E’ MORTO O’REY
EDSON ARANTES DO NASCIMIENTO, DETTO PELE’, IL GIOCATORE STELLARE DEL SANTOS E DELLA NAZIONALE BRASILIANA E’ MANCATO ALL’ETA’ DI 84 ANNI. L’UNICO VERO, GRANDE MITO DEL CALCIO, INSIEME A DIEGO ARMANDO MARADONA, IL CALCIATORE ELEGANTE, RAPIDO E POTENTE, DOTATO DI UNA RARISSIMA INTELLIGENZA CALCISTICA SE N’E’ ANDATO, LASCIANDO NEL CUORE DI CHI LO HA AMATO IL RICORDO BELLISSIMO DI UN CALCIATORE CHE IL CALCIO LO HA AMATO DAVVERO.
di felice magnani
Era il lontanissimo 1958 e la televisione in bianco e nero faceva la sua comparsa, portando nelle case degl’italiani che se la potevano permettere una grossa ventata di novità. Il mondo diventava più piccolo, si lasciava leggere e osservare senza opporre resistenza. Non era più necessario immaginare, pensare, fantasticare, potevi vedere da vicino la realtà e ascoltare la voce di chi la raccontava. Lo sport in quell’anno andava alla grande grazie al calcio e ai suoi beniamini. Sopra tutti, a livello internazionale, il grandissimo Brasile. Era il Brasile dei fuoriclasse, di giocatori che, osservati e raccolti dalle favelas, sapevano creare fantasmagoriche goliardie calcistiche, entusiasmando il popolo della “pelota”. Un calcio d’istinto, provato e riprovato tra radure polverose, piane ondulate e sterrate, vissuto con lo spirito di chi si sente incollato alla vibrante leggerezza di un pallone che induce a correre, saltare, dribblare, sognare, un gioco che non finisce mai di stupire, tanta è la sua capacità di toccare le corde misteriosamente belle della natura umana. In quella nazionale brasiliana non c’erano solo giocatori, ma vere e proprie stelle, capaci d’illuminare “d’immenso” una vita spesso povera e incompresa, fatta di stenti e privazioni, ma proprio per questo più capace di alimentare entusiasmi e passioni, rovesciando in positivo quella marea di delusioni e a di amarezze che una povertà incancrenita portava con sé. Non era necessario essere adulti e avere il dono della preveggenza per capire che quei giocatori avevano la straordinaria capacità di cambiare la faccia del mondo con una finta, un passaggio, un tiro, un palleggio, un colpo di testa, un assist, un dribbling, bastava osservarli per esserne stregati. Edson Arantes do Nascimiento, detto Pelé, un ragazzo di diciassette anni, faceva la sua comparsa nel calcio internazionale e lo faceva incantando il pubblico di tutto il mondo. Un calciatore uscito dalla bacchetta magica di un mago, capace di scombinare le attese, di incantare e di spargere fragranze di pura bellezza visiva. Vederlo giocare era come entrare in un mondo dominato da una particolarissima forma di danza acrobatica, dove un giovane e una palla distribuivano emozioni a cuori amanti dell’arte. Niente violenza o cattiveria, niente frustrazioni, niente di tutto ciò che distrugge la forza e la bellezza di chi trova per strada la sua identità e la usa per aiutare il mondo a sorridere, a vivere un momento di autentica liberazione dalle povertà di una vita che non sempre dà tutto quello che promette. In quell’ormai lontanissimo 1958, mentre la nazionale svedese sembrava affondare la corazzata brasilera con due gol di vantaggio, un certo Pelé, punto di forza del Santos e molto conosciuto nel suo paese per la facilità della goleada, entra in campo. Nessuno sapeva esattamente cosa potesse succedere in quella nazionale formata da giocatori che rispondevano ai nomi già prestigiosi di Gilmar, Dialma Santos, Nilton Santos, Zito, Bellini, Orlando, Didì, Vavà, Zagalo, Garrincha, una squadra considerata siderale e imbattibile, frutto di una straordinaria combinazione di talenti raccolti un po’ ovunque tra il verde delle colline e le spiagge bianche e incantate di Rio, giovani saliti alla ribalta della storia quasi per un caso del destino. Pelé entra e segna due reti, due gol favolosi che lo impongono all’attenzione mediatica mondiale. L’osannata Svezia di Hamrin, Skoglund, Prest, John Hansen, la Svezia dei fuoriclasse del nord, che avrebbero invaso prestissimo il calcio italiano, si arrende all’intelligente fantasia brasilera di un negretto dotato di un raffinatissimo senso estetico, di una ineguagliabile leggerezza inventiva e soprattutto capace di essere ovunque al momento giusto, diventando punto di partenza e di arrivo di un gruppo di veri e propri maestri della “pelota”. Pelé è il goleador che sa impostare, costruire, che anticipa e che è prontissimo a raccogliere e a vivere la sua fortuna. Sul terreno di gioco primeggia e incanta, soprattutto nell’area di rigore avversaria, dove diventa difficile prevederlo e prevenirlo. E’ un goleador con una classe sublime, elegante, leggera, potente, acuta, con quell’estro che diventa arte e che vola sopra ogni tipo di pianificazione o di programmazione. Lui e la “pelota” sono un corpo e un’anima sola, vivono una coesione perfetta che ha qualcosa di spiritualmente integro, qualcosa che nasce da uno spirito capace di trasformare la durezza del gioco in leggerezza acrobatica. Un giocatore unico che ha incantato tutti, portando il calcio oltre i muri di un tifo aspro e violento, là dove lo sport diventa stile ed eleganza, dove ciò che veramente conta è la naturalezza con cui sai esprimere i talenti che madre natura ti ha voluto donare, perché li sapessi distribuire a tua volta con grande acume e intelligenza. Dopo il mito argentino anche il mito brasiliano se n’è andato, restano i mille ricordi di chi li ha visti giocare e segnare, rimanendo esterrefatto davanti alla illuminante bellezza di una televisione che ha concesso a tutti di vedere all’opera chi, con la propria classe ed eleganza, ha regalato un attimo di pura felicità a gente spesso sopraffatta dalle mille difficoltà della vita.
Da internet