LA POLITICA HA UNA GRANDE OPPORTUNITA’, RITROVARE L’EQUILIBRIO E L’ARMONIA NECESSARI PER RICONSEGNARE AL POPOLO LA SUA VOLONTA’
Chi pensa che la politica sia insulto persistente, vendetta, odio o rancore, antagonismo sfrenato, strumento per screditare l’avversario sbriciolandone l’umanità, dovrebbe forse guardarsi allo specchio, respirare profondamente, fare un esame di coscienza, ritrovando il coraggio necessario per rimettere al centro il prossimo, quel prossimo che rappresenta e che ha sempre rappresentato nella storia e nella cultura del nostro popolo e della nostra gente la parte sovrana, quella rappresentativa, capace di unire e di armonizzare. Succede spesso non ci sia più dialogo, civile confronto, rispetto umano, che i contendenti dell’una e dell’altra parte si affrontino senza sconti, privando il cittadino della possibilità di poter seguire in modo serio e pacato il senso di una storia che a tratti diventa confusa, disorientante, complicata, impedendo a chi osserva e ascolta di poter esprimere un punto di vista critico, esplicitamente mirato e costruttivo. Chi subisce l’onda dissacratoria della politica, gli odi e le contese quotidiane, è proprio quel popolo che guarda con ammirazione e consapevolezza alla nostra Costituzione, riconoscendone il ruolo istituzionale costruito in anni e anni di impegno a tutto campo, attraverso il quale personaggi di grandissima levatura morale e culturale e cittadini di buona volontà, hanno cercato di costruire la libertà ritrovata. Chi si appropria in modo subdolo della volontà popolare, trattandola come merce di scambio o addirittura strumentalizzandola per accaparrarsene la benevolenza, non ha capito nulla di cosa sia la nostra storia, di quale ruolo il popolo abbia avuto e abbia nella costruzione di una democrazia matura, capace di fissare la forza di un sistema che armonizzi la vita di cittadini che credono nel diritto e nel dovere, nella libertà come forma di coscienza pubblica e privata, capace di mettere ordine nella vita delle persone, insegnando che il rispetto è la condizione fondamentale di ogni civile convivenza. Ritrovare il senso vero e profondo di una unione, la forza di un insegnamento che sappia rispondere alle aspettative di una società preda di varie forme di opportunismo e di relativismo, restituire la certezza dell’autorità, il significato profondo di una legge o di una regola, ricreare una scala di valori, restituire il senso gerarchico a una storia che è stata pianificata e in molti casi azzerata, privata della sua consistenza etica, del suo valore morale, della sua proiezione sociale e culturale, ricreare la capacità di generare benessere, fiducia, entusiasmo, convinzione, unione, rimettendo al centro l’uomo con le sue necessità, i suoi bisogni, significa riattivare il sogno di una vita diversa, degna di essere vissuta. Ritrovare equilibrio e armonia, ripensare il proprio modo di essere, ridare spazio alla coscienza, alla rinuncia, fare un passo indietro, riappropriarsi di un giudizio critico, ma corretto e umanamente persuasivo, riconsegnare al pensiero e alla cultura la possibilità di affrontare i problemi con garbo e pacatezza, senza demolire l’avversario o distruggere ciò che è appena stato costruito, sono passaggi che vanno affrontati nel rispetto della democrazia. La politica ha un estremo bisogno di autocontrollo, di studio, di attenzione e di coesione, ha bisogno soprattutto di non esasperare i fatti e le persone, lasciando all’analisi e alla sintesi il loro corso. Spazzare il campo dalle ipocrisie, dalle strumentalizzazioni, dagli egoismi, da un assolutismo mentale che non