TROVARE UN SENSO
Diventa sempre più difficile motivare le azioni, risalire ai pensieri, domandarsi un perché, la tendenza del mondo tecnologico è quella del tutto subito, di trovare soluzioni immediate, dimostrare che con la velocità d’esecuzione si superano i problemi. Spesso manca l’asse di sostegno, quello che consente di dimostrare che quello che si fa abbia un senso, risponda a una logica, possa essere letto senza suscitare stupore e scalpore. Trovare un senso richiede tempo, quel tempo di cui spesso ci dimentichiamo, presi come siamo dall’ansia di portare a termine ciò che riteniamo assolutamente necessario. Non solo richiede tempo, ma anche studio, applicazione, logica, ragionamento,occorre chiarire a se stessi e agli altri quale significato abbia compiere un’azione, definire una situazione, adottare una decisione, mettere in pratica un disegno, trovare dei contenuti adeguati. Oggi risulta molto più facile accendere il computer o il tablet e cercare il suggerimento rapido, senza porsi il problema se alla base di un’iniziativa o di una presa di posizione ci sia una convinzione, anche solo l’idea che prima di fare occorra pensare, ascoltare, dialogare, confrontarsi. Diventa difficile dare un senso se non si hanno, di base, valore solidi, capaci di orientare e di sostenere, se la vita resta un gommone in balia delle onde, se non ci si prepara per tempo a sostenere la furbizia di chi esercita un’azione interessata, facendola magari passare per inclusiva e beatificante. Una società che perde di vista il senso è destinata a essere inglobata da chi sul non senso ha costruito la propria identità e la propria azione. Il senso della scuola, della famiglia, dell’amicizia, della cultura, della lealtà, il senso della misura, del limite, il senso della libertà, del lavoro, sono tutti sensi alla cui formazione hanno contribuito uomini e donne a prezzo di grandi fatiche e di grandi sacrifici, sensi che hanno dato un significato preciso al nostro modo di essere, alla nostra vita quotidiana, alla nostra fede, ai nostri valori, alle nostre emozioni e ai nostri sentimenti. Svuotare l’essere umano della sua umanità e darlo in pasto a una intelligenza indefinita, senza insegnargli nulla del valore e del disvalore, della correttezza e della disonestà, di quali siano i comportamenti corretti che aiutino la rete delle relazioni umane, significa abbandonarlo poco per volta in un deserto dal quale diventa difficile evadere, senza perdere qualcosa di importante. Più l’immagine si appropria del logos e più la persona smette la sua investitura sociale, diventa preda di chi la usa per raggiungere scopi purtroppo spesso di natura <eversiva>. Riattivare il senso è fondamentale per un paese che ha fatto della democrazia sociale e politica la propria bandiera, a costo di grandi lotte e di grandi ideali. In questo ambito si fa largo il senso della memoria. Che senso ha ricordare? Certo la verità non fa sempre piacere, perché nella natura umana convivono alti e bassi, negatività e positività, ambizioni e declassamenti, slanci e depressioni, ma è fondamentale non dimenticare mai chi siamo, da dove veniamo, perché ci siamo, quale senso abbia la nostra vita, come convenga spenderla, con quali modalità e in quale misura, trovare insomma delle risposte, il più possibile concrete, capaci di accorpare, unificare, motivare, assemblare, orientare, indirizzare. Capita sempre più spesso di incontrare per strada persone che non ricordano più nulla del loro passato, come se il passato fosse scomodo e pesante, incapace di rafforzare una nuova via d’uscita verso la riappropriazione. La grandissima forza della religione cattolica, ma in linea di massima di tante religioni, sta nella capacità di far scoprire che esiste un’altra dimensione che rende ancora più completa l’esistenza, la ricopre di un senso che va oltre i limiti di una condizione umana subalterna, permettendole di stabilire rapporti, umanamente più importanti, sul cammino dell’acquisizione dell’identità personale. Chi trova un senso scopre la bellezza di quello che fa, capisce cosa può modificare e cosa può trattenere, cosa può e deve fare per riempire i vuoti di una vita che spesso sfugge, lasciando inevasi emozioni e sentimenti di grande spessore umano. Trovare un senso, dare un senso alla propria vita, a quello che si pensa e a quello che si fa, contribuisce a rafforzare la sfera dei valori, restituendo alla storia la sua spinta innovativa, la sua voglia d’interpretare e di orientare la curiosità, lo stile, la creatività, il desiderio di vivere con intensità tutto ciò che la vita offre, di rafforzare l’intelligenza, insieme agli altri.
