PARLIAMO DI SICUREZZA
La sicurezza è un valore fondamentale e come tale richiede di essere insegnato, appreso, coltivato, consolidato, potenziato e messo in atto sempre, soprattutto quando i tempi sono difficili e hanno bisogno del contributo di tutti, nessuno escluso. Ci sono forze istituzionali che hanno il compito di garantirla, di proteggerla, ma ci sono anche comportamenti sociali che, se capiti e condivisi, possono aiutare le istituzioni nei loro compiti. Coltivare la sicurezza significa infatti crescere come cittadini, diventare espressione viva di quella Costituzione che è il simbolo della forza morale di un popolo. La sicurezza è un valore che richiede una manutenzione costante, richiede che il cittadino applichi con serietà le regole di una corretta vita comunitaria e che non si stanchi mai di farlo. Non bastano le regole scritte, bisogna metterle in pratica, bisogna dimostrare che la forza della legge sta soprattutto nella sua corretta applicazione, nella sua capacità di farsi capire, leggere, amare, cosa non sempre facile e scontata. Possiamo mettere a disposizione del cittadino le cose più belle e preziose del mondo, ma se non abbiamo prima spiegato il loro significato, la verità non sarà mai credibile, resterà sempre un fantasma impossibile da incarnare. Ancora oggi c’è chi crede che la sicurezza sia solo un valore legato all’ordine pubblico imposto, dimenticando che è prima di tutto un valore personale acquisito e messo in pratica sempre, senza se e senza ma. Delegare, demandare ad altri è una situazione di comodo, il cittadino è il primo coltivatore attivo del seme della sicurezza sociale, è con il suo comportamento responsabile che determina il valore e la consistenza dello spirito comunitario. In molti casi l’insicurezza nasce da comportamenti individuali e collettivi inadeguati, che si legano a interessi di parte, a un’endemica incapacità di cercare di capire i bisogni e le necessità dell’essere umano e di convogliare positivamente le sue risorse verso un’autorevole presa di coscienza. Nell’idea di sicurezza tutti hanno responsabilità, tutti concorrono in eguale misura a definirne la sostanza, la capacità di migliorare la qualità della vita individuale e comunitaria. Sicurezza dunque come senso di responsabilità individuale e collettivo, come stile di vita, come capacità di incidere sulla qualità stessa della vita, evitando di costruire muri e ostacoli che la possano confinare o peggio ancora svilire e vuotare di contenuti umani e morali. E’ nella collaborazione che lo stile di vita si esprime e che fissa i punti cardine della comunità sociale, è attraverso un profondo e capillare processo educativo che i valori prendono forma. Vivere in sicurezza significa capire il ruolo che si è chiamati a svolgere, saperlo leggere, interpretare e applicare nell’interesse della collettività. Certo non è sempre facile, ma la famiglia e la scuola possono determinare un salto di qualità, facendo crescere ogni giorno quell’attenzione e quella cura che sono aspetti fondamentali di una comunità che vuole vivere e operare senza paura, con la convinzione che a ciascuno sia consegnata una piccola, ma fondamentale parte di responsabilità sociale.