porta da nessuna parte e che anzi fomenta le esasperazioni, i rancori, le vendette personali e di gruppo, rilanciare la bellezza vera della politica, quella che si lega alla sobrietà, all’intelligenza, al confronto solidale, alla ricerca comune, all’idea che il bene si possa realizzare con il contributo di tutti e che anche il perdente possa diventare vincente se sa offrire la parte migliore di sé sono i collanti di una comunità matura, che guarda al futuro con ottimismo, con la voglia di ripartire, di ritrovare lo spirito giusto. Alla politica delle ideologie estreme e dei potentati economici, che si vedono e non si vedono, si sta cercando di sostituire la politica dell’essere e quella del fare, quella che vive nel cuore della gente, che ha bisogno di essere aiutata e capita, quella che giorno per giorno combatte la sua lotta quotidiana per veder riconosciuti i propri diritti, esercitando i propri doveri, quella che vuole sentirsi protagonista senza prevaricare, quella che parla un linguaggio semplice e chiaro, capace di sollevare l’animo verso la speranza. Una politica tutta da vivere e da costruire dunque, che a tratti risente fortemente delle spinte globaliste, europeiste, di una dirompente trasformazione di un costume che ha rotto quel rigido sistema gerarchico che ha dominato gli anni del dopoguerra. Risulta spesso difficile stabilire quale sia la ragion pratica utile e necessaria per ridare vita a un ordine istituzionale travolto da una innumerevole somma di contraddizioni e di prevaricazioni, di situazioni molto confuse e contraddittorie, in cui risulta davvero complicato stabilire se l’ordinamento attuale abbia ancora un senso o se non sia invece il caso di rileggere con attenzione la storia, magari ridefinendola meglio, aggiungendo o togliendo, approntando un sistema che sia visibilmente attuale e chiaro a tutti nella forma e nella sostanza, nella sua capacità di essere compreso. La politica non s’inventa, la si insegna, ci si prepara, si fanno esperienze, s’impara a conoscerla con attenzione e con grande rispetto, nasce e si fa strada nei percorsi educativi della vita, si alimenta della cultura familiare e di quella scolastica, si libera del qualunquismo, entrando poco alla volta a pieno titolo nelle necessità e nei bisogni dei cittadini, fino a diventare impegno comune nella soluzione dei piccoli e grandi bisogni delle comunità locali e nazionali. In questi passaggi è necessario avere un quadro ben definito delle responsabilità, di quello che è assolutamente necessario fare per armonizzare una realtà profondamente disunita, la cui presunta unità non sempre è sinonimo di compattezza morale, sociale, economica e culturale. Nell’unità si consumano spesso le energie di chi non mantenendo il passo, aspetta che l’altro compia la prima mossa. Ritrovare principi e valori comuni, perseguire con senso di responsabilità il lungo e difficile cammino democratico sono ingredienti necessari per esercitare un peso decisivo nel consesso europeo e in quello internazionale. Non è bello e democraticamente rispettabile usare il popolo per perseguire interessi di parte, occorre riservargli la rispettabilità e l’onore che merita, convinti che è grazie a lui se oggi possiamo esercitare i nostri conclamati diritti fondamentali. Non sottovalutarlo, non strumentalizzarlo, ma amarlo per quella vocazione storica e morale che ci ha permesso di vivere in pace gli anni successivi alla guerra, potendo in tal modo pensare a una vita pubblica e privata più consona e adeguata a quei principi di libertà che ne contraddistinguono la forza e la maturazione, nonostante tutto.