EDUCHIAMOCI, PER EDUCARE
Da un po’ di tempo a questa parte si sente parlare a tamburo battente dell’importanza dell’Educazione civica, una disciplina che non ha mai avuto un ruolo di primo piano, neppure quando lo studio era ortodosso e martellante. Le materie di una volta erano statuarie e inattaccabili, avevano il dono della religiosità storica, guai metterle in discussione, la verità era il dogma, qualcosa di assoluto che assorbiva anche il cuore della gente. Abbiamo attraversato mari e montagne puntando il dito sulla carta geografica, abbiamo fatto le aste e i puntini, abbiamo giocato a chi scalava per primo la montagna del gioco della memoria, abbiamo pregato appena in classe, abbiamo cantato l’Inno di Mameli, abbiamo moltiplicato, diviso, sommato e sottratto, applicato le radici quadrate, imparato poesie a memoria, tutto in un ordine secondo il quale la scuola era sopra tutto e davanti a tutto, regina incontrastata dell’istruzione, padrona dei cuori e delle menti, non una scuola espansiva, animata da spirito critico, ma perennemente soggetta alla volontà giudicante di turno. L’Educazione civica è stata per molto tempo la succursale del libro di storia, breve, composta, l’appendice giusta per ricordare che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Era difficilissimo che si indulgesse a spiegare oltremisura l’importanza di un sistema educativo efficiente, il volo su questi pendii era radente e rapido, quasi non si volesse rinunciare all’incalzare di una storia fatta soprattutto di simbolismi, di eroismi, di nazionalismi, di patriottismi, di canti e bandiere da posizionare con cura nella culla della memoria, come baluardo a qualsiasi tipo di infiltrazione. Era difficile poter persino prevedere che a qualcuno venisse in mente che l’educazione fosse il punto di partenza e quello di arrivo di una vita. Il pensiero andava dritto a quanto avevi studiato, al voto che avevi preso, alla materia preferita, alla simpatia dell’insegnante. Ogni materia era fine a se stessa, un mondo a sé, ciascuno perseguiva un fine, dimenticando forse che l’educazione è talmente vorace che si prende tutto e plasma tutto, perché tutto si crea e si forma in virtù di un atto educativo, dal quale dipende ciò che facciamo e come lo facciamo, soprattutto. Educarsi per educare, vestire di senso estetico e pratico il contenuto, imparare a ragionare in termini di oggettività, adottare la ricerca come sistema formativo di apprendere, rivestire la realtà di contenuti, trovare il modo di rendere più umanamente appetibile la voglia di crescere, di capire, di formarsi, di fornire risposte a un mondo che ne ha estremamente bisogno. All’uomo di oggi si chiede di essere all’altezza di mediare e di saper distinguere il grano dalla crusca, si chiede di fare un passo avanti oltre il piacere del benessere, la temporaneità di una conquista, di non dimenticarsi soprattutto che il viaggio parte da dentro, da quell’interiorità di cui ci occupiamo spesso, ma con superficialità, facendo capire che l’uomo non è un robot e non lo vuole diventare. Conoscere se stessi, come andava affermando il buon Socrate per le vie di Atene è il passo essenziale, quello che ci fa capire di che pasta siamo fatti e che cosa dobbiamo fare per diventare sempre più responsabili del nostro pensiero e delle nostre azioni. La vita impone un’educazione continua, ci invita a compiere preziosissimi esami di coscienza, a cogliere la sottile bellezza di un sentimento, a riordinare le cose belle che abbiamo ricevuto in dono, vuole soprattutto che tiriamo fuori il meglio, che non lo lasciamo ammuffire tra pareti coperte di muschio, ma che lo mettiamo a disposizione di chi non ce l’ha, di chi non vive, di chi è costretto a subire la condanna del caldo e del freddo, della fame e della sete, dell’abbandono e della presunzione, di chi si sveglia ogni mattina e pretende di avere un posto a tavola, anche solo come commensale. In molti casi non basta dire che il lavoro è bello o brutto, bisogna farlo vivere, consegnargli un’anima nel caso in cui non ce l’avesse, farlo sentire come un bene prezioso che ci appartiene, che ci aiuta a essere migliori, a saper affrontare la vita con lo spirito giusto, quello che non indietreggia, ma che cammina nella quotidianità, consapevole di ciò che deve fare. C’è una lezione di cui spesso l’educatore si dimentica, affermare che l’educazione non riguarda una fascia d’età o un genere o un numero, ma tutti quanti, è il frutto di un impegno comune, di una somma di individualità che, imparando a conoscersi, creano la forza umana, sociale e morale della comunità.
