LA POLITICA DEVE FARE IN FRETTA
di felice magnani
E’ un momento difficile. Lo è perché vorresti che fosse tutto finito, che la libertà tornasse a essere la bandiera attorno alla quale legare le tue speranze, ma la realtà non concede fughe in avanti, mantiene fermo l’occhio sul presente con tutti i suoi problemi e le sue incertezze. Sei sempre sotto tiro, sulla difensiva. Il virus perde forza ma non molla, il mondo del lavoro è profondamente in crisi, molti negozi non riaprono, i soldi promessi arrivano solo in parte e nella maggior parte dei casi bisognerà aspettare ancora un anno e sperare che chi deve fare i conti e investire lo faccia con coscienza di causa. Nell’aria si respira rassegnazione, demotivazione, rabbia, frustrazione, c’è gente che non ce la fa, che aspetta un aiuto. C’è un’attività imprenditoriale che non riesce a decollare e la visione è coperta da un fitto velo di nebbia. C’è chi bazzica gli spazi aperti vivendo alla giornata, chi pensa ancora che l’Italia sia la patria di una facoltosa società industriale, c’è chi guarda verso l’Europa convinto di esserne parte, di poter contare sull’aiuto richiesto, in molti casi con quel patetico modo di fare all’italiana che indispettisce e che dimostra quanto il paese in alcuni momenti sia privo di motivazioni profonde, quanto sia caratterialmente fragile, incapace di camminare dritto verso la riconquista, dimostrando sul campo di avere le idee chiare e di saperle mettere in pratica. Di fronte a problemi grandissimi, che chiedono soluzioni immediate, la politica si divide sempre di più e perde tempo. Ormai sappiamo tutto, non abbiamo più bisogno di spettacoli teatrali. Quel popolo un po’spaurito e in parte molto disinformato del dopoguerra, prende sistematicamente coscienza della sua condizione, ora è in grado di analizzare, valutare, esprimere giudizi che non siano solo sentenze vittime di pregiudizi. La gente vede, la gente ascolta, la gente si pone dei problemi e cerca di dare delle risposte, la gente ama il proprio lavoro e il proprio paese, non vuole entrare nel vortice di un pietismo di maniera, vuole che chi ha il potere lo usi per risolvere i problemi, tagliando fuori la burocrazia, causa prima di tutti i mali che condannano il paese a un immobilismo senza futuro. Molti cittadini si domandano se questa sia la rappresentanza che volevano, se questo sia il modo di operare in un momento che richiede il massimo dell’operosità individuale e collettiva. Spesso si fermano e si guardano attorno, sperando che la scuola torni a essere il luogo educativo per eccellenza, l’incontro vero dell’umanità con la sua storia, le sue emozioni e i suoi sentimenti, si fermano pensando che la pandemia abbia insegnato molto, abbia messo in luce davvero fino in fondo il cuore dell’uomo e quel mondo dei bisogni e delle necessità di cui tutti hanno bisogno soprattutto quando le cose vanno male. La democrazia c’è, esiste, ha una voce, vorrebbe usarla, ma spesso il respiro è corto, le parole, quelle che contano, si perdono per strada o vengono assorbite da varie forme di egoismo o di furbizia congenita. Il cittadino non ha solo sensazioni, ma percezioni che nascono da dentro, passate al vaglio di una prosa filmica che non si lascia sorprendere, che sta attenta, che cerca di collaborare al massimo con i dettami costituzionali e con le imposizioni istituzionali. C’è dunque una democrazia viva che non riesce a decollare, che rimane incastrata in vizi di forma, che non riesce a focalizzare bene gli obiettivi da perseguire, che invece di imporsi si lascia condurre al guinzaglio da chi non prende decisioni e continua a rimandare, magari aspettando che succeda qualche miracolo. La democrazia ha voglia di fare, di inventare, di includere, di creare, vive una sua volontà di rivincita sulla sfortuna e sulle debolezze umane, ma chissà perché non riesce a trovare la forza sufficiente per scuotere gli animi da torpori che si sono solidificati con il passare del tempo e che le impediscono di rinnovarsi, di saper guardare oltre i confini