ERAVAMO COSì – Giochi, svaghi e passatempi di Giorgio Roncari
Vedendo ragazzini e bambini assorti, direi rapiti, smanettare su tablet e palmari divertendosi con giochi elettronici, mi sono ritrovato a pensare al quindici, uno dei passatempi della mia infanzia, una tavoletta con 15 caselle numerate che bisognava sistemare in ordine crescente. Da lì a pensare a come ci divertivamo cinquanta – sessant’anni fa, il passo è stato breve.
I ragazzi si ingegnavano a creare i loro giochi: la fionda, una forcella di legno con un elastico, il carro armato fatto con il rocchetto di legno del filo da cucire; il cerchio, un copertone spinto da un legnetto; il sassolino, dove dovevi saltare con una gamba le caselle disegnate in terra senza toccare la riga altrimenti era ‘brucio’ e passavi la mano, le biglie da spingere con due dita, la corda da saltare, la palla avvelenata da schivare. Oppure svaghi più semplici dove non serviva nulla come rialz, tigalè, quattro cantoni, nascondino, girotondo. D’inverno si giocava in casa e allora erano le carte a farla da padrone, ma c’erano pure la dama, gli sciangai, le pulci, i verbi, i difetti, il gioco dell’oca e, chi poteva, il monopoli. Qualcuno più portato conosceva gli scacchi. Poi c’erano le figurine da incollare sull’album. C’era una vasta scelta di collezioni ma per i maschi esistevano solo i calciatori. Facevi carte false, scambi assurdi per avere la figurina che ti mancava, oppure il tuo idolo. Con le ‘figu’ doppie intavolavi gare infinite dalle regole più disparate per poter vincere più figurine e farti bello del tuo mazzo di doppie e triple che non valevano nulla ma per noi erano moneta contante.
C’erano poi periodi nei quali scoppiava qualche mania e così arrivò l’estate dello yo-yo. Due semisfere che andavano su e giù, arrotolandosi attorno ad un cordino, per una questione di forza di gravità. Non era proprio semplice, ma con un po’ di abilità di polso, potevi farlo ruotare in svariate maniere. Pareva una novità, ma era già in voga nell’antica Grecia e si gioca ancora.
Ciò che invece non si vede più se non nei circhi, è l’hula-hop, un cerchio di plastica dura che dovevi far girare in vita dando i giusti colpi d’anca. In questo esercizio, chissà perché, erano indubbiamente più brave le femmine e ce n’erano di quelle che sapevano farlo ruotare su su fino al collo, e anche oltre, sulle braccia allungate, oppure giù giù, fino ai polpacci, e magari su una sola gamba. Qualche mostro di bravura ne faceva pirlare anche due o tre contemporaneamente, tra l’ammirazione e l’invidia dei più imbranati. Dall’America arrivavano notizie di chi riusciva a sostenerlo per 10, 20 ore di filato che ti facevano sorgere spontanea la domanda: ‘ma come fanno a mangiare e bere’.
Una passione universale fu l’invenzione dello scubidù, il passatempo e l’arte di intrecciare fili di plastica colorati per ottenerne dei piccoli oggetti, solitamente usati come portachiavi, braccialetti, collane, orecchini e altri ornamenti. Talismano d’amore da regalare a chi ti piaceva, al quale si affidavano i sogni con una breve invocazione: ‘scubidù pensaci tu’. Più tardi vennero le palline clic-clac, due sfere legate da una corda da tenere tra pollice e indice da sbattere velocemente su e giù. I più abili duravano un bel po’, qualche fenomeno smetteva solo perché si stancava, ma la maggior parte faceva una mezza dozzina di battute e poi se le prendeva sul braccio, e infatti vennero battezzate spaccapolsi.
Poi comparve il flipper e un po’ per volta le diavolerie elettroniche del giorno d’oggi, videogiochi, playstation, Xbox, smartfon, iPad, tablet con giochi computerizzati sempre più sofisticati e già vecchi appena inventati che tengono seduti in casa i bimbi e danno tranquillità a mamme e papà ‘che così ce li abbiamo sott’occhio’, quegli stessi genitori che poi, magari, sono capaci di affermare che ‘ci si divertiva di più ai nostri tempi’.