TROVARE UNA STRADA
E’ importante trovare una strada? Non solo è importante, ma diventa fondamentale, per non perdersi nella fitta sequenza di vicoli ciechi disposti a sorpresa sul cammino. Trovare subito la strada giusta da percorrere è molto difficile, quasi impossibile, anche se ci sono i fortunati, quelli che madre natura ha dotato, prima ancora della partenza, di carte di credito apritutto, che sanno illuminare fin da subito. Nella vita di ognuno ci sono segni premonitori che spesso rimangono latenti, non appaiono, ma ci sono. Possono rimanere nell’ombra per anni, tentando di fare capolino ogni tanto, giusto per tenere desto un interesse che, altrimenti, rischierebbe di spegnersi per sempre. In alcuni casi è l’individuo stesso che si accorge di qualcosa che gli frulla dentro, qualcosa che fa sentire la propria presenza,a volte con discrezione, a volte per caso, a volte con insistenza. Stabilire quale sia l’impulso capolavoro non è impresa facile, bisogna crescere e imparare a pensare, a lasciar parlare il cuore e la mente, ad ascoltare ciò che ci viene suggerito dall’esperienza, dall’intelligenza, dallo studio o dalla riflessione, bisogna essere attrezzati, non intraprendere a caso, ma individuare le risorse e organizzarle, mettendole alla prova, sottoponendole a un’analisi attenta, capace di decodificare, illuminare, analizzare, distinguere, un vero e proprio screening per capire da quale parte girarsi per partire o ripartire. Uno dei grandi vantaggi della vita è che offre sempre la possibilità di una ripartenza, quindi di una nuova vita, magari più bella e interessante della prima, più ricca di possibilità, di occasioni; stimola, incentiva, promuove, aiuta, apre nuove porte e nuove strade, per non deludere nessuno. Trovare una strada non è solo un problema di natura sociale, ma soprattutto morale, perché in quella strada che sceglieremo c’è tutto il senso vero e profondo della nostra storia. Si tratta di una storia che può essere aggiornata, cambiata, migliorata, abbellita, potenziata, consolidata, ma è necessaria per non perdere l’orientamento, per non dimenticare per strada dove dobbiamo andare, che cosa dobbiamo fare, quale sia la via migliore per essere più felici, non dimenticandoci infatti che la felicità occupa un posto importante nella nostra vita, quel posto che ci consente di essere quelli che siamo. Sentiamo parlare spesso di vocazione, di qualcosa di misterioso che si fa vivo e che indica una via da seguire. Sentirsi chiamati è bellissimo, si tratta però di capire se la chiamata abbia davvero un senso che si sposi con il nostro modo di essere, con quello che vogliamo dalla vita che abbiamo ricevuto. La vocazione non è solo prerequisito, è qualcosa di più, qualcosa che è parte integrante di una vita capace di posare l’attenzione sugli aspetti inediti della condizione umana, quelli che a volte sfuggono, ma che da qualche parte esistono. La vocazione va accompagnata, guidata, orientata, c’è bisogno di qualcuno che la sappia cogliere, che ne definisca il contenuto e la forma, che la conduca fuori e la faccia vivere, anche solo per capire se sia fattibile, realizzabile, riconducibile. Le vocazioni, quando ci sono, vanno coltivate con amore e pazienza, prendendosene cura, motivandole e indirizzandole. Trovare una strada è la chiave di volta della nostra vita, quella che ci consente di tirar fuori il massimo dalla nostra dimensione umana, non lasciandola mai sola, isolata, deprezzata, facendola vivere sempre con il massimo dell’entusiasmo possibile, come parte fondamentale di un tutto. L’errore è quello di restare fermi, immobili, di non cercare, di non guardare, di non vivere le occasioni che la vita ci sottopone, diventare spettatori della realtà senza farne parte o peggio ancora lasciare che siano gli altri a determinare in assoluto il nostro destino. Entrare nella storia, assumersi una parte, dare il proprio contributo, aiutare