QUELLO CHE LA SCUOLA POTREBBE FARE
Con l’ingresso nella scuola si entra ufficialmente nella dimensione pubblica della vita, si entra a far parte di una socialità cooperativa, fondata sulla forza e sulla bellezza della conoscenza come fonte di sapere. Sapere, non come dato o atto distintivo, ma come elemento di coesione, in cui riconoscere la propria identità e quella della comunità di cui facciamo parte. Inutile affermare che la scuola abbia una fondamentale funzione educativa e precisamente quella di far emergere le risorse umane, mettendole a disposizione di una personalità che si apre e che, proprio per questo, vuole approfondire e coltivare il proprio rapporto con la vita. Si è spesso discusso sullo spessore formativo della scuola e in questo si sono incontrate e spesso scontrate linee pedagogico culturali non sempre sintoniche, in alcuni casi diventava predominante il sapere celebrativo in sé, in altri il sapere come strumento di ricerca e di elaborazione personale, in altre ancora come simbolo di una cultura ideologicamente definita. Non sempre la scuola ha coltivato la misura pluralistica della sua azione e della sua vocazione, molto è dipeso dalla linea caratteriale dei suoi docenti, da come hanno appreso e restituito il senso di una cultura che, tradizionalmente, affondava le sue radici nella filosofia classica. Si è parlato spesso di scuola della formazione, ma non sempre rivolta a un’attenzione abilitativa e riabilitativa, a una visione ampia dell’idea di conoscenza e di sapere. C’è chi l’ha vissuta come condizione elitaria e chi invece ha cercato di far emergere il ruolo di educazione popolare della conoscenza, quella che approda alla condizione sociale dei cittadini, ai loro rapporti giuridici, etici, sociali, cercando di metterli in condizione di capire qualcosa di più della loro funzione civile e politica all’interno della polis. Spesso la scuola si è attenuta pedissequamente ai criteri e ai principi, si è allineata a una conoscenza e a una coscienza più di carattere celebrativo, si è fissata sulle predisposizioni e su varie forme di predestinazione, dimenticandosi che la persona è molto di più di un contenitore o di uno strumento, è una realtà composita in continuo divenire, destinata a mettersi continuamente in discussione, stabilendo delle relazioni che non sono fisse o valide sempre. Il carattere della scuola è di tipo dinamico, analogico, analitico, rielaborativo, riflessivo, applicativo, sperimentale, deve sapersi rapportare al mondo della realtà, deve essere continuamente proiettata verso la revisione, l’analisi critica, il confronto con la realtà pratica, la scuola deve essere soprattutto scuola di vita. Nella scuola si mette in gioco l’assetto relazionale della società, si creano le basi per un rapporto diretto tra conoscenza e applicazione pratica del sapere, si configura uno sviluppo dinamico dell’apprendimento, fondato soprattutto sul suo legame profondo con la realtà, con quella realtà che conferma la forza emancipativa della cultura, la capacità di orientare l’energia giovanile verso una presa di coscienza più diretta e consapevole dei propri legami con il mondo esterno, quel mondo di cui spesso anche la scuola diventa vittima. Una scuola più inclusiva e meno retriva, più capace e attenta a cogliere i fermenti, le trasformazioni, i cambiamenti, più sintonizzata con il pensiero reale, capace di diventare essa stessa pensiero, cambiamento e ricerca, stimolatrice di novità e di nuovi approdi, creativa e costruttiva, capace di formare quel diritto alla libertà che sta alla base di una democrazia convinta del proprio ruolo. Si è parlato spesso di scuola e mondo del lavoro, della necessità di far convergere questi due mondi apparentemente distanti, ma profondamente legati da obiettivi comuni, dall’idea che la forza vera di una comunità derivi principalmente dalla capacità di conoscersi e di stimarsi attraverso la forza coesiva della conoscenza, dell’istruzione, della professione e della cultura. La scuola è la società del futuro, è lo specchio di una consapevolezza morale e sociale, è il punto di partenza