E’ MORTO SANDRO MAZZINGHI, IL PUGILE CAMPIONE DEL MONDO AMATO DA TUTTI
di felice magnani
Chi ama la boxe nella sua versione professionistica non può non aver amato Sandro Mazzinghi, il campione di Pontedera che ha coronato di successi una vita vissuta all’insegna di una straordinaria generosità sportiva. Campione del mondo dei medi junior e Campione d’Europa sempre nella stessa categoria negli anni sessanta, ha dimostrato quanto la boxe, apparentemente violenta, potesse ripagare chi la praticava per dimostrare che anche nella fatica e nella sofferenza la vita può avere un senso, restituendo all’essere umano quella parte di felicità di cui spesso la natura lo priva. Sandro Mazzinghi, un pugile e un uomo tutto d’un pezzo, capace di andare sempre oltre le vicissitudini dell’esistenza, uno che ha sempre creduto nella sua missione, in una professione che può dare molto, ma solo se la si sa accostare e gestire con la giusta maturità. Della terra toscana ha sempre mantenuto la solidità, la capacità di non lasciarsi sopraffare, di guardare in faccia a viso aperto la realtà senza mai lasciarsi travolgere, adottando quella semplicità e quella generosa vocazione filiale che ha contraddistinto il suo rapporto con la famiglia, in particolare con il fratello Guido, suo allenatore e suo mentore spirituale, la persona che più di tutti ha seguito la sua brillante carriera, orientandolo nei momenti difficili, quando una voce amica può cambiare radicalmente in meglio le sorti di un’avventura. Tra i suoi innumerevoli combattimenti ricordiamo quello contro l’australiano Ralph Dupas allo Stadio di San Siro a Milano per il titolo mondiale dei pesi medi junior, un titolo che Sandro ha strappato con la forza di un leone e poi quello contro Ki Soon Kim al Palazzo dello Sport di Roma. Indimenticabili gl’incontri con l’eterno rivale Nino Benvenuti, rimasti nel cuore del pubblico sportivo, nei quali ha sempre dimostrato tutta la sua carica agonistica, il suo mestiere, la sua capacità di saper essere grande anche nella sconfitta. Con la scomparsa di Sandro Mazzinghi se ne va anche una parte importante della storia pugilistica italiana, quella che ha lasciato un segno nello sport e nella vita, richiamando l’attenzione sulla bellezza di uno sport, il pugilato, che attinge alle qualità umane per affermare la propria fede nella maturità e nel rispetto.
STORICI DUALISMI 1
BENVENUTI/MAZZINGHI
di felice magnani
Si può amare la boxe? Forse sì, ma bisogna sollevarla dalla polvere della violenza, una polvere che l’ha costretta a subire per molto tempo l’incomprensione umana, cristianamente legata ai vincoli del rispetto, dell’arte, di una cultura sportiva rimasta per troppo tempo vittima di scenari violenti, che nulla avevano a che vedere con le regole di uno sport che un giorno sarebbe passato alla storia come nobile arte. Il boxeur non è mai stato figlio di un medico o di un avvocato o di un notaio o di un farmacista, nasceva in una famiglia semplice, legata al lavoro, ai figli, all’amore per lo sport, con un’attenzione particolare per la boxe, soprattutto quando a interpretarla erano uomini che possedevano stile, eleganza, intelligenza, capaci di dare una svolta significativa alla loro vita accettando un preciso sistema di regole. Passare dalla strada alla palestra non è mai stato facile, perché dietro a ogni trasformazione c’era quello che Socrate definiva un chiaro procedimento maieutico, la capacità di guardarsi dentro, di interrogarsi, di posizionare positivamente quell’energia che spesso madre natura elargisce con grande abbondanza. Ma chi è veramente un pugile? Un fallito che si butta sul ring per inseguire un sogno o una persona che sa di poter raggiungere obiettivi elevati combattendo ogni giorno la sua battaglia contro la violenza, l’esuberanza, la sfida e l’orgoglio con quell’energia mentale che, se ben guidata, può aprire le porte di un grande successo non solo sportivo, ma soprattutto morale. Chi ama la boxe difficilmente si lascia coinvolgere da un clima rissoso, osserva, impara, si prepara, cerca dentro di sé le motivazioni che diano un senso a un pugno dato con stile ed eleganza per dimostrare che nella vita bisogna lottare, che la lotta ha le sue regole, i suoi lati toccanti, quelli che ti fanno amare lo sport, soprattutto quando chi lo pratica esprime valori e insegue un destino migliore. Dietro a una grande vittoria sulle bassezze della vita c’è sempre un grandissimo impegno, in cui lo sport diventa come per incanto una missione. Entri in una palestra perché ti senti chiamato, perché hai bisogno di essere seguito, perché quel pugno che vorresti sferrare al tuo nemico del momento si cimenti alla pari con quello degli altri. Senti che la boxe è fatta su misura per te, proprio per questo la devi fare e la devi fare bene, tirando fuori il meglio della tua personalità. Chi ha visto combattere sul ring campioni del calibro di Ray Sugar Robinson, Emile Griffith, Nino Benvenuti, Mohammed