privati, di saper mettere insieme le forze migliori per cambiare l’immagine di un mondo che manca di passione, di entusiasmo, di sentimenti alti, di motivazioni positive, un mondo che segna il crollo di una globalizzazione senza regole, di una diffusa licenziosità dentro la quale anche le costituzioni più autorevoli si perdono via, abbandonando per strada diritti e doveri, leggi e autorità. Un mondo che vorrebbe cambiare insomma, ma che non riesce a liberarsi dai vincoli di vecchie appartenenze, dentro le quali l’egoismo la fa da padrone. Si tratta dunque di una democrazia da ripensare? Certamente anche dai momenti difficili possono nascere situazioni nuove, magari più adatte e capaci di rispondere in modo adeguato a un sistema che, proprio a causa del Covid 19, ha dimostrato tutti i suoi limiti, le sue incapacità, il suo non essere all’altezza dei compiti che si prospettano e che richiedono soluzioni tempestive e adeguate. Il sistema scuola, ad esempio, era già profondamente in crisi prima del virus, una crisi che partiva da una situazione di natura strutturale per poi evidenziarsi anche nella sue massime espressioni metodologiche. Anche il mondo del lavoro e quello industriale in particolare soffrivano di profonde frustrazioni e demotivazioni, la politica si avvitava su personalismi assurdi, il sistema migratorio sfuggiva di mano e le risposte sono sempre state insufficienti e in molti casi persino assurde. Il virus ha messo in evidenza tutti i limiti di una visione complessiva dei problemi italiani, non riuscendo a trovare convincenti convergenze sulle modalità e sui sistemi da adottare per risolverli. Il problema della giustizia e quello relativo alle scarcerazioni scriteriate hanno riattivato un diffuso sentimento di sfiducia e di paura un po’ in tutta la popolazione, soprattutto in quella che ha sempre creduto e che continua a credere che basterebbe poco per rimettere le cose a posto, magari adottando una maggiore decisione nell’affrontare e nel risolvere i problemi. E’ dentro questa pandemia di incertezze che si consuma la parte più nobile di una democrazia straordinariamente bella ed è proprio per questo che diventa assolutamente necessario ripartire sapendo esattamente quello che si deve e quello che non si deve fare. Il popolo ha una grande pazienza, ma è molto saggio non abusarne.
OCCORRE UN GRANDE SFORZO
di Felice Magnani
Rispettare la normativa umana e le sue leggi significa testimoniare la cultura della fraternità nella sua accezione più ampia. In molti casi assistiamo a comportamenti inadeguati, privi di contenuti educativi, a interpretazioni del tutto arbitrarie e assolutamente prive di contenuto morale. Il mondo adulto, in molti casi, delega le proprie responsabilità e vive in modo del tutto arbitrario e individuale le proprie convinzioni, pensando che il proprio mondo sia il migliore dei mondi possibili. In questi anni abbiamo assistito a una caduta verticale dell’impianto sociale e morale di una parte consistente del mondo sociale, più preso da problemi d’immagine e di forma che non di sostanza. Manca un insegnamento che tenda far emergere quella parte della natura umana che informa la sfera dei sentimenti, che plasma l’interiorità, la coscienza, la vocazione a potenziare gli spazi del cuore e dell’anima. Rafforzare la vita interiore, ritagliare spazi da dedicare alla meditazione, alla riflessione, alla conoscenza di sé, è fondamentale per non perdere di vista l’aggancio con la dimensione umana della vita, quella che consente di mantenere vivi i legami con i valori della nostra esistenza. In una società che tende sempre di più a comunicare con il verbo della finanza e dell’economia e dove il valore è subordinato alle esigenze di mercato, diventa difficile costruire il nuovo, riuscire a coniugare il pensiero con l’azione, i valori con la loro pratica realizzazione. L’aridità umana, mai così in evidenza, porta all’esasperazione, alla follia, all’odio, ai drammi che quotidianamente ci vengono sottoposti dai mass media, in molti casi più