per la presa di coscienza del proprio essere, del futuro di un paese. Grazie all’insegnamento entriamo in quella realtà con la quale spesso conviviamo senza conoscerla, apprezzarla, amarla, iniziando un cammino di responsabilità pubbliche e private, di contatti e di relazioni, imparando soprattutto a qualificare le nostre potenzialità, le risorse di cui disponiamo, cercando di stabilire dei rapporti adottando metodi, strategie, possibilità, ci disponiamo a un confronto serrato con la nostra identità, con chi siamo e con quello che vorremmo diventare. La scuola stimola interrogativi, propone scambi e risposte, allerta emozioni e sentimenti, motiva la fantasia e scuote l’immaginazione, definisce meglio la sfera comportamentale, la promuove e la consolida, la stempera e la riordina, crea le condizioni per una maturazione caratteriale consapevole, dove il diritto e il dovere s’incontrano e si scontrano in un duettante concerto di nuove potenzialità da attivare. Cosa potrebbe fare la scuola? Attrezzarsi per essere molto più vicina alle necessità e ai bisogni umani, non lasciarsi sfuggire l’opportunità di creare una sintesi educativa che permetta alle persone di crescere sapendo scegliere, avendo acquisito una buona convinzione critica, unita alla capacità di sviluppare una cultura del fare, del promuovere, dell’inventare, del creare. A cosa serve la scuola se non a migliorare le condizioni di vita dell’uomo? A cosa serve conoscere il pensiero se non lo si applica e lo si trasforma, se non diventa strumento di una crescita armonica ed equilibrata della natura umana? Spesso si ha la sensazione che la scuola sia lontana, non appartenga al sistema razionale in cui è inserita, non lo partecipi, viva in un mondo tutto suo, fatto di conoscenze e di esperienze che non trovino riscontri oggettivi sul campo. La scuola è un grande e importante laboratorio, dove i giovani imparano a unire tra loro il pensiero e l’azione, l’idea e la realizzazione pratica, la fantasia e la realtà, l’impegno individuale con quello sociale. Nulla viene lasciato al caso, tutto dovrebbe convergere verso forme di utilità pratica del sapere. La scuola è davvero scuola se stimola ad andare oltre, a dimostrare che anche per i problemi più grandi e complessi si può trovare la soluzione più adatta. Se diventa laboratorio della vita allora è anche più semplice affrontare le tematiche di un territorio e cercare di risolverle, è infatti nella coscienza pratica del sapere che si fa luce il rinnovamento che tutti si aspettano, quello che dovrebbe rimettere in ordine non soli i conti finanziari, ma anche quelli che sovrintendono i comportamenti umani nelle loro sostanziali diversità. Nella società in cui viviamo c’è bisogno di una scuola che creda fino in fondo nella propria missione, che non si lasci sedurre dall’utopia, ma che la sappia governare con un visione reale, capace di produrre, di avvicinare, di far uscire allo scoperto la parte migliora di una natura che ha tutto in sé e che attende soltanto di essere sollecitata per offrire il meglio. La scuola è lo specchio della società, guardando lei il cittadino dovrebbe poter capire se la sua fede sia ben riposta, se chi cercava fiducia sia veramente in grado di meritarsela. Attività di studio e attività pratiche, vita privata e vita sociale, vita familiare e vita sociale, ecco dove può agire la scuola, oltre la prassi, orientando le energie che dalla scuola traggono alimento, forza e coraggio. Fare in modo che non sia un reparto a sé, un luogo appartato da tutto il resto, un mondo a sé stante, ma laboratorio attivo di una storia che ha bisogno di giovani che la sappiano leggere, capire e costruire con entusiasmo e passione in tutti i momenti della loro vita. Oggi si vuole una scuola meno prigioniera delle proprie velleità e più aperta a una visione universale del sapere, in cui ci sia posto per tutti coloro che vogliono dare un senso compiuto alla propria esistenza, senza per forza genuflettersi davanti a un potere senz’anima, oggi incapace più che mai di capire e aiutare le aspirazioni di un genere umano confuso e disorientato.
