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Frammenti 6 di Felice Magnani

 27 Gennaio 2019 |  Pippo | |

EDUCAZIONE CIVICA, UNA PILLOLA DI FELICITA’
Rivalutare l’educazione civica, insegnarla, inserirla come materia di studio, applicarla concretamente sul territorio di appartenenza, in modo sistemico, con criterio, potrebbe essere di grande aiuto a una società che perde di vista la forza e la saggezza del sistema istituzionale in cui è inserita. Oggi si fanno tante cose e forse in certi casi persino troppe, ma spesso vengono fatte in modo occasionale, saltuario, solo quando succede qualcosa di particolare, quando ci sono delle scadenze o delle ricorrenze o quando arriva la data di una manifestazione o quando vengono sollecitate. L’educazione non ha scadenze, ricorrenze o manifestazioni particolari, è un processo continuativo nel tempo, è la carta d’identità di un paese o di una comunità, il lasciapassare per dimostrare il livello di maturità raggiunto, è dinamica, non si ferma davanti a niente e a nessuno, anche perché il suo percorso è fatto di valutazioni, di certificazioni, di analisi e di sintesi, di confronti e di approfondimenti. La scienza educativa non si ferma mai, perché la società di cui è rappresentanza e simbolo ha una sua evoluzione costante. Uno dei grandi limiti della nostra cultura è nella sua stagnazione, nel suo essere sempre convinta di essere al top, di avere sempre le spalle coperte, di poter essere sempre duttile e pronta, mentre in realtà viene spesso presa in contropiede, proprio quando pensa di essere al sicuro dalle sorprese. Lo constatiamo molto spesso e in tutti i campi della vita, non c’è peggior errore di ritenersi al sicuro, di essere certi di aver già approntato tutto quello che c’era da approntare. Dai piccoli fatti ai grandi ci troviamo di fronte a una sequenza continua di inadempienze, di confusioni, di errori madornali, di incongruenze, di conflitti nati proprio dall’incapacità di saper studiare e valutare la realtà per quella che è, nella sua temporalità, nel suo essere figlia di un tempo decisamente frenetico e imprevedibile, che muta continuamente. Si nota spesso che manca una coerenza educativa nelle decisioni importanti, quelle in cui gli esseri umani dovrebbero avere un’ indiscussa centralità. Manca soprattutto una concretezza esecutiva. A parole si capovolge il mondo, ma nella realtà non si è preparati a orientare quel mondo disorientato e dismesso che ci troviamo di fronte e che ci guarda per capire che cosa debba fare per essere reintegrato a pieno titolo nella dimensione umana della vita. Educare i giovani alla gestione della cosa pubblica, creare momenti di apprendimento pratico, favorire la meritocrazia, premiare chi si distingue, rimettere in moto quel sanno meccanismo di competitività solidale che costringe le persone a tirar fuori il meglio di sé sono elementi che fanno riflettere, che costringono gli esseri umani a prendere coscienza di chi siano e di cosa sia quella realtà nella quale sono chiamati a sviluppare il loro sistema relazionale. Ma bisogna che il dialogo educativo non si fermi, continui la sua opera, fornendo tutti quegli elementi che sono necessari per evitare la stagnazione, per superare i muri, per rimettere in moto quella fiducia di cui il paese ha bisogno per vivere con meno apprensione gli errori di chi lo conduce, pensando che la verità stia solo da una parte. L’educazione insegna che la verità è una scoperta continua e che la si costruisce con il contributo di tutti.

