LA SOVRANITA’ APPARTIENE AL POPOLO
Il popolo è l’anima di un paese, la parte nobile, quella che decide a chi spetta il compito di guidarlo. A lui i grandi costruttori della democrazia hanno affidato il compito di promuoverla e di proteggerla, lo hanno voluto investire di un compito straordinario. Spesso ci si domanda se chi lo rappresenta sia cosciente fino in fondo della delega che ha ricevuto, se sappia di essere figlio di un’anima molto grande, che guarda con attenzione e apprensione all’impegno dei propri figli. Nella sovranità popolare si coniugano i ruoli genitoriali, quelli che con grande fatica, ma con tanto amore, determinano la crescita materiale e morale dei figli, di coloro che un giorno dovranno dimostrare il valore di ciò che hanno appreso ed elaborato. Nella politica comune, così come in quella parlamentare, ogni rappresentante eletto è una parte fondamentale del popolo sovrano. Ogni parte è espressione di quella volontà, nei confronti della quale occorre sempre mantenere un’esemplare forma di rispetto. In questi mesi di aspri conflitti politici, il cittadino si è reso conto di quanto sia ancora lontana quella maturità dello stile democratico, che dovrebbe essere la base e non solo, dei rapporti politici e sociali. Nell’eccesso di identificazione si profila un’incauta e pericolosa caduta di stile e di maturità, tanto che il dialogo e il confronto si trasformano spesso in dimostrazioni di forza, ignare della componente democratica, quella che dovrebbe indirizzare l’impegno verso il bene comune, quel bene di cui si parla spesso, ma che in molti casi non trova spazi sufficienti per emergere. Come mai tanta inconsapevolezza e tanto livore? Che significato ha trasformare l’avversario in un nemico da abbattere a tutti i costi? Si può definire democrazia un esercizio prolungato di antagonismo viscerale, quando invece l’intelligenza dovrebbe dimostrare la forza e la bellezza di un confronto umano, morale, etico, elegante, costruttivo, capace di unire lo spirito di chi cerca di donare, sperando di essere capito e aiutato? Perché non riconoscere lo sforzo costruttivo di chi coltiva l’idea di poter fare meglio, di mettere in campo capacità che vadano oltre punti di vista o ideologie politiche e sociali di parte? Alla base della crisi di sistema che coinvolge e a tratti sconvolge la nostra democrazia c’è una sorta di accettazione passiva di fronte alla quale subentra uno sdegno di routine, ma i problemi, soprattutto quelli di natura relazionale e morale, non trovano soluzioni, anzi nella maggior parte dei casi tendono a proliferare e ad acuirsi. In questi mesi assistiamo a una crisi profonda del sistema democratico, che non è più strutturalmente capace di trovare un ordine, una dimensione, una modalità adeguata, è sempre più spesso chiuso in una fitta rete burocratica dalla quale risulta sempre più difficile uscire. Ci si domanda se questo sistema sia davvero in grado di rispondere in modo autorevole e convinto a qualcosa che imbriglia invece di sciogliere, che vincola invece di spronare, che si arrocca e si avvita su se stesso e da cui risulta sempre più difficile trovare vie d’uscita. Il quadro è quello di un conflitto che spegne, brucia, annichilisce, impedisce, annullando spesso, con la sua vera o presunta ambivalenza, il valore autentico di una norma o di una legge, arrogandosi primati che spianano la strada a interminabili conflitti, a dubbi, a perplessità e a incertezze che frenano pesantemente il ruolo dell’autorità nell’esercizio quotidiano. Il problema vero non è più l’aspirazione del cittadino alla giustizia e alla legalità, ma quella di un potere che rivendica l’autorità di interpretare e di esercitare il diritto in nome di una stranissima arbitrarietà personale. Avanti di questo passo la decantata sovranità popolare diventa ostaggio di individualismi e di personalismi che riducono il tema costituzionale a un rimbalzo continuo di responsabilità irrisolte. Succede sempre più spesso che la democrazia dimostri tutta la sua vulnerabilità sul fronte di quei valori in virtù dei quali è stata chiamata a definire la propria identità. L’anima popolare della democrazia è sempre più appetita da varie forme di oligarchia, anarchia, aristocrazia, per