QUANDO INSEGNARE E’ EDUCAZIONE
Coinvolgere, proporre, stimolare, sollecitare, sono verbi che stanno a cuore a chi deve assumersi la responsabilità di risvegliare il senso della vita, in tutte le sue componenti morali, sociali, etiche e religiose. Oggi, forse non basta più tentare di mettere insieme belle parole, di organizzare un discorso che abbia un senso, bisogna programmare, mettere per iscritto, definire, creare compiti e competenze, obiettivi e strategie, è un tempo in cui parlare solamente non basta, occorre organizzare con molta determinazione, credendo in quello che si fa. Ci sono momenti in cui risorgono antiche convinzioni, modalità d’insegnamento che abbiamo spesso criticato, ma che avevano fondi di verità che abbiamo in parte o quasi completamente dimenticato e di cui sentiamo a volte la nostalgia. Chi non ricorda, ad esempio, l’autorità paterna, il ruolo centrale della scuola, l’attenzione alla condotta, l’autorità del preside, l’autorevolezza degl’insegnanti. Il dirigente comandava e dava l’esempio, era il primo a mettere in pratica le regole, comprensivo, pronto a promuovere il merito, inflessibile nel far rispettare le regole. Tra i ragazzi c’erano quelli tendenzialmente votati a varie forme di trasgressione, ma la compattezza educativa della comunità scolastica fungeva da collante, era difficile fare cose assurde e non pagare un prezzo. Ma cosa avevano i metodi del passato rispetto a quelli del presente? Forse la fermezza esecutiva, l’esempio, la capacità di saper dare il giusto valore e il giusto peso agl’impegni e alle convenzioni, tutto era fortemente collegato. I programmi erano ben delineati, i compiti chiari per tutti, l’educazione aveva un ruolo decisivo nel giudizio e il corpo docente era libero da impedimenti di natura burocratica, si concentrava anima e corpo sull’insegnamento, con grande appoggio da parte delle famiglie. Di solito si lavora bene quando si è lasciati liberi, quando si sa che chi ci osserva condivide, valorizza, sprona, premia, la persona è persona sempre e come tale vive sulla propria pelle l’attenzione positiva di chi è preposto a collaborare e a dirigere. Un tempo tra scuola e famiglia c’era una perfetta sintonia, ognuno rispettava il ruolo dell’altro, c’era un clima di grande fiducia, quando i ragazzi erano a scuola i genitori erano felici, sapevano che erano in buone mani e che avrebbero sicuramente migliorato il budget culturale ed educativo dei propri figli. Lo studio aveva un valore reale e costante, era fatica, impegno, sudore della fronte, richiedeva tempo e dedizione, i compiti non erano solo un noioso passatempo, ma il modo migliore per far capire che le conquiste della vita sono impegnative, richiedono grande dedizione e impegno costante. Anche il catechismo era un momento di stabile valutazione educativa, che serviva a consolidare principi e valori, il dialogo e l’interrogazione avevano un valore umano e culturale di notevole importanza. Era visto con molta attenzione e interesse dalle famiglie, non solo da quelle di parte cattolica, era infatti difficile che i genitori non mandassero i propri figli a catechismo. L’idea di fondo era che tutto servisse a formare una personalità più attenta, forte e agguerrita, capace di dare un senso più compiuto alla propria vita, c’era una forte assonanza all’interno del mondo adulto. La cultura della vita era un valore universale, indipendentemente dalle culture di provenienza. Era questa unione d’intenti e di obiettivi a fungere da collante, a mettere insieme il corretto che avrebbe consentito alla persona di crescere nel rispetto delle fondamentali regole di vita comunitaria. Anche le punizioni erano un punto fermo, non solo una consuetudine cautelativa, ma un modo chiaro e preciso per far capire che nella vita chi sbaglia paga e che le colpe hanno un prezzo. A ogni azione corrispondeva una giusta e coordinata reazione, chi si comportava bene godeva di stima, apprezzamenti, incoraggiamenti, mentre chi si comportava male doveva riabilitarsi, capire la natura dell’errore e rientrare nella normalità. Il segreto della buona scuola? Una perfetta sintonia tra tutte le componenti morali che la compongono: collaborazione, rispetto, professionalità, entusiasmo, passione, tutto concorre a promuovere e a valorizzare. Il dovere è sempre un valore fondamentale, è base di partenza e di arrivo, ma va fatto conoscere e amare soprattutto con l’esempio. Ricordarsi che i giovani osservano e sono più attenti e furbi di quanto si possa immaginare è una regola da non dimenticare mai. L’uomo impara moltissimo da quello che vede fare, si domanda e si dà risposte soppesando l’immagine che il mondo che lo circonda gli offre, è per questo che una scuola buona deve avere un apparato educativo adeguato. Ripartire dalla scuola significa poter contare sul sistema leader del mondo educativo. Rieducare alla socialità, ridare un senso alle cose che contano, riattivare la disciplina e i valori, ridare un senso compiuto all’autorità, riconvertire gli errori in momenti di rilancio dell’onestà e dell’impegno, riconfigurare una natura troppo libera e troppo anarchica, ridare fiato alla famiglia, alla scuola, alla società civile e allo stato, dimostrare che la politica non è una scorciatoia per persone furbe, sono valori che stanno alla base di una risurrezione che riguarda tutti. La grande famiglia umana ha bisogno di famiglia, di valori certi, di insegnamenti reali, da cui emergano con grande chiarezza e lucidità quali siano i percorsi più adatti per ricostruire quello che una democrazia a tratti ambigua ha depotenziato. Rimettere i puntini sulle i, non avere paura di dire la verità, essere coerenti e dare l’esempio, dimostrare ai giovani che la vita è un preziosissimo dono da amare e da difendere, ristabilire un contatto reale con la realtà, essere presenti sul campo, anche quando il campo è ristretto e non permette grandi voli, non avere la paura di essere diversi da chi fa sempre finta di niente per difendere i propri interessi e soprattutto avere il coraggio di essere se stessi, anche quando essere se stessi significa andare contro l’ambiguità corrente.