propensi a spettacolarizzare che non a tentare di costruire forme di convivenza più adeguate. A ogni cittadino, sia esso maschio o femmina, deve essere consegnata la possibilità di realizzare le proprie aspirazioni e la propria volontà, secondo l’ordine costituzionale della nostra repubblica. Per troppo tempo la politica, che porta con sé il carisma grammaticale della femminilità, è stata considerata feudo di un’oscurantista filosofia maschilista, tesa a rafforzare il proprio potere su ogni forma di imparzialità. La donna, ad esempio, con la sua grande vocazione etica, civica, sociale e culturale, rappresenta una storia che la vede protagonista di quel grande e straordinario evento che è la vita. Chi meglio di chi la partorisce, può comprendere la vita stessa?Il rispetto è la chiave di lettura del livello di civiltà di un popolo ed è la più alta forma di maturità democratica. E’ il “biglietto da visita” di una democrazia sana, forte, capace di affrontare qualsiasi tipo di situazione, anche quelle straordinarie. Il rispetto lo si ottiene sviluppando forme educative convincenti, predisponendo un’intensa attività di prevenzione e di apprendimento culturale. Non esiste rispetto senza cultura, non esiste cultura senza una forte convinzione educativa. Bisogna quindi che tutte le agenzie si attivino per orientare il cittadino verso un’assunzione consapevole di modelli e di stili comportamentali adeguati, con l’appoggio di una politica estremamente attenta a coltivare questo valore con l’esempio, con l’ideazione e la messa a punto di regole adeguate. Anche la sicurezza rappresenta il punto di partenza di una democrazia forte e matura. Nasce all’interno di un sistema educativo che pone al centro l’uomo, il suo livello di consapevolezza, la sua capacità di interagire con se stesso e con il territorio di competenza e prende corpo nelle principali agenzie educative presenti sul territorio: famiglia, scuola e società civile. Premesso che la sicurezza sia un fatto di natura culturale, ciò non toglie che possa diventare un problema, nel momento in cui, mancando le condizioni strumentali necessarie, metta a rischio l’incolumità morale e fisica delle persone e tutto il sistema delle relazioni. Diversi possono essere i fattori che determinano il fenomeno di una decadenza della sicurezza all’interno del sistema democratico, ad esempio la relativizzazione del concetto di Autorità. Oggi assistiamo a un progressivo depauperamento delle regole, delle figure e dei ruoli. Si commettono molti reati, ma nella maggior parte dei casi restano impuniti a causa di un eccesso di garantismo. Due possono essere le vie per garantire realmente la sicurezza del cittadino: un rafforzamento di tutto il sistema educativo presente sul territorio, a scopo preventivo e l’attivazione di un circuito di valorizzazione e responsabilizzazione del sistema di sicurezza, conferendo al cittadino stesso un’immagine giuridica più efficace nella lotta contro ogni forma di trasgressione e prevaricazione. Educare, responsabilizzare e valorizzare sono passaggi necessari per ricreare le condizioni di un modello democratico efficiente. Incoraggiare, promuovere, premiare sono azioni che possono cambiare radicalmente i caratteri delle persone e di un sistema, in molti casi votato alla demotivazione, alla pianificazione, alla emarginazione e all’appiattimento intellettuale. Uno Stato deve concorrere alla valorizzazione dell’essere umano, nella sua volontà di essere parte attiva e integrante di un grande processo di rinnovamento e di riqualificazione dell’immagine e dei ruoli. Ogni persona è portatrice di risorse e di qualità, di fantasia e di creatività, di volontà e di aspirazioni al fare e al condividere. Si tratta di permettere a tutti di condurre fuori quelle enormi ricchezze che stazionano nei cuori e nelle menti, indipendentemente dalle condizioni sociali e intellettuali. Ognuno deve avere il diritto-dovere di esprimersi e di costruire, in un clima di attenzione, condivisione e stimolazione. I meritevoli, coloro