Sentirsi a casa in un clima di accoglienza, di amicizia, grazie a quei sorrisi e a quelle premure che arrivano dritti al cuore. Dopo 17 anni di attività, scritta in pagine di passione, Monica e Valter, gestori dello Sciamba, locale sul lungolago sempre frequentato, hanno abbassato la saracinesca definitivamente, portando con loro un bagaglio umano di una ricchezza infinita. Fino all’ultimo giorno hanno avuto attestazioni di affetto e riconoscenza dalla clientela di tutte le età: dagli anziani, coppie che provenivano da Busto Arsizio, Legnano, che si creavano la giornata ai loro tavoli e lungo la riva, ai giovani (“Senza di voi, il lungolago non ha più motivo di esistere”, hanno annotato in una dedica) che si sentivano coccolati a qualsiasi ora della giornata perché Valter e Monica era sempre presenti con le ragazze che collaboravano. Dopo la pioggia, appena appariva la luce del sole, si poteva “rientrare in famiglia”: il locale riapriva. Così per 17 anni, dalle 7,30 quando Valter infornava le brioches fino alla uno o alle due di notte, in estate. Poi con il cambio del clima è aumentata l’attività invernale. “Non siamo più in grado di sopportare la mole di lavoro senza un momento di sosta -spiega Monica- e questo fa sì che non riusciamo più a dedicare quel tempo prezioso di ascolto, di empatia con i clienti. Preferiamo interrompere e lasciare un bel ricordo”. Il rimpianto dei clienti è grande, dall’estate scorso quando i gestori hanno comunicato la loro scelta. La parola che può dar significato a quella nicchia sul lungolago era armonia con il personale che si donava. Offrire un gelato significava dare non solo un cibo, ma parlare, riprendere discorsi interrotti. “Il mio ringraziamento -continua Monica- va ai nove collaboratori che non hanno mai abbassato la guardia nel creare il clima di vivacità e di rispetto. Ho spiegato loro che il nostro era un lavoro psicologico che doveva andare di pari passo con l’afflusso ininterrotto”. E’ interessante sentirla parlare come testimone quotidiana della vita sul lungolago: “In tutti questi anni abbiamo assistito alla sua evoluzione -spiega- da quando non c’era la pista ciclopedonale fino ad ora dove c’è in giro un mondo. Basta uno spiraglio di sole e la gente si riversa lì. Abbiamo visto i bambini nelle pance delle loro mamme, crescere, diventare canottieri, abbiamo notato l’evoluzione delle persone, il cambiamento del loro modo di porsi. Abbiamo fatto radici qui. E proprio perché amiamo questo luogo, capiamo che ha bisogno di energia più fresca”, conclude.
Federica Lucchini