CRESCERE? UN ATTO EDUCATIVO
Manca in molti casi un sistema educativo attivo che spinga a esercitare la volontà, a ricercare, a far uscir fuori quella ricchezza creativa che gli esseri umani portano consciamente o inconsciamente dentro di sé. Il gioco, lo studio, l’attività sportiva e quella creativa in generale vanno coltivate, orientate, potenziate, incoraggiate, devono trovare chi dia loro la possibilità di uscire allo scoperto, di produrre curiosità, voglia di fare. I grandi problemi educativi nascono quando le persone non riescono a liberare la propria energia, quando rimangono prigioniere di una condizione che non evolve, che assume i toni spenti dell’apatia, di convinzioni sbagliate, di inquietudini che diventano croniche. La più grande nemica della crescita è la noia, l’assenza di tensione positiva, di voler e poter liberare quel fuoco che arde in ogni essere umano. La noia produce varie forme di dipendenza che intossicano la voce della coscienza. Educare all’indipendenza è la grande sfida della vita, una sfida che richiede collaborazione, apertura sociale, impegno e solidarietà. E’ la società che deve mettersi in campo, diventare protagonista, evitare che la dipendenza costringa a elemosinare varie forme di schiavitù. Ogni dipendenza non nasce per caso, è figlia di qualcosa o qualcuno che l’ha generata, che l’ha fatta diventare talmente potente da annientarne la capacità di autodeterminazione. Tenere desta la coscienza, alimentarla, sollecitarla, riveste una funzione fondamentale, perché orienta positivamente nei casi in cui le negatività irrompano e mettano in serio pericolo l’equilibrio interiore. La coscienza è il vero motore della nostra storia, quello da cui dipendono le azioni, i comportamenti, il modo di affrontare la vita. Si è soliti sottolineare che sia incosciente chi agisce senza logica, fuori dagli schemi della rettitudine, chi compie atti o azioni che vanno contro il genere umano, contro il buon senso comune, contro le regole e le leggi che governano la vita della comunità. L’incoscienza genera perdita di personalità, apre le porte di un libertà senza controllo, mettendo in serio pericolo l’equilibro individuale e sociale. I giovani hanno bisogno di formarsi una coscienza, per questo vanno aiutati. Avere coscienza significa stabilire un dialogo aperto e sincero con se stessi, senza imbrogli, senza ipocrisie, con la determinazione di chi vuole scoprire la forza e la bellezza del mondo, trasferendola negli altri. Coscienza e missione sono strumenti con i quali l’essere umano si addentra nel percorso che gli è stato affidato, pilastri di un’esistenza che richiede di essere alimentata, rinnovata, consolidata, rafforzata, in molti casi persino ricostruita. L’armonia è nella capacità di esercitare una coscienza capace di operare scelte mature e coraggiose. Importante è condurre le persone ad acquisire coscienza di chi siano, di quello che fanno e del perché lo fanno. L’essere umano cresce quando la coscienza viene nutrita da buoni educatori, capaci di far pensare, riflettere, dialogare, capire e quando sia in grado da sola di volare alta sui problemi che incontra. La coscienza individuale si lega a una libertà capace di determinare le tappe di un percorso. La società in cui viviamo sta attraversando un complesso periodo di avvicendamento educativo, per questo ha bisogno di ampi spazi per lo studio, la ricerca, la collaborazione, ha bisogno soprattutto di essere animata, vissuta, promossa, valorizzata. Crescere è fondamentale per tutti, per mantenere attivo quel filo diretto che unisce le energie e che le stimola a una sempre più convinta e democratica espressione delle proprie potenzialità.
IL PROBLEMA? SAPER ESSERE VERI
