Non è da tutti presentare un linguaggio “ancestrale” con freschezza e passione, ingolosendo il lettore. C’è riuscito, nel suo stile, Luigi Stadera con “Il libro dei proverbi”, edito da Menta e Rosmarino. Conferma ne è la ristampa della prima edizione risalente al febbraio scorso. E’ andato a ruba al punto che non se ne trovano più copie. Ed è richiesto. L’operazione è stata necessaria e molto gradita, se si considera che è il primo libro pubblicato dalla casa editrice.
Le pagine sono state ulteriormente arricchite e impreziosite dalle acqueforti di Tino Aime, i cui temi all’insegna dell’antica armonia, sono consoni all’espressione spontanea di una terra amata, quali sono i proverbi di Stadera. “Linguaggio di immagini e di parole che va oltre i confini del tempo”, scrive Alberto Palazzi.
E’ un libro dotto con un respiro lieve, come hanno potuto constatare i tanti lettori che hanno assaporato la profonda valenza di quei “talismani verbali”, come li definisce Piero Camporesi, che sono i proverbi. Valenza che con l’acribia e la dedizione di Stadera è ad ampio raggio, spazia dai testi classici alla Bibbia. Un esempio: “A muriì s’è sempr’a a temp”. “Interessante – scrive – il rovesciamento del concetto nella Bibbia: “Meglio la morte che una vita amara, il riposo eterno che una malattia cronica (Ecclesiastico. XXX, 17). L’allusione al riposo eterno conferisce alla massima biblica un senso religioso estraneo al proverbio, che non va oltre l’immediatezza del realismo contadino”.
Ogni frase dello Stadera è curata, ogni citazione “ad hoc”. Intensa la battuta di Jorge Luis Borges, a proposito del suo luogo natale, “Abitavo qui già prima di nascere”, ripresa dall’autore per spiegare come “l’immagine rinvia ai proverbi, perché l’identità s’innerva nella tradizione orale, di cui i proverbi sono il fiore”.
Federica Lucchini