi di una Costituzione dialogante, che metteva il cittadino con le spalle al muro, dicendogli per filo e per segno che cosa avrebbe dovuto e potuto fare per vivere con serenità la propria esistenza. La divisa, ad esempio, era un segno distintivo di grande rilevanza. Per chiunque era un freno, un attimo per riflettere sulla propria condizione, su una parola o su un atto, era insomma il simbolo di una legge che invitava a riflettere prima di agire, che si poneva come momento di verifica personale nel rapporto con la realtà, che sapeva essere severa e comprensiva contemporaneamente e che, proprio per questo, trasmetteva il senso del rispetto. La parola dovere, ad esempio, aveva un ruolo fondamentale, tutti ne parlavano, tutti cercavano di dimostrarne l’autorità e la bellezza, la capacità di saper trasformare la fatica, l’impegno e il lavoro nella realizzazione di un bene comune. Fare il proprio dovere era uno degli insegnamenti principe di una sana educazione familiare e i genitori te lo facevano capire in tutti i modi, con le buone o con le cattive. Nessuno si sarebbe mai permesso di opporre resistenze, di rifiutare o di prevaricare, quello che i genitori trasmettevano con il loro comportamento bastava per far capire e far riflettere. La famiglia aveva un ruolo decisivo, guai mancarle di rispetto. Sapeva stare al suo posto, non avrebbe mai messo in discussione il comportamento di un insegnante, la regola era che se il figlio aveva preso una nota o uno sganassone era perché se li era meritati. La fiducia nella scuola era totale. La scuola era l’istituzione per eccellenza, il luogo da rispettare e da amare, dove conoscenza, ordine e disciplina dovevano avere la meglio su tutto. La prima cosa che un genitore chiedeva all’insegnante era: “Come si comporta, mio figlio?”. Tutto partiva da lì, dal comportamento del figlio. L’educazione era fondamentale, eppure molti papà e mamme non avevano fatto studi particolari, venivano dal mondo del lavoro, dalle fatiche quotidiane, dalle difficoltà e dalla miseria. Guai però mancare di rispetto, il rispetto aveva un ruolo fondamentale, più ancora di tutto il resto. Erano genitori che uscivano dalla guerra, che conoscevano molto bene il valore della libertà, che sapevano esattamente che cosa bisognava fare per conquistarsela e per tenersela cara. Altri tempi, altre storie, ma la storia che conta non deve buttare via nulla di quello che ha appreso e insegnato. Dialogare non vuol dire cedere sempre il campo o diventare concessivi sempre, significa impostare l’incontro educativo nella massima chiarezza, mettendo bene in chiaro che ogni costruzione, per poter reggere alle intemperie del tempo, ha bisogno di fondamenta solide, a prova di terremoto. E’ questo che manca oggi, la volontà di essere veri, di essere attenti, di non aver paura di dire che certi comportamenti sono sbagliati, generano disorientamento, confusione, impediscono ai giovani di vedere chiaro nel guazzabuglio politico che si trovano di fronte. Riesce difficile immaginare come in una società evoluta come quella italiana, che pure vanta un’evoluzione tecnologica straordinaria, con fior di giovani geniali e creativi e, con una genialità invidiata nel mondo, assistiamo spesso a diatribe avvilenti, ad antagonismi eccessivi, a piccole e gradi guerre di palazzo che non aiutano a concretizzare tutta quella bella voglia di far bene che anima il cuore della nostra gente.