la comunità a vivere meglio la sua dimensione e la sua condizione giova alla sfera individuale, bisogna però che anche la società faccia la sua parte, non chiuda gli occhi, non si giri dall’altra parte, non tradisca il bene che incontra sul campo, non faccia finta di niente, non persegua i propri interessi personali, ma aiuti il prossimo che si propone a contribuire più direttamente alla costruzione di quel bene comune alla costruzione del quale siamo tutti chiamati, piccoli e grandi, giovani e vecchi, uomini e donne. Trovare la strada permette di realizzare compiutamente la nostra storia personale e quella della comunità nella quale siamo stati chiamati a determinare e a definire il nostro impegno.
AMARE LA POLITICA, MA QUALE?
Quello della polis è uno spazio bellissimo, fatto di anime che insieme costruiscono la vita, tutti i santi giorni, con grande pazienza e con grande dedizione. La politica, quella vera, la si respira nella quotidianità, nelle cose che facciamo, in quelle in cui crediamo, nell’impegno che mettiamo per dare un senso alla nostra azione, per farla apparire più forte e più bella, nella coerenza e nella lealtà, nella voglia di essere migliori e di migliorare la condizione in cui ci troviamo. La politica nasce e cresce con le persone, è l’espressione più significativa del loro essere, della loro preparazione, della loro capacità di fare proprie le regole che le sovrintendono, è la mano della democrazia, la sua capacità di essere forza trainante di una città, di un paese, di una nazione e di uno stato. Nella politica c’è la fede vera e profonda che ci lega al territorio nel quale viviamo, un vincolo civile e morale che ci fa riflettere costantemente sui bisogni e sulle necessità, ma anche sulle iniziative da intraprendere per risolvere concretamente i problemi. La politica ha un suo fascino attivo che non smette di attrarre, di richiamare all’ordine, di stimolare, di far capire alla gente che la via dell’emancipazione passa anche da lì, soprattutto da lì, dove i sogni possono diventare realtà, se riescono a superare le sbarre e i muri della presunzione, dell’incoerenza, dell’egoismo sfrenato, di un potere che perde di vista il suo orizzonte. Chi sceglie la politica per donare deve possedere una fortissima dose di altruismo, di spirito di servizio, di amore per il proprio paese e per la gente che lo abita, deve viverla tutti i giorni a stretto contatto con quelle persone che, della politica, sono il vero veicolo trainante. Spesso chi è stato eletto si dimentica di essere stato eletto, perde il contatto con la realtà, si lascia condurre da una smodata semplificazione delle cose che conduce a forme di superficialità estrema, in molti casi delega il proprio impegno o non lo realizza con la dovuta attenzione. In molti casi si pensa che la politica possa essere un trampolino di lancio per il potere o per la ricchezza o per la furbizia, ci si dimentica che servire gli altri richiede un ampio e profondo senso di responsabilità non solo individuale, ma sociale innanzitutto. La politica non può essere figlia del privilegio, ma di un impegno determinato e costante. Non basta infatti essere figli del potere o contare su titoli per ambire a condurre gli altri, bisogna aver vissuto con gli altri, aver fatto lo sforzo di aver condiviso, apprezzato, aiutato e capito che ciò che riceviamo lo dobbiamo restituire. Se nel cuore e nella mente dei politici fosse chiaro il valore morale della politica, non ci sarebbero tutti quei casi di corruzione che ne demoliscono la regalità, non ci sarebbe quella illegalità che confonde le idee, che cancella ogni forma di appartenenza e di autorevolezza, non ci sarebbe tutta quella furbizia che finisce per distruggere la forza di un valore, l’importanza di un vincolo, la preziosità di una fede, la fiducia nel valore sociale e morale delle istituzioni. La bellezza della politica sta soprattutto nella sua