Avere il coraggio di mettersi davanti allo specchio, sapersi osservare, andare un pochino sempre più in fondo, dove i pensieri si annidano e si ammantano di turbamenti, inquietudini, desideri, speranze, incertezze, è lì che la vita della persona s’impenna, s’innalza e si abbassa, cercando disperatamente un approdo per incontrare aiuto e conforto, per riannodare ciò che il tempo ha consumato, è nella certezza dell’io che la natura umana ritrova se stessa, si riappacifica e si protende per confermare la propria forza e il proprio coraggio, la necessità di mettere un ordine stabile nel coacervo di relazioni che la vita riserva. In questi anni di controversie, di lotte, di incomprensioni, abbiamo avuto la possibilità di valutare più che nel passato il senso e il valore delle cose che facciamo, che diciamo, che riteniamo utili più di altre nella costruzione di una vita interiore degna di essere vissuta. E’ nei tempi difficili che lo spirito si risveglia e chiede risposte, è quando il cammino sale e si fa duro che l’uomo esce dalla sua condizione di precarietà permanente per riempirla con una speranza che lo faccia sentire meno solo, meno inquieto, meno sprovvisto di fiducia nelle cose, nelle persone, in se stesso, nel futuro, è nella coscienza profonda dell’essere che si riordina quel vigoroso moto dell’anima che apre le porte di una vera e propria risurrezione. Risorgere si può, certo in qualche caso costa fatica, richiede una rinuncia, una trasformazione, un cambiamento anche radicale, un atto di pentimento, la volontà di essere qualcosa di diverso, di più autentico, vero, solenne, qualcosa che annulli per sempre la provocatoria aspirazione a primati che non esistono e che rischiano di annullare la coscienza profonda della volontà, quella che si apre alla gioia temeraria di un confronto, di una confessione, di un atto che riproponga la forza e la bellezza di un valore abbandonato al proprio destino. E’ nei tempi difficili che occorre rispolverare la capacità di mettersi in discussione, di abbandonare primati e primariati, uscendo dal giogo perverso delle convinzioni e delle ideologie, delle verità presunte, di una forma che distrugge l’approccio alla sostanza, è nei tempi difficili che l’animo umano si predispone a certezze più alte, meno avvilenti, capaci di restituire freschezza, leggerezza, visione, missione, è nei tempi difficili che bussa alla porta l’idea che il mondo non sia solo quello della cattiveria e del pessimismo, ma che esista per fortuna la possibilità di ritrovare un ordine che trascenda la frustrazione e la debolezza, che sappia riaprire il dialogo con le cose che contano, come l’amore, la gioia, la felicità, l’unione, la bellezza, il senso religioso di una vita che guarda con interesse verso l’alto, dove il pensiero ritrova equilibrio e armonia. E’ nei tempi difficili, quando tutto sembra a portata di mano, che l’idea di un Dio generoso e attento, capace di vivere accanto all’uomo e di orientarlo, riapre un dialogo ricusato e svilito, un dialogo che si conferma nella suadente convinzione di una lettura, di una parabola, di un racconto capace di ricreare il valore della speranza. Nulla della vocazione primordiale si perde, nulla di quanto abbiamo appreso o imparato finisce, tutto concorre alla rinascita e la visione diffonde nuove esplorazioni, nuovi approdi, nuovi mondi e nuovi modi per stabilire un patto di onestà e perseveranza con quell’universo che abbiamo imparato a conoscere nei mille risvolti delle complessità esistenziali. Essere veri, rinunciare all’imbroglio della finzione, riabilitare il dono della lealtà e dell’onestà non è scontato, richiede forza, coraggio, ingenuità evangelica, capacità di riposizionare la creatività di un valore e il rischio è di non essere capiti, di cadere nelle trappole dell’incongruenza, sapientemente tese da chi ha giurato sulla forza della disonestà. Essere veri è essere umani, capaci di non nascondersi, di guardare in viso il prossimo col sorriso di chi assolve e comprende, cosciente del valore immenso della fratellanza, del perdono, della necessità di procedere insieme unendo le forze, le capacità, le culture, i valori, le aspirazioni, fuori dagl’inutili e intolleranti grovigli degli odi e dei rancori che distruggono la vita umana. Tutto concorre, converge, si protende a dare un senso a ciò che facciamo, a ciò che pensiamo, a ciò che sentiamo, è nella forza persuasiva del bene che si unisce e si cementa la volontà umana, quella che conosce i propri limiti, che conosce il valore del tempo, che ha fede nella conservazione della fiducia, che guarda ogni giorno con ampiezza di stile alla straordinaria bellezza di un mondo che chiede di essere osservato, condiviso, amato, difeso, protetto, come testimonianza reale di quel diritto alla conservazione e al rispetto che è base fondamentale di una coscienza ampiamente voluta e riconosciuta.