UN EGOISMO SPAVENTOSO

I giovani sono amati davvero? La società degli adulti è veramente convinta che deve preparare il terreno a chi la sostituirà? Si sta lavorando sulla formazione giovanile? Si cerca di aiutare la famiglia a essere il punto di partenza di una grande e profonda rinascita generazionale? Viviamo un momento difficile, in cui mancano punti di riferimento stabili, siamo in balìa di comportamenti ondivaghi, che sfociano spesso nell’indifferenza e nel qualunquismo, nell’arbitrarietà e nel personalismo. Da una parte ci sono i buonisti che pensano di risolvere tutto con una bella azione o con una buona parola esemplificativa, dall’altra ci sono quelli che vedono nero e che non muovono un dito per ridare vita al colore, poi ci sono i furbi che vedono tutto, sentono tutto, capiscono tutto, ma fanno finta di niente, perché è molto più comodo chiudere gli occhi e continuare a coltivare l’orticello privato, senza interferire. La mafia nasce un po’ anche così: nessuno vede, nessuno sente, nessuno parla. E’ tipico dell’omertà, che permette al male di proliferare, di fare proseliti. In questi anni ci siamo resi conto che il male serve e anche molto, ha una sua specifica funzione creativa e remunerativa. Favorisce corruzione, violazioni, sopraffazioni, violenze di ogni tipo, al punto che il cittadino si domanda sempre più disorientato, come possa proliferare così bene e così in fretta. Il cittadino, di solito, parte dal presupposto che il bene dovrebbe snidarlo e contrastarlo. Una società funziona, infatti, quando tutti i suoi cittadini ne sono coscienti, la sanno amare, apprezzare, proteggere, difendere, migliorare, quando la realtà che hai di fronte ti appartiene, la senti viva, parte della tua vita quotidiana e, proprio per questo, la tratti con rispetto, cercando di farla diventare ancora più bella, trasferendo in lei una parte importante del tuo spirito e della tua anima. Uno dei grandi problemi di oggi è che il cittadino vede il male, le cose che non vanno, ma tira diritto, in parte perché è stanco, in parte perché ha paura, non è sufficientemente corrisposto per affrontare in tutta sicurezza, quella realtà che ha bisogno di essere cambiata. Nella storia di un paese c’è il cuore di chi lo abita. Quante emozioni, quante sensazioni, quanto impegno e quanta fatica, ma anche quanta gioia e quanta passione accompagnano le cose belle che si fanno, quanta dedizione e determinazione stimolano la voglia di fare e di fare bene. La parte più bella della natura umana è quella che passa con energia nella sfera comunitaria, dove le relazioni determinano il sorgere di nuove idee, nuovi spazi, nuovi progetti e nuove solidarietà. Uscire dall’egoismo e promuovere lo spirito comunitario applicandolo, è fondamentale per un paese che vuole essere all’altezza della situazione. Superare l’individualismo ed entrare nella sfera sociale è un passo decisivo verso l’acquisizione di un nuovo modo di osservare, di procedere e di realizzare. Non è facile, richiede una ferma convinzione e soprattutto una preparazione di base che solo chi si affida all’energia creativa della cultura, può offrire. Svuotarsi di tutti i sovrappesi, vivere ogni giorno come se fosse il primo, reinventando il gusto della vita, creare momenti di pura convivialità sociale e morale, creare un dialogo continuo, valorizzando la cultura individuale delle persone e la loro vocazione naturale, quella che le rende uniche da un lato e comunitarie dall’altro, avere un’idea chiara del paese o della città in cui siamo chiamati a esercitare il nostro pensiero e la nostra azione quotidiana, sono ingredienti che, se ben guidati e ben diretti, possono sviluppare forme assolutamente belle e democratiche di vita comune. Ogni paese ha una sua gerarchia, punti di riferimento precisi, si tratta in molti casi di individuarli e di farli vivere, di creare quella complementarietà e quell’ assonanza che può stimolare positivamente le potenzialità individuali che, se ben valorizzate, diventano della società, si aprono al confronto con quella realtà di cui sono parte integrante. Spesso manca una visione d’insieme, si tende a entrare nella logica dei primati, di varie forme di predestinazione, chi dovrebbe avere il compito di far convergere, di unire le forze in campo, ne favorisce la dispersione, privando la comunità di un sostanziale apporto contributivo. Una certa mentalità classista, tipica di una distorta società capitalistica, divide invece di accorpare e così le forze si disperdono, perdono per strada la loro forza coesiva, la loro capacità di alimentare la ricchezza sociale e morale di un paese. Questo succede quando chi comanda predilige l’affermazione personale a quella popolare, quando si lavora più per se stessi che per la comunità nella quale si è inseriti. Il mondo della cultura, ad esempio, avrebbe bisogno di un grande contributo universale, dimostrando che la conoscenza non ama i circoli chiusi, quelli un po’ viziosi, dove l’ego si amplifica fino a scoppiare, ma dovrebbe avere la forza di aprire le porte della partecipazione sociale, restituendo alla persona la sua dignità e la sua identità. Quante volte capita di vedere che a una democrazia espansiva se ne sostituisce una di natura oligarchica, dove l’intellighenzia resta confinata in ambiti ristretti e dove il popolo invece di essere il vero protagonista diventa vittima predestinata della furbizia umana, quella che pensa solo a se stessa, alle investiture che avrà, alla carriera, all’interesse pecuniario, al potere. La democrazia è una straordinaria conquista politica e sociale, ma bisogna prima di tutto capirla, volerle bene, saperla gestire, farla vivere, renderla viva e operativa, dinamica e contributiva, bisogna metterla nella condizione di poter alimentare la consapevolezza del diritto e del dovere, la forza e la bellezza della solidarietà sociale, il valore sociale di una cultura se sa guardare nel cuore e nella mente di tutti, rispettando la dignità dell’essere umano. Dunque uno dei tanti problemi è proprio quello di cambiare radicalmente il modo di pensare e il modo di agire, rendersi conto che la forza di una comunità è nel servizio, nella capacità di mettersi a disposizione di una realtà di cui tutti i cittadini siano garanti, lasciando perdere la smania del potere e quella del successo personale. La politica ha peccato molto in questo senso e continua a farlo, continua a produrre egoismi profondi, invece di insegnare l’arte della convivenza civile, del confronto solidale, della partecipazione e della convinzione che tutti siamo coralmente responsabili dell’evoluzione o dell’involuzione del piccolo mondo in cui abbiamo la fortuna di vivere. Una società sana non fa differenze tra giovani, meno giovani, anziani e vecchi, è una società che sviluppa una fortissima motivazione esistenziale, nella quale tutti i meccanismi si muovono all’unisono, in un rapporto di mutua convivialità, dove c’è sempre un’occasione di dialogo per tutti e dove la cultura quella vera, quella che non muore mai, resta l’argine sicuro a una deriva materialista e dove i sentimenti e le emozioni si comprimono fino ad annullarsi, lasciando il campo a chi della cultura non gliene frega niente, perché quello che realmente conta è il conseguimento del successo personale. E’ il momento del passo indietro, dell’esempio, della dimostrazione pratica che il cambiamento non dipende da qualcuno, ma da tutti gli esseri umani, nessuno escluso, compatibilmente con le risorse che il buon Dio ci ha voluto donare.