Alì, Marwin Hagler, Duilio Loi, Tiberio Mitri, non può non aver provato emozioni fortissime, non può non essersi innamorato di un pugilato che metteva in scena la sua eleganza e la sua energia, la capacità di non essere colpiti, di schivare i colpi, di saper rispondere alle provocazioni con una giusta dose di giustizia sanzionatoria. Il pugile non ha mai avuto una sciabola tra le mani, ma ha dovuto imparare a conoscere i segreti della scherma, cercando di capire chi aveva di fronte, doveva imparare a conoscere molto bene il suo avversario, i suoi punti di forza e i suoi punti deboli, diventare anche un po’ psicologo, non doveva lasciarsi sorprendere, ma essere pronto, soprattutto quando la “sopravvivenza” dipendeva dall’intelligenza, da come sapevi distribuire le tue forze, da come riuscivi a condurre fino in fondo ciò in cui credevi. Il pugilato non è mai rissa, neppure quando la lotta si fa dura, perché ha delle sue regole precise e c’è sempre una giuria pronta a colpire se sgarri. E’ l’arte di saper colpire solo quando è necessario, quando senti che se quel colpo non parte, non parte neppure il sogno di una vita. Nino Benvenuti e Sandro Mazzinghi sono stati due miti della box nostrana, ma anche mondiale: quanto tifo, quanta gente con l’orecchio sulla radio di giorno e di notte, quanta voglia di vederli combattere, quanta speranza in quei due giovani baldanzosi che avevano sposato la vocazione alla boxe. Uno triestino, l’altro toscano. Diversi nel modo di essere, di vivere, di parlare, di affrontare una comunicazione scritta e verbale a tratti spietata, ma uniti nella gran voglia di dimostrare che l’arte, quando è nobile, ti prende e ti emoziona, proprio come faresti davanti a un dipinto di Raffaello. Nino e Sandro, due italiani che hanno fatto emozionare il mondo con il loro modo di essere, il loro slancio, la loro generosità, la loro voglia di dimostrare che gli’italiani sanno sacrificarsi, soffrire, subire, sanno soprattutto dimostrare che si può vincere, ma anche perdere con onore. Nino e Sandro, due pugili con due caratteri forti, dotati di quella giusta ironia che fa sorridere anche quando un uppercut ben dato può svuotare il cervello, far piegare le gambe e lasciarti col cuore sospeso tra la terra e il cielo. Benvenuti e Mazzinghi, due modi molto diversi d’interpretare l’arte della boxe, due scuole, due modi di essere dentro e fuori dal ring, due personaggi che hanno saputo dosare le loro forze, dare e incassare, senza nulla concedere a interpretazioni maliziose, due pugili che hanno fatto del loro mestiere il modo migliore per rispondere alle asprezze della vita, dimostrando che lo sport può fare miracoli, quando lo si sa capire e applicare. Nella loro combattiva diversità c’era il segreto dell’entusiasmo popolare. Nino calcolatore, Sandro picchiatore, uno portato per lo studio, la ricercatezza formale, l’eleganza anche fuori dal ring, l’altro per l’assalto e la sostanza. Nino con un viso da attore hollywoodiano, Sandro con un viso arcigno, duro, di quelli che non sono abituati a sorridere. Nino alla ricerca di una boxe essenziale, decisiva, Sandro soffocante, arrembante, mai sazio. Due modi molto diversi di vivere e di interpretare il gesto sportivo, la ricerca e lo studio della raffinatezza da una parte, l’espressione di una vitalità fisica incontenibile dall’altra. Entrambi hanno raggiunto grandissimi risultati a livello nazionale, europeo e mondiale, battendo i mostri d’oltreoceano. Benvenuti è stato medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma, è diventato campione del mondo dei pesi medi battendo Emile Griffith nel salotto di casa sua, quel Madison Square Garden di New York, santuario della boxe americana e mondiale. Sandro Mazzinghi da spopolato contro avversari fortissimi, conquistando il titolo mondiale dei superwelter al Velodromo Vigorelli di Milano il 7 settembre 1963, contro Ralph Dupas a soli venticinque anni. Si sono incontrati in due memorabili combattimenti. Nella storia della boxe nazionale, fucina di straordinari campioni che hanno dato lustro al pugilato italiano nel mondo, Benvenuti e Mazzinghi conservano quell’ispirazione storica dello sport che non si consuma con il trascorrere del tempo, ma che continua a regalare ricordi di momenti straordinari, quando l’entusiasmo e la passione per lo sport del pugilato dominava le prime pagine dei giornali, la radio e la televisione. Di questi due grandi e indimenticabili campioni conserviamo un ricordo epico che ha accompagnato gli entusiasmi della nostra giovinezza e ancora oggi, ogni tanto, li andiamo a rivisitare nelle pagine di Internet, anche solo per sapere come stanno, come vivono la loro vecchiaia, ma anche per rivederci qualche mitico incontro, di quelli che ci hanno fatto stare con il fiato sospeso. Con loro il pugilato è diventato una rivincita sul disagio e sulle asprezze della vita,a dimostrazione che lo sport, quando è ben rappresentato e guidato, può anche fare miracoli.