PARTIRE DALL’EDUCAZIONE E’ IL PRIMO PASSO
Capita sempre più spesso di assistere a episodi che lasciano esterrefatti e che inducono a pensare che quelle buone regole di condotta, insegnate da genitori fermi e coerenti, abbiano lasciato il posto a presunzioni di comodo. Da un po’ di tempo a questa parte non c’è più limite a nulla, sono sempre di più quei cittadini, grandi o piccoli, che sprigionano cariche ipertensive o che agiscono nella licenziosità più assoluta, proprio come se la comunità non esistesse più e insieme ad essa le buone regole da rispettare. E’ come se all’improvviso il buon senso dei tempi passati fosse naufragato, lasciando sul campo una serie infinita di trasgressioni, prevaricazioni, sopraffazioni di fronte alle quali il potere si ritira in buon ordine, lasciando fare, forse per paura, forse per incapacità, certamente dimostrando un’assoluta mancanza di senso di responsabilità e di onestà morale, oltreché intellettuale. Un paese abbandonato al declino urla le sue lacerazioni, non accetta di vedersi calpestato e stravolto dall’orda barbarica della maleducazione e della sopraffazione, si ribella, combatte, cerca disperatamente di appellarsi a chi parla sempre più spesso di Costituzione, magari senza conoscerne e amarne sul serio i contenuti. Le parole non sono semplicemente segni, sono voci che parlano, che s’interrogano, che si mettono in relazione, che esigono risposte, che cercano di educare, di unire, di formare, di dare un volto affidabile e credibile all’impegno costruttivo dei padri fondatori, coloro che hanno deciso di cambiare il volto di una comunità travolta e dismessa a causa di licenziosità diffuse. Partire dall’educazione è il primo passo per fare grande un paese, per affidare il potere, quello costruttivo, a cittadini coscienti della propria identità e del proprio ruolo, capaci di interpretare le giuste aspirazioni di una volontà popolare che reclama il rispetto della propria identità morale, sociale, religiosa, politica. Diventare cittadini non è così semplice, non ci si improvvisa, non ci si inventa, il percorso è lungo, complesso, faticoso, impone buona volontà, convinzione, fermezza, occorre che ci sia qualcuno che sappia aiutare, formare, educare, accompagnare, dimostrare con l’esempio quanto sia importante lottare ogni giorno per raggiungere insieme il bene comune. L’educazione non ha colore, non ha padroni, non ha bisogno di sotterfugi, esercita con autorevolezza la sua volontà e lo fa perché quel mondo che le ruota attorno diventi ogni giorno più attento, più civile, più corretto, più capace di saper apprezzare i doni che ha ricevuto e quelli che deve lasciare in eredità. Partire dall’educazione è il primo passo per vivere meglio, per vivere bene, per far crescere giovani attenti e maturi, per creare spazi di vitalità umana e sociale, dove ciò che conta è la quantità di correttezza che sappiamo offrire. Da un po’ di tempo a questa parte invece di guardare nell’animo umano e nelle sue umanissime necessità, invece di capire quale sia il mondo che ci ruota accanto e quali siano i suoi problemi, invece di regalare un sorriso o di donare almeno una minima parte della nostra onestà a chi ne ha un estremo bisogno, invece di cercare di capire se il nostro impegno educativo corrisponde a quello che ci viene richiesto, pensiamo a noi stessi, al primato che ci sta sfuggendo di mano, all’affannosa ricerca di quel potere che crea un mare di illusioni. Il mondo cambia se ciascuno si assume le proprie responsabilità ovunque si trovi, se tutti, nessuno escluso, sapranno difendere e proteggere quella dignità che corre di pari passo con la consapevolezza di far parte di una grande comunità che ha bisogno del contributo di tutti. Per questo l’educazione va insegnata, va fatta amare, va coltivata, va promossa, deve diventare il perno attorno al quale si muove quella gran voglia di cambiamento che anima chiunque accolga con forza tutto ciò che ha ricevuto in dono.