QUELLO CHE IL CITTADINO NON RIESCE PIU’ A CAPIRE
Oggi non è sempre facile capire al volo la realtà che ci passa davanti agli occhi, in molti casi siamo confusi, disorientati o troppo presi dai problemi della vita quotidiana, quella che scorre senza scrupoli e che ci inchioda alle nostre responsabilità. Non è facile cogliere l’attimo, prenderlo, come la radice latina del verbo vorrebbe indurci a fare, viviamo un tempo difficile, non abbiamo ancora assimilato la frequenza con cui gli eventi ci sorprendono, capovolgendo formule e simboli, regole e convenzioni sulle quali avevamo costruito la nostra esistenza. Le città e i paesi non sono più solo italiani, è in atto un rimescolamento che richiede un riposizionamento, il sistema lavoro è profondamente cambiato, la famiglia ha perso la sua forza aggregante, spesso si sgretola, si divide, viene data in gestione a qualcuno che la possa tenere insieme, i malesseri e i disagi sono sempre più all’ordine del giorno, la malavita organizzata prolifica un po’ dappertutto, mettendo a rischio l’incolumità della gente comune, quella che vorrebbe godersi in santa pace la vita, senza dover vivere nella paura. Viviamo il tempo dell’intelligenza e della precarietà, delle cose belle e di un’incertezza che semina panico, un tempo che brilla per l’intelligenza creativa, ma che lascia a desiderare sotto il profilo educativo. A fronte di tanta intemperanza il cittadino si domanda a chi spetti il compito di insegnare l’educazione, chi abbia il compito di far vivere quei principi della nostra amatissima Costituzione che richiedono una sensibilità e una determinazione costanti, si domanda soprattutto se chi deve dare l’esempio abbia la bontà d’animo di fare autocritica. L’immagine che piove sulla sensibilità comune è quella di animi esacerbati, di gente arrabbiata, di insulti e di minacce, di un disagio che si fa strada con sempre maggiore determinazione in tutti gli spazi della società, anche in quelli che dovrebbero essere opportunamente tutelati. Il cittadino ha sempre di più l’impressione di essere abbandonato al proprio destino: di lavoro ce n’è pochissimo, molte ditte, negozi e aziende chiudono i battenti o migrano altrove, dove c’è meno burocrazia e dove il costo del lavoro permette gl’investimenti, la gente ha paura a camminare nei parchi, nei giardini pubblici e nelle stazioni, le ragazze si muovono solo se accompagnate e non nelle ore serali, le rapine in casa sono un fatto quotidiano, sulle strade se ne vedono di tutti i colori e soprattutto manca un’efficiente controllo, gli esercizi pubblici vivono situazioni da terzo mondo, i giovani non sanno su chi fare affidamento, sono sempre più allo sbando, si sentono abbandonati da una società adulta molto più impegnata a perseguire i propri interessi, la politica è sempre più spesso vittima della corruzione, è difficile fidarsi di qualcuno e soprattutto ci troviamo di fronte una società assolutamente demotivata, che non sa più cosa fare per dimostrare che i problemi esistono e che vanno risolti. La televisione ha perso per strada la sua vocazione educativa, i programmi che aiutano a vivere bene sono sempre di meno, in molti casi ci si trova di fronte persone che urlano, sbraitano, assumono comportamenti aggressivi, si esprimono con un’incurante audacia verbale, la comunicazione spesso è solo un optional, di fatto diventa una sovrapposizione urlata di frasi forti, di improperi, di parolacce, di intemperanze verbali e gestuali di ogni genere. E’ in queste circostanze che il cittadino comune, quello che è nato e cresciuto con l’idea che l’educazione dovesse sempre stare al primo posto, non capisce come mai si sia potuti arrivare al punto in cui non esiste più alcuna forma di rispetto, ognuno fa e dice quello che vuole, con il tono che vuole, in dispregio del buon senso comune e della più elementari regole di una corretta comunicazione. Si cerca sempre di restringere il campo, di inchiodare l’attenzione sull’argomento del giorno, spesso