cui risulta sempre più difficile sciogliere i nodi che la chiudono in una sorta di prigione intelligente. Ci sono corpi dello stato, anima della democrazia, che sono perennemente in conflitto tra loro e la politica interferisce proprio là, dove giudizio penale e giudizio politico dovrebbero godere del massimo riconoscimento possibile. Anche dove l’amministrazione della cosa pubblica dovrebbe godere di una flessibile e sbrigativa operosità creativa, ci si scontra spesso con problematiche che nulla hanno a che vedere con il rispetto di una cosciente volontà costituzionale. Si è di fronte a una democrazia che non sa quali decisioni prendere, che si guarda attorno incerta e timorosa, che non riesce a scrollarsi di dosso quei lacci inutili che la costringono a una condizione di perenne subalternità, diventando spesso vittima di egocentrismi eccellenti, di prevaricazioni e di incongruenze varie, coltivate ad hoc da parte di chi immagina un mondo a propria immagine. Una democrazia fragile dunque, sempre più esposta all’arroganza e alla prevaricazione, sempre più costretta all’angolo da una giustizia che perde sul campo la sua energia decisionale. E’ in questa ridda di incertezze e difficoltà che, forse, varrebbe la pena di riprendere la Costituzione, avviando un processo di revisione e di consolidamento del suo profilo istituzionale, confrontandolo con un sistema in rapida mutazione e che, proprio per questo, ha bisogno di incontrare modalità e stili organizzativi che le infondano fiducia, entusiasmo e passione per rispondere con tempestività a un mondo che chiede continuamente conferme.
UN’EUROPA DA RIMETTERE IN ORDINE
E’ un momento difficile, uno di quelli in cui la storia si mette in discussione, a volte in modo caotico, nevrotico, insofferente, con l’inquietudine di chi non ha ancora ricevuto risposte adeguate, sapendo che la chiave di lettura sta nella capacità di essere sinceri fino in fondo, riconoscendo dubbi, manchevolezze, sbagli, errori, voglia di costruire, di creare e di fare nell’interesse generale. Che l’Europa non sia ancora al top lo sanno tutti, anche coloro che ascoltano e osservano in modo distaccato la realtà. Il vecchio continente è alla ricerca di un’unità che fatica ad arrivare, è in una fase delicatissima, dove si richiedono onestà, fermezza, buona volontà, capacità di saper superare errori e rancori, presunzioni e dominanze, è arrivato forse il tempo di mettere da parte la furbizia, i linguaggi esagerati, gli insulti, gli interessi personali, i muri, le chiusure, tutte quelle diversità che in natura esistono, facendo spazio a quell’energia creativa di cui l’Europa è palese dispensatrice nel mondo. Certo non è facile riconoscersi colpevoli delle cose che non vanno, fare un esame di coscienza senza il timore di dover perdere qualcosa, per diventare capaci di essere sostenitori di una civiltà che sappia interagire positivamente con le altre, nel rispetto delle reciproche libertà. E’ in questi casi che la politica e i politici dimostrano la loro forza e la loro misura, è costruendo con spirito di collaborazione, che la comunità internazionale ritrova la forza di uscire dalla povertà e dalla miseria, per affrontare con serenità e unità d’intenti il cammino di redenzione che l’attende. L’Europa è chiamata a una grande lezione di umanità, di capacità di saper smussare e di limare, di ridefinire con lealtà e coerenza quei principi e quei valori sui quali ha voluto fondare la sua carta costituzionale, superando quelle ombre che le hanno sempre impedito di essere se stessa. L’impegno maggiore è quello di rifondare con una coscienza nuova e più ampia, dove ogni stato valga per la qualità dell’impegno con cui assolve i problemi, per la capacità di affrontare le sfide del futuro. I tempi sono difficili, è complicatissimo riuscire a capire come il vecchio continente si ponga nei confronti di un mondo in costante mutamento e soprattutto cosa significhi sentirsi liberi in un tempo in cui la libertà è sempre più sottoposta al giudizio di volontà soprannazionali, alle quali bisogna saper rispondere con fermezza, ma anche con la convinzione di aver fatto tutto quello che era possibile fare per essere all’altezza della situazione.