QUELLO CHE LA FAMIGLIA POTREBBE FARE
La famiglia è un dono e come tale va coltivato, protetto, amato, aggiornato, rassicurato, fatto vivere. E’ il punto di partenza, la base di decollo da cui partiamo per il viaggio intorno alla vita, alla sua bellezza, ai suoi problemi, alle sue difficoltà, ma anche alle sue gioie, alle sue meraviglie e ai suoi stupori. La sua presenza è un porto nel quale troviamo rifugio, nel quale cerchiamo risposte, dove elaboriamo le convinzioni e le frustrazioni, il punto di partenza per un volo su quel mondo che mostra integralmente la sua complessità, il suo mistero e la sua bellezza. E’ il luogo in cui tutto prende forma,una grande occasione di convivialità in cui i commensali s’impegnano a trovare stimoli, nuove occasioni di confronto, di collaborazioni, di unioni e di diversità, progetti da realizzare e iniziative da adottare. E’ nella famiglia che gli esseri umani fanno la prima conoscenza del mondo, è nella reciprocità e nell’attività solidale che i componenti imparano a dare un senso più profondo alle loro incertezze, alle loro aspirazioni, alla loro voglia di uscire allo scoperto, di affrontare quel mondo che attende di essere conosciuto in tutta la sua variegata complessità. Le costruzioni hanno il dono della ricettività, ma anche quello della temporaneità, hanno bisogno di manutenzione, di ristrutturazione, di revisione, di passionalità ideativa. La famiglia non è sempre uguale a se stessa, ma forse è proprio questa la sua forza e la sua bellezza, quella di non prestare mai il fianco alla ripetitività, a un immobilismo scorretto, che la privi della sua libertà, della sua voglia di vivere in sintonia con l’uomo e con il mondo, cercando sempre di fornire il suo appoggio e la sua fiducia, di sentirsi libera di dimostrare che l’amore non è egoismo o egocentrismo, ma coscienza etica, ricerca, analisi e sintesi, capacità di posizionarsi su nuovi fronti, con l’animo aperto di chi respira l’alito leggero di un amore virtualmente assoluto, ma soggetto a prove e confronti, alla necessità di sottoporsi a giudizio e di saper rispondere alle critiche, alle democratiche interrogazioni del tempo. La famiglia è un bene da conservare e proteggere, da capire e da rigenerare, da non lasciare in balia della solitudine e della penombra, da posizionare sempre dove ci sia un raggio di luce che possa illuminarlo, rifornendolo di quell’energia di cui la natura si nutre per continuare a stupire e a meravigliare, nonostante momenti di buio profondo e di irrazionale e surreale dispersione. Cosa può fare e cosa può dare la famiglia oggi? Cultura, educazione, sicurezza, autonomia, rispetto, collaborazione, autorevolezza e anche autorità. In che modo? Recuperando la propria identità, la propria autorevolezza democratica, ma anche il senso della misura e quello del limite, quella convinzione sociale che i passaggi della democrazia abbiano bisogno di supporti certi, nei quali la persona sappia riconoscere le proprie necessità e i propri bisogni, alla luce di un dinamico e attento revisionismo critico. Se la famiglia perde la sua consistenza etica e si abbandona alla promiscuità e all’arrendevolezza, priva i suoi componenti di quella carica responsoriale che funge da collante morale delle dinamiche educative. Ridefinire la responsabilità familiare anche alla luce dei cambiamenti di natura legislativa di cui la famiglia è stata protagonista in questi anni, significa riconsegnarle quell’autorità che le spetta di diritto, come scuola naturale di attività educativa. Forse si tratta soprattutto di rinnovare quel sistema del diritto e del dovere che sta alla base della natura giuridica e morale della famiglia, come società naturale, come bene in cui si configurano le future responsabilità sociali delle persone. Riappropriarsi delle responsabilità ed esercitarle, essere convinta della propria natura educante, sentirsi parte fondamentale di un lungo e delicato processo di configurazione e riconfigurazione democratica, essere cosciente del ruolo che le compete in una società che in molti casi perde coscienza e abbisogna di essere rivisitata e riattivata, rifornita di consistenza etica e morale. La famiglia annaspa anche per un’irriverente disattenzione da parte della pubblica autorità, quella che dovrebbe appoggiarla, supportarla, potenziarla, spronarla. Ci troviamo spesso di fronte a una società civile e a uno Stato che se ne dimenticano, dimenticano la loro funzione costituzionale e quella costituzionale della famiglia stessa. La famiglia ha bisogno di sentirsi rassicurata e amata, ha bisogno di essere davvero considerata fondamentale nello sviluppo di una socialità che non è mai prevaricazione, ma corretta preparazione alla vita in tutte le sue dinamiche. La famiglia può fare moltissimo sul piano di una coerente rigenerazione morale, può richiamare l’attenzione dei suoi componenti sulla necessità di essere coerenti con le regole che governano le comunità e con la loro applicazione pratica. Può ridefinire e potenziare l’ordine dei rapporti e delle relazioni, insegnare a dialogare e a discutere, a sviluppare una coscienza critica capace di distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è, riattivando il senso della vita in comune e di quelle norme che sono necessarie per renderla sempre più appetibile e vivibile. Ricostruire la capacità di pensare e di riflettere, restituendo alla persona la sua dignità, il suo ruolo, la sua immagine, aiutarla nella presa di coscienza del bene comune sono tutti passaggi obbligati di cui la famiglia deve farsi garante, riproponendosi come insostituibile forza educante della collettività. L’educazione della famiglia è parte fondamentale della vita politica e sociale di un paese, della sua coesione, della sua capacità di unire e armonizzare, di rivestire di senso la vita, in tutte le sua manifestazioni.