manca una visione della realtà, manca la capacità di impostare una programmazione capace di rispondere alle problematiche, capace di far ritrovare il respiro a chi ne è rimasto senza. Mancano soprattutto la chiarezza, la coerenza, la lealtà, l’onestà, la capacità di operare un salto di qualità verso la ripresa di una democrazia sana, moderna, attuale, in grado di armonizzare un paese che nella maggior parte dei casi vive di improvvisazioni e che spesso non sa come affrontare i problemi con i quali si trova a dover fare i conti. Parlare di collaborazione oggi sembra quasi una bestemmia, la disponibilità è ridotta a zero, si cerca di colpire il nemico, di affondarlo, di metterlo a tacere, si parla sempre o quasi in negativo, come se il mondo dovesse crollare da un momento all’altro. Ci si domanda come facciano le giovani generazioni ad avere fiducia in una società continuamente in lotta, incapace di trovare risposte ai tanti problemi che la assillano, una società in cui ci si combatte fino all’inverosimile, dove nella maggior parte dei casi l’intolleranza e la violenza sono all’ordine del giorno. Famiglia, scuola, società civile e stato sono chiamati a rispondere con coraggio alle provocazioni del nostro tempo, devono dimostrare che la democrazia è tale quando sa assumersi con coraggio, coerenza e fermezza le proprie responsabilità, uscendo dalle paludi che ne minano la vita. E’ un problema di senso di responsabilità che riguarda tutti, soprattutto chi le responsabilità le rappresenta a tutti i livelli.
LA FACCIA NON VERA DELLA POLITICA
La politica ha due facce?Forse ne ha anche qualcuna di più o forse ne ha una sola, che utilizza a seconda delle occasioni. Resta il fatto che da un po’ di tempo a questa parte assistiamo a una deflagrante consunzione di stile. La politica, quella vera, s’intravvede appena, appare e scompare, gioca a nascondino, si trasforma, stupisce, stravolta da quella smania di visibilità e di successo che l’ha resa terreno di gioco di un’aristocrazia tribale che difende con i denti le proprie glorie, i propri benefici, le proprie poltrone, la propria avvenenza, dimostrando che mai come in questo momento storico la politica si è dimenticata di quello che è, del fine per cui è nata, di quali finalità si proponga. Viviamo nella più assoluta confusione di ruoli, il giornalista fa il politico di professione, il politico di professione fa il giornalista, la comunicazione ha perso il controllo, sbocca, svacca, urla, sbecca, sfonda, è sempre più complicato stabilire chi siano gli emittenti e chi i riceventi, che cosa sia virtuale e che cosa sia reale, quali principi e quali valori stiano oggi alla base di una democrazia vera, non soggetta, all’arbitrio individuale. Nella confusione indisciplinata che si è accaparrata del terreno di gioco, tutti si cimentano in una esacerbata rincorsa di odiens, ciò che veramente conta, infatti, è battere l’avversario, dimostrare che i tuoi ascolti sono inferiori ai miei, che io sono più in grado di te di cogliere il senso dell’aspirazione comune. I mass media sono spesso ostaggio di giochi al massacro e l’utente è disorientato, arrabbiato, confuso, stenta a credere che possano succedere certe cose, stenta a credere che tutto sia così compromesso e alterato, da non permettere un visione educata, pacifica e fiduciosa della realtà che ci ruota attorno. Furbizia, malizia, invidia, rancori, ruggini, antagonismi estremi, violenza verbale, gestuale, violenza di piazza, violenza di pensieri e di azioni che non tengono più in conto di nulla che valga davvero la pena di essere preso nella giusta considerazione, che possa essere ripreso, rivisto e riammesso nel circuito di una vita democratica a misura d’uomo. E’ difficile pensare a cosa possano pensare i nostri giovani, davanti a una televisione pubblica e privata che esibisce palcoscenici di vendetta, di negatività persistenti, incapace nella maggior parte dei casi di dimostrare che la vita non è solo di chi la uccide, la ferisce