RITROVARE L’ESEMPIO
Il tema educativo è sempre fondante, domina gli eventi, la scuola, la famiglia, la religione, la vita, la voce della società civile, ha un peso e si manifesta, alza anche i toni se necessario, ha un pulpito, una cattedra, uno sguardo attento a non tralasciare nulla di quel meraviglioso mondo dell’educazione in cui la vita costruisce le sue forme, si allena, si mette alla prova, crea confronti, maturando un’identità e una dignità, un modo solidale di consolidare quei valori nati nel cuore di un costume contadino povero, ma ricco di straordinaria disponibilità umana. L’autorità è prima di tutto esempio essa stessa, non esistono un comando o un giudizio che non abbiano una precisa configurazione morale, una pubblica base d’appoggio, ogni storia é tale in quanto vissuta in tutta la sua autorevole verità. L’esempio è viatico di salvezza, soprattutto quando l’incomunicabilità miete le sue vittime, privando l’essere umano dei conforti necessari per vivere una vita dignitosa. Dare l’esempio è necessario per rinsaldare i legami di una comunità alle prese con le sue controversie, le sue ansie, i suoi dubbi, le sue contraddizioni, perché la società perfetta non è mai esistita, ha sempre cercato dentro di sé e attorno a sé le energie necessarie per riemergere, rinnovare, ricostruire, rinascere. L’esempio è custodito in una libertà storicamente umana, ma ermeticamente salda a principi e regole in base alle quali ogni atto o azione deve collimare perfettamente con il sistema vigente. L’esempio inizia in famiglia, prosegue in parrocchia e in oratorio, a scuola, nel tempo libero, nelle attività delle associazioni, nel lavoro, nell’amicizia, nell’impegno quotidiano, attività, ognuno con il suo carico di responsabilità, di azioni condivise. Nessuno può arrogarsi il diritto di screditare il lavoro dell’altro, l’educazione è il punto di svolta di una società che cerca in tutti modi di rafforzare la fedeltà a quei valori costituzionali così ampiamente desiderati e voluti dopo i drammi della guerra. L’esempio è un gesto fondamentale, chiunque lo può fare, soprattutto chi ha responsabilità pubbliche, chiunque abbia il dovere di dimostrare che vivere meglio si può, che è assolutamente necessario ripristinare il senso di un’autorità che si è affievolita nel corso del tempo, posizionando traumi e incomprensioni nel cuore della gente normale, quella che pensa sempre che si possa fare meglio, che si possa migliorare nell’interesse di tutti, che si possa capire bene fino in fondo il senso di quello che si fa e che si deve fare. I giovani guardano all’esempio, lo pretendono, desiderano che le parole non siano solo strumenti accomodanti nella tutela di interessi particolari. L’esempio ha una straordinaria funzione pubblica, offre il tempo di pensare, la voglia di riflettere, si tratta di un educatore pubblico che interloquisce direttamente con lo stato emotivo delle persone. Le persone ascoltano, guardano, osservano, aspettano, si compiacciono quando si accorgono che dall’altra parte l’uomo si è fatto più attento, aiuta, sorregge, accompagna, si prodiga, si assume le proprie responsabilità, cerca di cambiare in meglio la faccia triste del mondo. L’esempio ha sempre un suo surrogato umano che lo definisce e lo configura, si apre alla solidarietà e all’impegno, fornisce strumenti per capire che la realtà non è sempre quella perversa e stupida che attanaglia i nostri cammini, le nostre vie, i nostri spazi, i nostri simboli, può essere il punto di partenza di un miracolo, proprio quando tutto sembra diventato umanamente impossibile. Chi difende la vita è un esempio, chi lotta per l’ordine pubblico è un esempio, chi cerca di collaborare per il bene comune è un esempio, è un esempio chi vive, lotta e si sacrifica per la propria famiglia, per il proprio paese, per la propria patria, per sollevare lo sguardo triste della povertà e della malattia, per collocare un po’ di gioia e un po’ di entusiasmo nel cuore provato dell’uomo. L’esempio non ha bisogno di ricchezze, di denaro, di potere, di celebrità, nasce per caso ogni attimo, ogni giorno, ovunque, non occupa posizioni privilegiate, è l’immagine pura e bella di chi crede che il mondo possa davvero cambiare e si prodiga fino in fondo per far si che tutto questo, quasi per miracolo, possa succedere.