i quali dimostrano con le proprie capacità e con la propria volontà di concorrere alla costruzione della “città” del futuro, devono poter incontrare spazi di operatività, all’interno dei quali depositare le proprie risorse umane e intellettuali. Promuovere l’essere umano e rompere l’incantesimo castale che ha ingessato la politica e non solo, in questi anni, è uno dei compiti fondamentali di chi si propone di cambiare le regole del gioco. Occorre sottolineare la reale importanza dell’onestà intellettuale, che deve trovare riscontro nella capacità del politico e della politica di essere coerenti con i principi e i valori che stanno alla base del patto di fiducia stabilito con i cittadini. Essere onesti intellettualmente significa agire secondo un codice etico che antepone sempre l’interesse pubblico a quello privato, il rispetto delle persone, la volontà di operare per il bene della Comunità, nella liceità e nella legalità. Onestà nell’esercizio del potere, onestà nella elaborazione e nella realizzazione del pensiero politico, onestà in qualsiasi campo o settore della intrapresa politico-amministrativa, onestà nel rispetto delle promesse fatte, onestà nel proprio modo di essere e di porsi nei confronti di chi ha votato la nostra fiducia. Essere onesti nella società attuale, significa esprimere con molta chiarezza il proprio pensiero, anche quando sfida apertamente la disonestà, spogliandola della sua maschera e mettendone a nudo i sistemi mistificatori sui quali si è retta e, in molti casi, continua a reggersi. Essere onesti significa essere se stessi, dichiarare apertamente i propri valori senza il timore di doversi compromettere per piacere a qualcosa o a qualcuno. In molti casi la politica e i politici hanno perso fiducia e hanno generato destabilizzazione perché non hanno saputo o voluto esprimere con chiarezza e sincerità, fino in fondo, la propria coerenza. Premesso che i valori siano espressione di una volontà, è dunque la volontà della persona che si caratterizza e che caratterizza il suo comportamento, la sua azione politica. Essere morali, ad esempio, significa agire nel rispetto di se stessi e del prossimo, esprimendo con correttezza e coerenza l’essenza di quei principi che si identificano nella nostra tradizione. La moralità si configura nel linguaggio verbale, gestuale e nel rapporto relazionale che si delinea tra autorità ed esercizio dell’autorità stessa, tra potere e necessità, nella capacità di saper rispondere ai bisogni e alle attese della popolazione. La forza della moralità si misura soprattutto con l’esempio. L’esempio deve essere chiaro, comprensibile e accessibile a tutti, perché il suo carattere fondamentale è l’universalità. Ci siamo spesso imbattuti in uomini politici e in una politica che hanno costruito una propria morale, una morale di comodo, modellata e strutturata secondo le proprie mire ideologiche e personali, giustificativa di qualsiasi atto o azione potesse soddisfare la propria ambizione personale, a dispetto dei bisogni e delle necessità delle persone. Il politico e la politica non sono una sezione staccata del corpo elettorale, bensì la diretta espressione, quindi hanno il compito di leggere, interpretare e capire in quale direzione operare, per il bene della Comunità. La costruzione del bene pubblico deve essere l’obiettivo primario di tutta l’azione politica. L’immoralità di una parte della classe dirigente italiana ha generato molti dei mali che affliggono il costume della nostra società, come la trasgressione, la prevaricazione, la destabilizzazione dei ruoli e delle figure di riferimento, la sfiducia nelle leggi, nella giustizia, nella legalità, nell’autorità, nell’educazione e in tutte le forme regolative del nostro sistema. Per questo si rende necessario ripristinare un ordine etico della persona e delle sue pubbliche responsabilità. Moralizzare i politici e la politica è essenziale per ricostruire un clima di fiducia nelle attese popolari ed un ordine naturale nel quale sia possibile riconoscersi e lavorare.