capacità di migliorare la condizione di vita delle persone, nell’attivare una forte collaborazione sociale, nel rafforzarne l’appartenenza, nel promuovere quei valori che, della democrazia e della costituzione sono la struttura portante, quei diritti e quei doveri che sono il sale di una vita sociale equilibrata. Se chi è responsabile della politica, una volta eletto scompare o si fa i fatti propri o non rispetta le regole che devono stare al centro di un’armonica vita comunitaria, forse non rende un buon servizio alla politica, non fa quello per cui è stato eletto, tradisce un mandato e soprattutto se stesso. Alla politica bisogna arrivare preparati non solo sul piano delle ambizioni personali, ma avendo fatto percorsi e superato esperienze, come succedeva quando i passaggi erano obbligati e l’esperienza acquisita sul campo diventava condizione fondamentale per amministrare con buon senso e intelligenza. La politica non è un lavoro per la vita eterna, un possesso, un territorio di caccia, è aperta a tutti, soprattutto ai meritevoli, a chi è convinto fino in fondo che la strada da percorrere sia quella di dare, con fermezza, con intelligenza, con amore, mettendosi davanti e dando l’esempio. Educare alla politica, insegnare la politica, farla vivere giorno per giorno sul campo, orientare i giovani, passare entusiasmi, creare occasioni di riflessione e di formazione, dimostrare con l’esempio quali siano i percorsi da intraprendere, far capire la forza e la bellezza del merito, della conquista, dell’impegno e del sacrificio, rimettere in azione il cuore insieme alla mente, sono passaggi obbligati che danno il senso e la misura del valore di chi ambisce a occuparsi della polis e delle sue aspettative. Riattivare l’amore per la politica deve essere impegno quotidiano di tutti, soprattutto di chi, avendola sperimentata, ha la possibilità di farla conoscere in tutti i suoi aspetti e le sue peculiarità.
EDUCARE I GIOVANI ALLA POLITICA
Educare i giovani alla politica non significa indottrinare, far passare una simpatia per verità, usare la demagogia per accaparrarsi la buona fede, ma cercare di sensibilizzare chi si affaccia alla vita sul senso della vita e su quella realtà che la vita stessa deve affrontare quotidianamente per trovare delle risposte alle sue necessità. Educare i giovani alla politica significa preoccuparsi di formare chi dovrà a sua volta educare e formare, chi avrà responsabilità da gestire, impegni da portare avanti, chi darà un’impronta sociale, culturale e morale a quella società che è perennemente in attesa di uomini e donne che la sappiano capire, apprezzare, amare e valorizzare. E’ nei momenti di grande confusione mentale che diventa necessario raccogliere i cocci e rimetterli insieme, cercare di capire che cosa sia davvero utile e che cosa invece disattivi e disorienti. I giovani di oggi hanno bisogno di fiducia, di attenzione, di sentirsi capiti, seguiti, anche ripresi con fermezza, ma è necessario far scattare in loro quei meccanismi solidali che li fanno sentire accolti e valorizzati. L’accoglienza non è una forma di tolleranza o di assistenza, è riconoscere che l’uomo ha bisogno dell’altro e che con l’impegno di tutti si risolvono i problemi, anche quelli apparentemente irrisolvibili. Chi pensa di fare assistenzialismo allo stato puro sbaglia, perché non capisce che la persona non vuole sentirsi sopportata, ma essere messa nella condizione di poter affrontare la vita senza per forza doversi inginocchiare al potente di turno. Forse il vero potere è quello di una democrazia che sa farsi valere, che sa insegnare, trasmettere, dimostrare che tutto è frutto di studio e di conquista, di impegno personale e di impegno collettivo, attraverso il quale trovare la verità, quella verità, anche semplice o apparentemente banale, che consente di capire e di scoprire che ci possono essere modalità diverse per raggiungere l’obiettivo.