QUELLO CHE LA SOCIETA’ CIVILE POTREBBE FARE
Forse dovrebbe ricordarsi prima di tutto che è dovere di tutti contribuire alla costruzione di una comunità coesa, capace di cogliere la natura dei problemi, la loro origine, le cause che li determinano, predisponendo una realtà in cui gli esseri umani possano trovare validi strumenti di protezione, di affidabilità e di coraggio per offrire al meglio il proprio contributo. Oggi più che mai si sente la necessità di uscire da un individualismo estremo, dalla convinzione di essere sempre nel giusto o di pensare che il gruppo di provenienza sia l’unico in grado di soddisfare le nostre disabilità. Occorre forse mettersi in una convinzione di tipo socratico, lasciando che il dubbio faccia il suo percorso prima di approdare a una qualsiasi forma di verità, c’è soprattutto bisogno di fiducia, di attenzione e di correttezza, di una società che sappia diventare luogo sicuro per tutti coloro che lo abitano con spirito aperto, con il desiderio di creare valide condizioni di sicurezza e di socialità, di prossimità e di solidarietà, di collaborazione e di ordine. Mai come ora si è sentita la mancanza di un ordine sociale, di un sistema in cui ciascuno si senta attore responsabile e non vittima, protagonista e non succube, entusiasta esecutore e non passivo spettatore. C’è un grande bisogno di chiarezza, di lealtà e di onestà, ci siamo resi conto infatti, che la bontà ha un prezzo e che non si può svendere, va fatta conoscere e apprezzare con grande determinazione, sicuri che sia la via più sicura per rimettere ordine dove un grande disordine morale, sociale, culturale, religioso e politico. Dopo i grandi ideali e i grandi sogni, dopo le speranze e i grandi sacrifici, dopo aver navigato a lungo in un consumismo messo in piedi per imbonire cuori e menti, si è perso il contatto sul senso delle cose che si fanno, sulla natura di un pensiero, di un atto, di un’azione, ci si è fidati troppo di varie forme di proselitismo finalizzato all’interesse privato. L’altro non era più quel prossimo eletto che avevamo conosciuto leggendo le pagine del vangelo, ma l’essere di cui diffidare, un pericolo per la nostra sicurezza, il nemico arrivato da chissà dove per sovvertire un ordine. Improvvisamente tutto quello che era stato pianificato con fatica si dimostrava incapace di reggere il confronto con un quotidianità capace di sconvolgere e di sovvertire, di disorientare anche chi sembrava diventato fortissimo nelle sue convinzioni personali. E’ venuta a mancare la giusta dose di pragmatismo. Ci si è convinti che bastasse poco per risolvere i problemi, che la società costruita fino ad allora fosse sufficientemente coesa e forte per affrontare con sicurezza i problemi arrivati con la globalizzazione, l’immigrazione, la corruzione, insomma ci si è lasciati prendere un po’ la mano, sicuri che tutto sarebbe rientrato e che la democrazia, il senso dello stato, il rispetto costituzionale avrebbero preso il sopravvento, imponendo di nuovo l’esercizio di una reiterata storicità educativa. Non si è più parlato di educazione, quasi non avesse più senso parlarne nel paese della bellezza, della santità, della bontà e della gentilezza. Alla libertà come strumento di convinzione morale si è sostituita una libertà senza regole, usata per legittimare un atto o un’azione di natura privata, personale. La società civile ha allargato le sue maglie, ha permesso a un benessere fittizio di prendere possesso degli spazi, ha sostituito il pensiero dell’anima con quello di un fisicità non ben definita, dominata da preoccupazioni di ordine estetico. Autorità e autorevolezza hanno perso per strada i loro ruoli, sono state sostituite da un’arrendevolezza passata per buonismo, anche per questo diventa sempre più difficile e complesso dare risposte certe ai problemi, sembra quasi che si sia approntata una strategia in base alla quale tutto si possa assolvere o risolvere e che non ci debba essere più nulla che possa essere catalogato come colpevole. Il cittadino, avanti di questo passo, rischia di non capire più nulla del valore della giustizia e della legalità, di essere sempre più schiavo di varie forme di qualunquismo e di relativismo, che danno il senso della provvisorietà e dell’inconcludenza. Sembra che la democrazia sia diventata lo spazio prediletto di chi gestisce la costituzione senza rendere conto del proprio modo di agire e del valore oggettivo delle regole che stanno alla base di un sistema autenticamente credibile e vivibile.