NEL DRAMMA, LA FEDE SI RISVEGLIA E PROPONE
di felice magnani
Mai come in questi anni santa madre chiesa ha dovuto lottare non solo con le sue straordinarie forze divine, ma soprattutto con quelle umane, quelle che riguardano il sistema organizzativo di un’istituzione globale. Una chiesa spesso in lotta con se stessa, con i propri problemi di natura umana, con diversità che nel tempo hanno rischiato di diventare insanabili. I grandi temi della sessualità, della famiglia, dell’ordine morale, della continuità e della coerenza, di una vocazione politica non sempre all’altezza della situazione, sono problemi che ne hanno messo a dura prova il confronto con un mondo meno passivo, più capace di capire il senso della fragilità e della debolezza di una delle istituzioni intoccabili, nata e cresciuta sotto l’occhio attento della cultura cristiana e del suo fondatore. Una chiesa in alcuni casi vessata al proprio interno, messa in discussione, interpretata e messa spesso davanti allo specchio, specie nelle sue parti più vulnerabili, dove spesso l’abito non è sempre in linea con il cuore del vangelo. Una chiesa che ha perso strada facendo la sua connotazione gerarchica, il suo essere sopra le parti, il suo tirarsi fuori da quella natura umana che nonostante la sua vocazione divina deve attraversare zone desertiche naturalmente impervie, dove la grazia e la fede in molti casi non bastano, perché necessitano di formazione e di educazione, di psicologia e di pedagogia, di capacità di capire se quell’idea delle origini può essere sempre valida o non soggetta all’evoluzione delle gradi trasformazioni, che pur restando vincolate al circuito umano, mutano sostanzialmente il loro modo di essere nel mondo. Forse una visione per troppo tempo scomposta, spaccata, posta sotto l’egida di una continuità priva di riflessione critica e di capacità introspettiva, l’idea che le condizioni umane fossero intoccabili e soggette sempre a volontà di ordine universalistico hanno impedito che tra il sacro e il profano potesse esistere una condizione intermedia, capace di dimensionare, dirimere, modificare, valutare, modificare, mai per contrapposizione pregiudiziale, ma per necessità storica, essendo l’uomo naturalmente vincolato alla vita terrena e alle sue condizioni. Certo non deve essere stato facile l’aver dovuto mantenere intatta una linea guida con tutte le sue ambiguità, i suoi problemi di connessione e di adattamento, non deve essere stato facile mantenere intatto nel tempo quello spirito che in molti casi finiva per diventare preda del potere e delle sue negazioni, non deve essere stato facile puntare decisamente su una continuità che perdeva spazio e credibilità nei confronti di una realtà sempre in movimento, capace di riconsiderare la storia personale e quella morale in tutte le sue forme e le sue peculiarità. Dunque una chiesa che, forse, si è lasciata un po’ andare, rafforzando l’immagine individuale, fondata molto spesso sui valori del mondo, primo fra tutti l’orgoglio, la possibilità di poter disporre del potere a seconda della necessità di turno, senza chiedersi se l’esercizio di quel potere fosse davvero consono all’immagine di un’istituzione strettamente vincolata al messaggio cristiano. E’ in questo andirivieni di comportamenti individuali, diventati in alcuni casi ambigui, che è venuta a mancare quella chiesa della predicazione che aveva invaso di speranza le anime spesso vessate della gente comune, quella che della chiesa rappresenta l’anima reale, la sostanza, il terreno fertile su cui appoggiare l’amore di Cristo e la pietà di Maria. In questi anni di profonde trasformazioni sociali e anche morali, dove spesso i valori della tradizione sono stati costretti a sopravvivere come soprammobili, senza che nessuno si preoccupasse più di coltivarli e alimentarli, la chiesa si è ancora di più arroccata, ha fatto delle scelte di campo in alcuni casi troppo di parte, troppo