E’ un pezzo di compensato con alcune macchie di vernice bianca che per la sua semplicità non attira certo l’attenzione. Eppure, ha una sua preziosità per la quale il proprietario, Antonio Paganoni, falegname astronomo conosciuto per i pregevoli lavori di restauro ligneo nelle chiese varesine e dei dintorni e per la sua grande competenza nella progettazione e costruzione di strumenti astronomici, lo conserva religiosamente. Se lo si osserva attentamente si nota una scritta in nero con una grafia veloce: “L’aspetto al più presto, possibilmente oggi stesso per un lavoro nella stalla dove già lavorano i muratori. Passi dalla casa colonica”. Sotto la firma: Morselli. Sì, Guido Morselli (1912-1973), lo scrittore, autore di romanzi postumi di successo, vissuto a Gavirate nella casetta rosa alla sommità dell’omonimo parco. Il padre di Antonio, Giuseppe, falegname, viveva e lavorava in via san Rocco a Comerio. Le due abitazioni, sebbene in comuni differenti, erano separate da prati e da un boschetto, ed erano facilmente raggiungibili tra loro. Antonio ricorda ancora quando l’autore giungeva a casa sua con la sua cavalla Zeffirino, attraversando questo breve spazio, per commissionare dei lavori al padre. Evidentemente quel giorno in cui ha scritto questo invito, attorno agli anni Settanta del secolo scorso, non lo aveva trovato e per lasciare segno del suo passaggio ha utilizzato il pezzo di compensato, trovato a casa e lasciato vicino all’ingresso, in modo che Paganoni andasse subito verso la stalla nella sua proprietà dove urgevano i lavori. L’osservazione di questo oggetto induce Antonio a ricordare i rapporti tra lo scrittore e il padre e a far memoria di alcuni episodi della sua infanzia legati allo scrittore. “Era una figura di casa per noi, tanto intensi erano gli incontri con mio papà. Sì, posso dire che erano amici, pur dandosi sempre del lei, per rispetto reciproco. Si stimavano molto, provavano fiducia reciproca. Lo ricordo arrivare sempre la domenica mattina. I lori dialoghi erano intessuti anche di quei silenzi che si instaurano tra persone, che, pur avendo effettuato percorsi diversi, scoprono di avere affinità”. Giuseppe eseguiva con estrema precisione i lavori di falegnameria richiesti, incontrando le esigenze dello scrittore, che teneva come un gioiello la sua tenuta. “Spesso veniva a prenderlo con la sua auto per condurlo nella sua villa di via Limido, dove necessitava di lavori -riprende Antonio- e accennava a libri che aveva scritto e che non venivano pubblicati”. Antonio ha un ricordo vivo di lui. Osservando la foto sulla copertina del suo “Diario”, pubblicato da Adelphi, che lo rappresenta appoggiato alla sua Ardea, targata VA. 22707, afferma: “Ecco, questa è l’immagine che ho di lui: sempre elegante, con gli stivali lucidi da cavallerizzo, quando era a dorso di Zeffirino. A noi bambini concedeva di raccogliere le fragoline del suo prato antistante la casetta rosa, o di salire sui due ciligi nei pressi dell’ingresso di casa per prendere i frutti -ricordo anche la scodellina che riempivo per portargliene a lui- ma era categorico: non si doveva rompere i rami, calpestare l’erba. Bisognava rispettare le piante, al punto che non volle assolutamente l’abbattimento di un albero rinsecchito, mi pare un noce, perché gli piaceva così. Lo ricordo arrabbiarsi per la musica del juke box che suonava al lido di Gavirate. Lui, che amava stare nel perfetto silenzio, non amava che noi bambini giocassimo a calcio in un campo adiacente, non di sua proprietà, per il rumore e perché calpestavamo l’erba. Non riesco a scordare la vigna e il frutteto tenuti in ordine dai coloni, il fieno che raccoglievamo nel prato di fronte la casa rosa. Pochi giorni prima di suicidarsi (ndr. il 31 luglio 1973) -conclude Antonio- disse a mio padre che aveva bisogno di parlargli. Niente lasciava presagire la tragedia. Quando venimmo a sapere la notizia, ricordo mio padre come annientato”.
Federica Lucchini