Si può essere vicini in molti modi, con il corpo, con il pensiero, con lo sguardo, con la voce, con la preghiera, ciò che realmente conta è lo spirito che anima uno stato, un modo di essere. Le persone, cristiane e non, hanno bisogno di vicinanza, di qualcuno dimostri loro di non essere sole, di sentirsi comprese, accolte, capite, aiutate e perché no, servite. Un tempo il servizio era molto prezioso, era il primo anello della catena, la forza costituiva di un cristianesimo cresciuto negli affetti familiari, nei banchi di scuola, in un catechismo che educava a una conoscenza, unita a quel mondo di valori umani da cui lo spirito decollava per ampliare il suo volo, fino a toccare i misteri del creato e quelli del suo creatore. Siamo cresciuti con lo sguardo rivolto verso l’alto, in una costante commisurazione di parole, gesti, situazioni, cercando di applicare quello spirito di servizio che dava il senso e la misura della forza e del coraggio e di cui ci si sentiva fieri e alfieri, fedeli esecutori, anche quando la consapevolezza del limite ci metteva di fronte alle fragilità, all’impossibilità di poter e voler essere quelli che avremmo voluto. E’ un po’ nella natura umana voler essere, avere sogni da realizzare, obiettivi da raggiungere, mete da conquistare. Tutti, almeno una volta, hanno pensato di cambiare il mondo, di aprire incondizionatamente il cuore e la mente, senza il timore di cadere nelle imboscate di chi vive e opera per emarginare l’altro. Essere vicini alla gente è una scelta di vita, che non si misura soltanto con la parte visibile della storia, perché c’è sempre una parte di essa che non conosciamo, di cui siamo portatori sani e che vorremmo poter realizzare.
Spesso c’è una parte che non si ferma, che osserva, che cerca uno spazio, che vorrebbe aderire, collaborare, discutere, confrontarsi, essere presente, ma che viene spesso tenuta fuori per colpa dei pregiudizi e dei luoghi comuni, dell’ipocrisia di chi teme che l’intelligenza dell’uno sminuisca quella dell’altro. Si parla spesso di vicinanza, si arringa la folla, si predica delle incongruenze del costume, ma il problema di fondo è che non c’è raccordo, alle parole vengono meno i fatti, mancano esempi e chi dovrebbe donarli è quasi sempre occupato altrove. Così le distanze aumentano, le incomprensioni pure, la gente attende inutilmente e invece di convergere divarica, creando vuoti morali, sociali e istituzionali in cui si spengono le buone intenzioni, la voglia di sentirsi parte viva di una grande famiglia. Oggi le persone hanno bisogno di vicinanza e i modi di attivarla possono essere molteplici, basta crederci senza creare primati o steccati o presunzioni di vario ordine e natura. Troppo spesso le persone si sentono umiliate, ignorate da chi è convinto di essere stabilmente dalla parte del giusto, di avere i santi dalla propria parte, di coltivare la cultura intelligente, di capire sempre gli altri, di avere le carte in regola per dettare le regole della buona condotta. Viviamo un tempo in cui le diversità e le culture aprono forse la strada a una rinnovata armonia. Di solito l’educazione alla partecipazione nasce da un iter socratico, da un parto che apre le porte di una ricerca comune, di un modo nuovo di vivere la verità che riguarda tutti. Papa Francesco, che di verità se ne intende, richiama spesso gli educatori alla vicinanza, a scendere dai loro scranni, dai loro ruoli, dalle loro stanze dorate e a vivere con le persone per ascoltarle, sentirle, viverle, frequentarle guardandole negli occhi e cercando di passare un po’ di quella fiducia cristiana che trasforma la solitudine in entusiasmo rinnovato. Francesco è un fedelissimo assertore della vicinanza, lo è perché sa che è l’insegnamento della Croce a testimoniarlo, cerca solo di far capire che prolungare le distanze ha effetti negativi sui rapporti interpersonali, sulla fede, sulla fiducia, su tutto quello che di bello e di positivo ci hanno insegnato educatori preparati. Essere vicini alla gente è il primo passo di una democrazia solidale che nasce prima di tutto nei cuori, fuori dal circuito strategico della demagogia.