politiche, pur sapendo che l’amore o è distacco totale, abbandono nella sua accezione francescana o rischia di scontrarsi con le ragioni di una verità a tratti più positivista, più connessa ai problemi della politica e quindi della coerenza non solo morale, ma giuridica, sociale, culturale. Nell’esercizio della catechesi di oggi si assiste a una chiesa presente, ma disorientata, politicamente confusa, divisa, incapace in molti casi di prendere decisioni univoche, titubante sulle questioni di natura morale, sospesa tra rappresentazione e realismo, tra personalismi e idealismi, tra predicazione e arroccamento. C’è qualcosa nell’aria che nega, che crea ambiguità, emarginazione, isolamento, solitudine, depressione, qualcosa che molti sacerdoti non sanno più interpretare e vivere con quella determinazione che ha contraddistinto la chiesa del dopoguerra, quella che fondava sull’educazione religiosa la forza della trasformazione morale del mondo. Oggi in molti casi il prete o segue o si lascia convincere o manca, in alcuni casi è estremamente difficile vederlo, capirlo, sentirne la presenza, soprattutto quando la gente sente il bisogno di qualcuno che le ricordi chi è Gesù, chi è Maria, quale sia il reale valore della fede cristiana. Il più delle volte l’uomo e la famiglia sono soli, abbandonati da chi, forse, dovrebbe avere il compito di fornire la chiave di lettura di una condizione, che con il passare del tempo diventa sempre più difficile. Ma la chiesa ha il grande vantaggio di essere espressione dello Spirito divino, quindi ne gode della particolare attenzione anche in tempi come il nostro, dominato dalla sofferenza e dalla malattia. Forse mai come ora torna bene in luce l’immagine di un Cristo che ci accompagna, rendendo più agevole il cammino, non facendo mai dimenticare quella lieta novella che ha la forza immensa di rigenerare, di produrre nuova fede e nuova grazia, di rimettere in cammino una umanità fortemente provata dal male e profondamente in crisi. Le grandi crisi istituzionali sono comunque crisi umane, anche quando il respiro è quello delicato e profondo dell’anima, un’anima che in alcuni casi si perde perché forse poco coltivata e raccolta, lasciata consumare tra spazi desertici mai bonificati. Oggi c’è un forte bisogno di anima e anche la televisione, la tanto bistrattata televisione, si trasforma in alcuni momenti in strumento di comunicazione cristiana, luogo dove la parola continua ad alimentare la meditazione, la riflessione e la contemplazione, trasformando il salotto di casa in una chiesa domestica, in un luogo di preghiera, in una catacomba da preservare con cura. E’ anche così che il mondo cambia e propone un’immagine diversa della propria identità, senza peraltro dimenticare o sminuire ciò che la storia ha costruito con amore e pazienza nel corso dei secoli. Dunque comprensione per la chiesa che si rinnova, comprensione per una politica che ha bisogno di ritrovarsi, di una attività educativa che deve riattivare i propri principi e i propri valori con tutta l’autorità e la fermezza possibile, per un mondo del lavoro che possa incontrare le attese e le passioni dei cittadini, comprensione per un’Europa che ha bisogno di costruire una Costituzione che la rappresenti, che la renda unita, consapevole che la propria forza stia soprattutto nella sintesi e nella sinergia, nella capacità di coordinare le proprie forze morali, sociali, intellettuali, politiche, militari, economiche, culturali e religiose, un’Europa credibile sempre, innanzitutto educatrice di uomini e donne, di cuori, di anime e di valori. Ripensare, rianimare, ripartire, ricominciare rilancia la natura umana, la fa sentire di nuovo in pista, protagonista di una storia perché a ognuno venga riconosciuto il proprio ruolo e la propria identità morale e sociale. Dunque come affermavano i nostri vecchi, quelli che hanno pagato il contributo più alto all’attacco proditorio del