CI SONO PENSIERI…

Pensieri alti e bassi, pensieri che corrono, altri che restano, incapaci di generare. Ce n’è uno, in particolare, che attraversa l’uomo ogniqualvolta s’imbatte nell’armonia. E’ il pensiero di Dio, collegamento esistenziale che allarga lo spazio cognitivo e riserva momenti di pura idealità. Pensare a Dio è tentare una sortita nel mondo del mistero e della bellezza, dove le aspirazioni terrene mitigano la loro irruenza e una pace profonda si fa strada, restituendo il gusto di sentimenti pacati e di nuove speranze. Il pensiero di Dio corre nell’aria che respiriamo, nei colori che la illuminano, negli affetti profondi del nostro diario. Si tratta di un Dio difficile da decifrare, a volte in rotta di collisione con le avventure del mondo, ma sempre lì, pronto ad accogliere il disagio e la frustrazione, la malattia e la ribellione, pronto a concedere a chiunque una prova d’appello. Il pensiero di Dio consente un attimo di pura felicità, stimola ad alzare lo sguardo, a ridare slancio alle distrazioni. Pensare a Dio è umano e normale, soprattutto quando il cielo accoglie lo stupore terreno.

Cerca nel sito

  • Home
  • Contatti
  • Redazione
  • Privicy
  • Accedi

© Copyright 2013 - 2025 · Menta e rosmarino

Our Spring Sale Has Started

You can see how this popup was set up in our step-by-step guide: https://wppopupmaker.com/guides/auto-opening-announcement-popups/