I CONSIGLI CONTANO ANCORA?
C’è stato un tempo in cui i consigli erano importanti, li davano il papà e la mamma, il sacerdote, il professore e la maestra, il politico avveduto, l’amico e il libero professionista, insomma erano parte viva di un tesoretto che ogni tanto faceva capolino tra sgridate, prediche, omelie e affettuosità varie. Non sempre sortivano l’effetto desiderato, forse neppure quando erano accompagnati da espressioni suadenti e da parole dette col cuore, spesso erano interpretati come un vero e proprio impedimento naturale alla volontà individuale, salvo poi ripensarci e prendere atto che se si fosse ascoltato quel consiglio magari si sarebbe potuto evitare di cadere in quell’errore madornale. La natura umana non è sempre accogliente, neppure quando vorrebbe esserlo, c’è sempre una piccola coltre di nebbia che le impedisce di essere se stessa, sembra quasi che gli strascichi di quel peccato d’origine continuino a proliferare, generando uno stato di perenne inquietudine esistenziale. Dare consigli non è facile, perché il rischio è che vengano presi come prevaricazioni dell’intelligenza individuale. Chi è quello per dare consigli? E’ un moto linguistico d’istinto, la natura umana gioca spesso sulla difensiva, non ne vuole sapere di sottostare o di accondiscendere, vuole fare la sua strada, vuole sbagliare per capire che ha sbagliato. E come dire di no a un simile atteggiamento? D’altro canto ci sono stati educatori che spesso ci hanno raccontato che bisognava sbagliare per crescere con coscienza di causa, salvo poi concludere l’appello con: “Errare humanum est, perseverare diabolicum”. Sta di fatto che il consiglio rappresenta il simbolo di uno status democratico avanzato, solo infatti chi possiede una perspicace saggezza democratica ascolta i consigli di chi ha qualche anno in più e desidera collaborare, far fatica insieme, condividere il cammino di un territorio o di un paese, capire e far capire qualcosa in più della condizione umana. E’ bello incontrare una persona che si mette in gioco, che ti suggerisce qualcosa che a te sfugge e di cui, magari, hai un estremo bisogno. Certo per accogliere bisogna essere accoglienti, ma non solo, bisogna fare in modo che i consigli diventino strumenti di trasformazione sociale. Non è sempre detto che il consiglio sia utile e opportuno, ma in ogni caso esprime una volontà positiva o interattiva o proattiva, come affermano alcuni soloni della cultura. Il consiglio, se dato con volontà costruttiva è sempre ben accetto, è un mattone in più da posare nella costruzione di una comunità a misura d’uomo. Si può far finta di niente? Non ascoltare o ascoltare e poi infischiarsene? Nella vita si può tutto, ma un simile atteggiamento è lesivo dell’accoglienza nella sua forma più sublime, rifiutare la collaborazione, soprattutto quando è spontanea e gratuita, non fa bene alla salute individuale e a quella del sistema. Ascoltare gli altri è fondamentale sempre, anche quando ci sono umanamente antipatici o non siano formalmente grandi al nostro livello.

UN’EUROPA DA COSTRUIRE E DA RICOSTRUIRE
E’ un momento difficile, uno di quelli in cui la storia si mette in discussione, a volte in modo caotico, nevrotico, insofferente, con l’inquietudine di chi non ha ancora ricevuto risposte adeguate, sapendo che la chiave di lettura sta nella capacità di essere sinceri fino in fondo, riconoscendo dubbi, manchevolezze, sbagli, errori, voglia di costruire, di creare e di fare nell’interesse generale. Che l’Europa non sia ancora al top lo sanno tutti, anche coloro che ascoltano e osservano in modo distaccato la realtà. Il vecchio continente è alla ricerca di un’unità che fatica ad arrivare, è in una fase delicatissima, dove si richiede onestà, fermezza, buona volontà, capacità di saper superare errori e rancori, presunzioni e dominanze, è arrivato forse il tempo di mettere da parte la furbizia, i linguaggi esagerati, gli insulti, gli interessi personali, i muri, le chiusure, tutte quelle diversità che in natura esistono ed è arrivato forse il momento di far prevalere quell’energia creativa di cui l’Europa è palese dispensatrice nel mondo. Certo non è facile recitare pubblicamente il mea culpa, riconoscersi un po’ colpevoli delle cose che non vanno, fare un esame di coscienza senza il timore di dover ammettere che riconoscere i propri errori non sia una debolezza, ma la maturità di chi, pensando e riflettendo, ha capito quale sia la strada migliore da percorrere per essere uniti e solidali, capaci di diventare sostenitori di una civiltà che sappia interagire positivamente con altre civiltà, in un concorso di mutua comprensione, di rispetto delle reciproche libertà. E’ in questi casi che la politica e i politici dimostrano la loro forza e la loro misura, è costruendo con spirito di collaborazione, che la comunità internazionale ritrova la forza di uscire dalla povertà e dalla miseria, per affrontare con serenità e unità d’intenti il cammino di redenzione che l’attende. L’Europa è chiamata a una grande lezione di unità, di capacità di saper smussare e di limare, di ridefinire con lealtà e coerenza quei principi e quei valori sui quali ha voluto fondare la sua carta costituzionale, superando quelle ombre che le hanno sempre impedito di essere se stessa. L’impegno maggiore è quello di rifondare una coscienza più ampia, dove ogni stato vale per quello che sa donare e offrire, per la qualità dell’impegno con cui assolve i problemi interni e quelli esterni, per la capacità di affrontare uniti le sfide del futuro. I tempi sono difficili, è complicatissimo riuscire a capire quali siano gli obiettivi, quali siano i diritti e quali i doveri, come il vecchio continente si ponga nei confronti di un mondo in costante mutamento e che cosa significhi sentirsi liberi in un quadro generale in cui la libertà nazionale è sempre più costretta e sottoposta a volontà soprannazionali.

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