o la depreda delle sue bellezze, ma è anche e soprattutto bellezza, per questo va coltivata, amata, difesa, protetta, stimolata, è il più grande patrimonio di cui l’umanità venga in possesso per un breve periodo di tempo. E’ terribile pensare che un patrimonio così straordinario si possa quotidianamente consumare in guerre, lotte, massacri, terrorismi vari, uccisioni, rapine, processi sommari, è davvero terribile solo pensare che non esista nel cuore dell’uomo un’alternativa felice al consumo squilibrato delle risorse, che non ci possa essere un’aspirazione di riappacificazione con quel mondo così bisognoso di attenzione, di cura e di affetto. Qual è dunque la politica, quella vera? Certamente quella che con grande impegno, volontà e fatica indica una via giusta da percorrere, un mondo più umanamente stabile da abbracciare, spazi di convivenza civile attraverso i quali potenziare la vita di relazione, la comprensione, la partecipazione e poi la famiglia, il lavoro, la scuola, lo studio, l’onestà, la perseveranza, il rispetto e tutto ciò che umanamente contribuisce a rafforzare e a migliorare quel sistema comunitario che dovrebbe essere la fonte vera di una rinascita comune. Certo la politica deve ripartire e ripartire non è mai facile o scontato, nella maggior parte dei casi bisogna iniziare da un profondo e reale esame di coscienza, quello che i politologi definiscono autocritica, la capacità di sapersi leggere, conoscere, giudicare, in vista di una radicale cambiamento di rotta. La vera politica può anche conservare, ma la vera conservazione si misura con la sua capacità di sapersi modificare, di saper diventare altro, di entrare con gioia ed entusiasmo nel nuovo che avanza e che ha bisogno di essere capito, guidato, orientato. Ripartire è un po’ come rinascere, affrontando di nuovo la realtà in tutta la sua straordinaria complessità, ma con quel desiderio raccolto di farla diventare più umana, accogliente, più capace di cogliere e di amare, più pronta a rivedersi, a modificarsi, a capire che in questo mondo non c’è nulla di definitivo o di inamovibile, tutto è soggetto alle leggi di una trasformazione dinamica, alla sua capacità di farsi voce di chi non ce l’ha. La politica non è vera quando tradisce, quando viene manipolata, quando viene usata per fini e interessi personali, quando presta il fianco alla corruzione, quando perde per strada la sua etica, la sua morale, quando non sa più essere credibile, quando non dà più l’esempio, quando diventa ostaggio di una staticità voluta da chi vuole mantenere intatto il proprio potere, quando usa la storia per continuare a far credere verità inesistenti. Quando la politica diventa schiava del potere perde il suo dinamismo, si lascia travolgere, sminuisce il valore e il prestigio di cui gode, diventa strumento nelle mani di chi la compra e la baratta in nome del dio denaro o in nome di filosofie perverse, costruite ad hoc per perpetuare varie forme di sopraffazione e di prevaricazione. La politica non è vera quando si sottrae al giudizio, quando si nasconde, quando usa linguaggi biforcuti per ingannare, quando non fa quello che deve fare, quando si lascia imbrigliare dalla demagogia professionale, quando diventa guerra contro il buon senso comune, contro le aspirazioni di chi la osserva e attende risposte certe, quando diventa strumento di propaganda, quando non sa più parlare ai giovani e ai vecchi, quando non valuta sistematicamente quello che fa, quando pensa di essere sopra tutto e sopra tutti, senza il bisogno di ascoltare, di parlare, di sentire, di capire se quello che fa è fatto bene, rispetta le promesse, è frutto di un impegno comune. La vera politica è tale quando è servizio, quando si pone al servizio del prossimo, quando cerca la collaborazione, l’unione, il dialogo, quando non si arroga il diritto di essere di parte, quando rafforza il carattere dei singoli e della comunità, quando raccoglie per strada l’umore della gente, quando sa riconoscere i propri