L’EDUCAZIONE CIVICA E’ FONDAMENTALE
Le pagine dei quotidiani e quelle della tecnologia digitale percorrono in lungo e in largo gli spazi della condizione umana, mettendone spesso a nudo le difficoltà. Lo fanno con sagacia, con occhio attento, ma nella maggior parte dei casi dimenticano la pars construens , quella che parte sì da una riflessione, ma che punta a diventare propositiva, l’educazione infatti va costruita con il contributo di tutti, in particolare con quello di agenzie che del sistema educativo dovrebbero essere le garanti: la famiglia e la scuola. L’educazione ha una sua carta costituzionale, frutto del fortissimo impegno sociale di insegnanti, studiosi, esperti in materia e di uno stato garante della forza coesiva dei suoi cittadini. L’educazione è fatta di regole, perché l’equilibrio e l’armonia di una vita comunitaria si fondano soprattutto sul rispetto di principi comuni. Rendere comunitaria l’azione educativa significa far convergere l’attenzione delle persone su temi e problemi che la riguardano da vicino, perché l’educazione ha una sua natura estensiva, si allarga, tende a coinvolgere, a far convergere, a determinare, a fare chiarezza sugli obiettivi che si vogliono raggiungere. La regola non nasce per caso e non è mai fine a se stessa, è partorita da una necessità democratica, da un dovere civico, dalla necessità di riunire e consolidare l’importanza di comportamenti sociali. Certo non è facile far passare l’idea che la forza e la bellezza di un impegno nasca anche da qualche forma di natura impositiva, ma si sa che la vita umana è anche comprensiva di valori che senza autorità non starebbero in piedi. La disciplina è necessaria, le regole da sole non stanno in piedi se non c’è un ordine che le sorregga, che le unisca, che dia loro quel pizzico di ufficialità e di universalità che le renda ancora più forti, più vere e credibili. Se l’uomo ha deciso di darsi delle regole è perché ne ha sentito il bisogno, ha capito che, senza, ciascuno avrebbe agito in modo arbitrario e sarebbe così decaduto quel principio della oggettività, in cui la libertà riconosce i limiti in cui svolge e dilata la sua democrazia individuale. E’ la natura disciplinare della regola che la natura umana tende a non riconoscere, perché vede in essa un limite al cinismo della propria aspirazione libertaria. Si sa però che ci sono beni che vanno oltre la loro natura individuale e per la conservazione dei quali è necessario stabilire un metodo attuativo e conservativo. Il cittadino teme i provvedimenti, li teme perché è convinto che siano espressione di varie forme di totalitarismo, li teme perché non ama sentirsi costretto, vorrebbe essere libero di fare quello che vuole. Purtroppo la storia, nella maggior parte dei casi, non lo aiuta a crescere, tende a far passare per eccessivo ciò che è giusto e normale per costruire una società più equilibrata. Senza regole la storia sarebbe rimasta vittima di un individualismo molto più estremo di quello attuale, non avrebbe prodotto quelle forme di socialità che hanno contribuito a dare un orientamento più civile e umano alla nostra vita. Una società democratica ha bisogno di sentirsi protetta, aiutata, indirizzata e le regole hanno proprio questa funzione, quella di unire, mettendo le persone di fronte alle loro responsabilità individuali e sociali