nemico, non tutti i mali vengono per nuocere, bisogna sempre mantenere accesa la fiaccola della speranza e saper guardare con occhi fermi il presente e soprattutto il futuro, per essere pronti al rinnovamento. Nulla di tutto quello che è stato seminato, in particolare da santa madre chiesa, andrà perduto se l’uomo avrà finalmente il coraggio di spogliarsi delle sue negatività, del suo voler competere per affermare primati inesistenti. Solo se da parte di tutti ci sarà un profondissimo atto di umiltà e si vorrà realmente capire da che parte stia il buon senso comune, forse si riuscirà a risalire la china, ma gli errori commessi non potranno essere fatti sparire troppo in fretta, dovranno diventare il motivo comune su cui costruire un nuovo valore cristiano, su cui appoggiare quella fede che ha ridato al mondo la possibilità di non morire. Solo così, forse, la vita avrà di nuovo un senso e l’esperienza vissuta sarà servita a rinserrare le file di chi, nonostante tutto, è convinto che buona parte della felicità terrena dipenda dal rapporto che sapremo stabilire con Dio, attraverso le sue creature e attivando quella unità d’intenti che dovrà essere la base su cui costruire il nuovo che verrà. Mai come oggi abbiamo bisogno di metterci in ascolto, di sentire la carezza della fragranza cristiana, di ritrovare la via, di imparare a vivere come se dovessimo morire, è la pandemia che ci sollecita, è la malattia che riattiva un pensiero trascurato, è la difficoltà del vivere che ci aiuta a capire meglio la nostra condizione, la necessità di sapere che la vita ha sempre due aspetti, quello umano e quello legato all’eternità, quello che finisce e quello che si trasforma.
UNA SCUOLA DA RIVISITARE
di felice magnani
Di scuola si è sempre parlato pochissimo, anche se in qualche caso si sono tentate riforme all’acqua di rosa, che hanno tolto o aggiunto, ma senza aver ben chiaro lo stato di necessità sociale di una nazione in cui la mummificazione del passato impediva di poter guardare bene in viso il presente e il futuro. In molti casi ha perso di vista la sua spinta educativa, l’idea di far uscire allo scoperto l’orgoglio e la fierezza di una cultura fatta apposta per sviluppare l’ampiezza sociale del senso critico, si è trovata di fronte il mondo e la necessità di stabilire un dialogo vero, serrato e profondo, un dialogo che permettesse agli esseri umani di testare sul campo la necessità di conoscersi meglio. Si è passati da un provincialismo classista a una concezione mondialista, dove il valore non era più solo appartenenza o proprietà, ma dove il tema fondamentale diventava conquista sociale del valore, capacità di educare gli animi all’interazione e all’integrazione, alla possibilità di creare ponti e di approfondire modi diversi di concepire e adattare la cultura a un sistema sociale radicalmente nuovo. Una cultura più fondata sulla mobilità, sul dinamismo intellettuale, sulla possibilità di fare esperienze sul campo, sulla necessità di un apprendimento linguistico che facilitasse i rapporti interpersonali tra le diverse parti del mondo. E’ sui grandi valori della cultura che si gioca il futuro delle società, è sulla collaborazione e sull’incontro che i rapporti si rafforzano e si stabilizzano, è sulla comprensione umana che si gioca il futuro delle nuove generazioni. La scuola è anche quella che fa capire che oltre i muri delle diversità esistono spazi di uguaglianza dentro i quali sarà forse possibile costruire quel mondo di cui tutti parlano, ma che resta per molti un orizzonte senza confini. Non una scuola chiusa e arroccata, privilegiata, ma una scuola aperta, dove l’attività fisica si sposi a quella mentale, dove il giudizio risenta di una forte umanità, permettendo ai giovani di scoprire i propri valori e le proprie tendenze, una scuola che sviluppi le sue attitudini in ambienti idonei, che sappia riscoprire il senso della bellezza, della musica e dell’arte, che