sbagli e li modifica, quando sa ascoltare i consigli di chi l’ama, quando ha una visione alta della persona, dei suoi bisogni e delle sue necessità. La politica è vera quando sa anticipare i problemi, quando sa programmare, quando non si lascia sedurre dalla malattia del potere, quando rispetta educatamente il punto di vista delle persone, quando non sobilla o non distrugge, quando si pone in una condizione di rivisitazione congiunta, quando non si lascia condurre per mano da gente senza scrupoli, quando sa mettersi in discussione senza la paura di fare brutta figura. Essere leali, mettersi in gioco, non avere paura di riconoscere i propri errori sono tutti elementi che lasciano intravvedere lo spessore morale di chi fa della politica un modo di essere utile al proprio paese. La non politica è quella che fa credere quello che non è, è quella che costruisce le ipocrisie e le falsità, è quella che fa pensare di essere buona, umana, utile, promozionale, quando invece in realtà costruisce nell’ombra le proprie armi e le usa per demolire il nemico, è non vera quando strumentalizza, quando colpisce senza una ragione, quando incita all’odio e alla violenza, quando fiancheggia i distruttori della verità, quando irride il popolo, quando non sa più giudicare se stessa. Oggi viviamo un momento molto difficile, un momento in cui ogni cittadino è chiamato a riflettere e a pensare con molto buon senso su che cosa sia utile che ciascuno faccia per ricostruire un’ identità buttata alle ortiche, è un momento difficile, ma potrebbe essere anche il momento migliore per capire da che parte stia la verità e che cosa sia veramente utile fare per aiutare il nostro paese a essere benvoluto e amato nel mondo.
COM’E’ CAMBIATO IL MONDO
Gli esperti hanno sempre sostenuto che cambiare fosse sintomo d’intelligenza viva, capace di mettersi in discussione, di procedere a un esame critico e avevano ragione. La vita è l’esatto contrario della staticità, la sua legge è il movimento, la capacità di sapersi trasformare, coinvolgere, formare, magari anche un po’ morire per poi risorgere con maggiore determinazione e volontà. Certo per agire su se stessi bisogna averne le capacità, non basta svegliarsi al mattino e pensare di essere un altro, l’altro che è in noi va individuato, conosciuto, esplorato, messo sotto la lente d’ingrandimento. Partire per un’esplorazione richiede predisposizione e soprattutto avere l’attrezzatura adatta, capace di venirci in aiuto ogni qualvolta ne abbiamo bisogno. Il mondo che incontriamo non ha mai la stessa faccia, non parla mai la stessa lingua, non pensa mai allo stesso modo, non è mai quello che abbiamo lasciato qualche minuto prima, la realtà in cui viviamo è perennemente in movimento, richiede capacità di osservazione, sensibilità, cura, attenzione, richiede una soddisfacente capacità di lettura dell’animo umano, richiede soprattutto di ritornare ogni tanto a fare l’esame di coscienza, quella pratica di natura religiosa che un tempo i confessori predicavano ai confessandi. Nella società in cui viviamo non è assolutamente facile trovare il tempo e la disponibilità per un volo basso sulla nostra condizione sociale e morale, non solo, ma abbiamo una così incredibile fiducia nei nostri mezzi che non ci sfiora neanche per un attimo l’idea di aver bisogno di una ripassata, di qualcosa che rimetta in equilibrio il nostro essere, la nostra volontà, la nostra sensibilità, la nostra voglia di cambiamento. In molti casi non ci ricordiamo neanche più di avere a disposizione così tante ricchezze e di avere così tante possibilità di rinascita. Cambiare è fondamentale, significa che non abbiamo paura di sperimentare una verità diversa da quella che avevamo pensato e creduto inalienabile. La coerenza è un valore, ma solo quando consente alla persona di vedere chiaro nella propria vita, non si erge a giudice, non si mette di traverso, si limita a rimettere in gioco una volontà rimasta per troppo tempo appesa a convinzioni di vario