Ci sono autori la cui forza poetica è ancora capace di rompere i muri dell’omertà, di riproporre una visione del mondo, di ridare forma e immagine a quello spirito che è figlio di una storia difficile, ma straordinaria, capace di restituire alla cose e alle persone qualcosa che si lega all’onestà, al benessere fisico e intellettuale. Mai come in questi momenti in cui tutto viene a galla nelle forme più disarmoniche e drammatiche, il cuore e l’anima rivendicano il loro spazio, la loro voce e la loro parte. Proprio quando la società si popola di precarietà e di imprevisti, improvvisamente sale un sussulto che apre di nuovo il sipario della vita, grazie anche a quella poesia rigeneratrice di sentimenti, che aveva confortato la nostra adolescenza, lasciando nell’incertezza dei cuori il bene immenso della tenerezza e della musicalità. Quante poesie a memoria, quanti versi recitati con l’empatica convinzione di esserne anche solo una piccola parte. Nel poeta c’è sempre qualcosa di noi, della nostra fragilità, dei nostri dubbi, delle nostre ansie, dei nostri perché, della nostra convinzione di voler e poter sciogliere i nodi della vita in qualcosa o in qualcuno che li renda meno esigenti e più accettabili, espressioni in fermento di ciò che portiamo dentro. Con la poesia e i poeti abbiamo imparato a ricordare, a recitare, a conoscere, a capire chi siamo, di quali valori siamo portatori ed esecutori, attraverso la sua anima ci siamo costruiti un’idea meno aggressiva, più pacata e contemplativa dell’esistenza. Rileggere Leopardi, Carducci, Pascoli, D’Annunzio, Ungaretti e altri, è come riconsegnare alla storia la sua dignità, quella che ci ha permesso di credere in valori ritenuti a volte stupidamente banali o inutili da chi vive varie forme di materialismo. Quanti di noi si sono immedesimati nel Passero solitario, nella sua coscienza terrena, nel suo essere voce e canto di un poeta in cammino verso l’ identità, ricercando e ritrovando nella poesia quel miracolo di riconversione che rimettesse ordine nei suoi pensieri, nelle sue aspirazioni, nella sua voglia di esserci e di capire fino in fondo il valore stessa della dignità. Sembra di rivederlo quel passero isolato, che se ne sta tutto solo mentre il resto dello stormo si abbandona all’esultanza. In quel passero rivedi molta della solitudine che accompagna i nostri borghi e le nostre città, dove tra chi esulta, c’è chi rimane immobile ad aspettare quel conforto che, forse, non arriverà mai. Quanta poesia della vita in quei versi di un uomo solitamente raccontato come timido e introverso, brutto e ammalato, passato alla storia per la sua gobba e la sua fragilità. E’ incredibile come, a volte, le parti più belle e confortanti della natura umana siano invisibili agli occhi dell’intelligenza, mentre appaiono in tutta la loro bellezza alla gente semplice, che sa guardare senza odio, cattiveria o invidia. Nella poesia c’è sempre qualcosa che si lega alla sensibilità di uno spirito, a un insegnamento, a qualcosa di appreso che ha il dono spirituale della transumanza espressiva. Quanta bellezza in Davanti San Guido, in quei cipressi che richiamano il poeta alla storia, alla sua concretezza e alla sua verità. Una poesia quella di Carducci, che vale un trattato di filosofia o di storia della comunicazione. Nella sua sanguigna esuberanza si fa strada la necessità di aprirsi al cuore e all’anima per avere conferme, per essere parte viva e attiva di un mondo con i suoi simboli e i suoi richiami. Straordinaria è l’immagine di quella nonna vestita di nera che appare nella sua luce, riferimento umanissimo a un mondo che, forse, si dimentica troppo spesso del suo passato. Quanta forza e quanta dolcezza in quella poesia dove l’animo si compiace e si dispera, dove alle certezze di un passato si contrappongono quelle di un presente con i suoi pesi e le sue pene. Quanto conflitto tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, tra i grandi obiettivi della vita, a volte irraggiungibili e la tranquillità delle cose umane, quelle che danno parvenza di solarità e di posata pacatezza. Quanta aderenza umana nella poesia di Pascoli, quanta emozione nei suoi versi così empaticamente capaci di entrare nella parte più viva del cuore o in quella di un fiore appena sbocciato o nello sguardo “fiso” di una cavalla che diventa umanamente “donna” per svelare il segreto di un giallo irrisolto. Quanto profumo di gelsomino notturno nelle sue parole, quanta partecipazione umana e morale nelle vicende della sua vita, quanto amore nei confronti di una natura popolata di odori, sapori, umori, tenerezze e a volte di piccoli e gradi drammi. Quanta voglia di interpretarne la voce, di darle tutto lo spazio che merita, di lasciarla vibrare di quelle mille sfumature che cambiano il destino dell’animo e quello del mondo. C’è, nella poetica pasco liana, l’idea di un mondo che potrebbe apparire diverso se ciascuno riaprisse la cassaforte della propria vita e lasciasse passare quel fluido di lealtà che solo i fanciulli hanno. E’ nella “poetica del fanciullino” che abbiamo imparato chi siamo e cosa vogliamo, quel richiamo a ritrovarsi e a rimettersi in cammino con uno spirito nuovo, più docile, più lineare. Ci siamo calati spesso nella sensualità di D’Annunzio, nella sottile e rigenerante soavità di una natura che diventa umana. Ungaretti ci ha consegnato il testamento ideale di chi, avendo vissuto il dramma, ne racconta la storia, con quello stile sanguigno, contratto al punto di far provare emozione e incanto a ogni parola, come se in quel suono breve si compisse il destino del mondo. La poesia ci ha formato, ci ha fatto crescere con la convinzione che accanto a ogni dramma ci fosse uno spiraglio a cui attingere, anche quando il mondo si copre di nuvole e si dimentica di chi siamo. E’ con la religiosità della poesia che abbiamo rafforzato i nostri sentimenti e le nostre speranze. Per questo le siamo grati e continuiamo a leggerla e a recitarla, per ricordarci e ricordarle con quanto affetto l’abbiamo amata, studiata, recitata, con la segreta speranza che il suo verso fosse lo spirito giusto per ridare conferma e vigore a un mondo che avevamo rischiato di dimenticarci per sempre.