sappia far vivere sul campo tutte quelle emozioni che spesso restano stigmatizzate nei video digitali. Si tratta di riattivare il valore sociale di una comunità scolastica che si muove tra persone che stanno crescendo e che hanno bisogno di mettersi alla prova, di scoprire di che pasta sono fatte, di costruire anche solo una parte di quel mondo nel quale dovranno poi esercitare le loro attitudini. Si tratta di rifondare una scuola che sappia riconoscere i propri errori e che sappia lavorare seriamente per cercare di vitalizzare al massimo le risorse dell’essere umano, promuovendo una ricerca continua, un dinamismo passionale, la capacità di poter fare e costruire senza la paura di sbagliare, una scuola che non incuta paura, ma una grandissima voglia di fare e di fare con grande entusiasmo, fuori dai muri dell’omertà e di una costituzionalità più formale che sostanziale. Forse la scuola va costruita insieme al tempo che corre e alle grandi trasformazioni umane, sociali e culturali che caratterizzano la storia recente e quella passata. Meno burocrazia amministrativa e più sostanzialità pratica, meno superficialità ideativa e più volontà costruttiva, superando quelle barriere che hanno impedito alla scuola di essere realmente quello che è, ricerca in perenne divenire, confronto e studio, sperimentazione e trasformazione, luogo dove le idee si confrontano per far crescere visioni più attente alla crescita e allo sviluppo dello spirito umano, alla sua capacità di dare corpo e sostanza a quel piccolo mondo che ci appartiene e dentro il quale dobbiamo continuamente trovare risorse ed equilibri. Chi ha vissuto la scuola sa quanto sia stata condizionata nelle sue parti più significative, quelle nelle quali la libertà assume un significato umano di grande spessore sociale, perché non esiste nulla di talmente immobile da non poter subire le giustificate trasformazioni di una intellettualità che si muove e armonizza, che bussa molto spesso alla porta per ricordarci che la conoscenza è molto più ampia e profonda di quanto non immaginiamo e di quanto sia importante attivare quel campo della ricerca, lasciato nella maggior parte dei casi in balia di un attivismo classista più rivolto all’interesse personale che a una sostanziale apertura mentale di uomini e donne alla ricerca di una dimensione umana, sociale e morale da pensare e da vivere senza l’assillo di ingiunzioni impositive, scaturite da una società più impegnata a difendere se stessa, che a intraprendere un solidale cammino di matura libertà individuale e collettiva. Una scuola dunque onnicomprensiva, molto ben inserita nel contesto sociale, capace di esserne parte attiva e innovativa, capace di suggerire e consigliare, di sedersi al tavolo della sollecitazione civile aiutandone la diffusione e lo sviluppo. Una scuola che punti decisamente su una visione di mondo aperta sui grandi orizzonti e sulle grandi culture, pronta a fungere da supporto alle aspettative umane, capace quindi di anticiparle e di farle conoscere, una scuola in costante divenire, capace di cambiare e di inventare, di essere al passo coi tempi e mai serva di nessuno, in particolare di quelle pastoie burocratiche che ne hanno limitato nel tempo lo slancio ideativo e operativo, una scuola che sappia essere positivista e idealista, liberale e umanamente capace di interpretare le esigenze degli esseri umani, senza sottoporli necessariamente a inutili imposizioni, ma attenta stimolatrice di nuove armonie tra necessità pratiche e spirituali, tra ciò che è inevitabile e ciò che invece non lo è. Un scuola che non muore di giudizi o di pregiudizi, ma che è sempre pronta a mettersi in discussione, cosciente della propria missione educativa, al centro della quale c’è sempre lui, quell’essere umano che si guarda attorno per godere di quella generosa ricchezza che ha ricevuto in dono da chi lo ha voluto protagonista della vita umana e delle sue ricchezze.