ordine e natura, senza mai essere stimolative sollecitatrici di nuovi interessi e di nuove volontà. Sperimentare, ad esempio, può essere l’inizio di un nuovo percorso, una strada diversa da intraprendere, per realizzare più compiutamente le nostre aspirazioni. In molti casi l’uomo muore senza aver provato a uscire dai propri condizionamenti, ne rimane prigioniero, convinto che non esistano altre strade per conoscere meglio e più a fondo la straordinaria filosofia della vita. Conoscere significa soprattutto stare meglio, imparare a convivere con più equilibrio, ristabilendo forme di convivenza più capaci di fornire motivi di entusiasmo, passione, vitalità fisica ed emotiva. Il punto fondamentale non è vivere soltanto, ma vivere con entusiasmo, provando piacere, capendo che tutto quello che ci viene offerto è ricchezza che ci consente di dare un senso sempre più compiuto alla nostra identità. Se ci guardiamo attorno con attenzione ci rendiamo conto che quel mondo che ritenevamo inamovibile è cambiato moltissimo, in particolare è cambiata la capacità di inventare, di creare, di trovare nuovi e più adeguati strumenti e motivi di realizzazione personale. La consumazione muscolare di una civiltà fondata sulla forza fisica ha lasciato via via il posto a una programmata attività mentale, che si dispiega con l’aiuto di strumenti tecnologici ad alta potenzialità comunicativa, si può lavorare e lavorare bene stando seduti a casa propria davanti a una scrivania. Il mondo del lavoro ha subito cambiamenti epocali, oggi la rete delle comunicazioni consente uno sviluppo rapido di tutta l’attività informativa e formativa, i sistemi computerizzati consentono di comandare da lontano tutta l’attività sociale, commerciale, bancaria, si compra e si vende cliccando dei tasti, si scrive inviando e ricevendo in tempo reale, la tecnologia mette a disposizione tutto quanto è in suo possesso per fornire all’essere umano una condizione di vita migliore. Certo ogni medaglia ha il suo rovescio, ogni progresso ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi, il cammino è sempre circolare e circola bene chi ha fantasia, creatività, volontà, voglia di uscire dalle ombre di un’opprimente comodità. Il mondo è molto cambiato, si è sganciato dai condizionamenti e dalle subalternità, vive la sua storia, cerca le sue verità, sviluppa altre forme di libertà e di moralità, salvo poi ripiegare su terreni già abbondantemente arati e preparati per la semina. Dunque camminare e a volte correre diventa necessario, ma il progresso consente anche riposanti spazi investigativi, mette a disposizione tutto quello di cui l’essere umano ha bisogno. Il problema in molti casi è quello di trovare un equilibro tra la forza dell’innovazione intellettiva e la necessità di tenere ben saldi i piedi per terra. Spingersi troppo avanti, infatti, può comportare una perdita di equilibrio, così come restare fermi, immobili, magari aspettando che siano gli altri a risolvere i nostri problemi. Chi vive meglio oggi? Chi vive appieno l’entusiasmo tecnologico o chi rifugge il progresso, riattivando antiche forme di sopravvivenza fisica e mentale? Difficile dirlo, la libertà è tanta, ma il tempo è quello che è, a volte diventa persino imprevedibile, taglia la strada e non ci consente di fare tutto quello che vorremmo. La vita ci costringe a fare delle scelte, a imboccare delle strade, ci induce a non perdere tempo, a vivere in pienezza la nostra piccola porzione di felicità. In molti casi proprio per questo diventa necessario cambiare, dimostrare a noi stessi e agli altri che esistono altre opzioni, altri modi, altri valori su cui possiamo lavorare per rispondere con più vigore alle nostre ambiguità e alle nostre ansie, per fornire risposte alle insistenti domande della nostra storia quotidiana. Cambiare è dunque una presa di coscienza intellettivamente avanzata, che consente di aprirsi a nuovi modelli e di sperimentare la grande capacità di trasformazione della natura umana