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Domenica 2 giugno 2019 presentazione del libro dialettale “Urin di temp indré” – Video e foto

 3 Giugno 2019 |  Pippo |  Lascia un commento |

La presentazione

Dal libro  Urin di temp indré

Chi perde la propria lingua
perde la propria anima

Una lingua non è solo un insieme di parole o una grammatica. E’ un modo di sentire, di pensare, di concepire le relazioni fra le persone, i sogni, il bene ed il male. Chi perde la propria lingua perde la propria anima. E noi, la nostra “anima” – il dialetto – quello che ci faceva sentire autenticamente “paesani nel nostro paese”, l’abbiamo persa. Tutto ha avuto inizio intorno agli anni Sessanta quando il dialetto cominciò ad essere considerato umiliante retaggio dei tempi della miseria, delle braghe rotte, e fu sostituito piano piano con l’italiano, visto come simbolo di promozione sociale. Nel mio caso personale persi la possibilità di imparare il dialetto in quanto mio padre si era convinto che sottraendomi al “contagio” del dialetto potessi imparare meglio l’italiano. Lui, maestro elementare, tante volte aveva dovuto correggere espressioni del tipo “cosa sei dietro a fare”, laddove la lingua avrebbe voluto “cosa stai facendo” oppure “è burlato giù”, laddove si doveva “è caduto”. Quindi i miei genitori, che in casa parlavano comunemente in dialetto, decisero di rivolgersi a me esclusivamente in italiano. In tal modo sono forse riusciti a farmi prendere qualche bel voto a scuola, ma mi hanno negato il piacere di affondare le radici nell’humus della mia stirpe e della mia comunità. (Tuttavia allora il dialetto mi circondava, lo sentivo parlare nelle strade, nei negozi, fra gli amici e riuscii ugualmente ad apprenderlo). Mi risulta amaro constatare che insieme a mio padre, molti altri genitori hanno scelto la malaugurata strada di non parlare in dialetto con i propri figli. E così l’abbiamo gradualmente perso perché la salvezza del dialetto sta in una sola cosa.
Sta nel parlarlo. Nel parlarlo ai propri figli! Una lingua sopravvive solo quando viene tramandata, solo quando si appoggia sulle labbra dei giovani e continua il suo cammino passando da una generazione all’altra. L’obiezione che oggi si è soliti porre è: “non serve più” e soprattutto: “non è più funzionale alle esigenze del nostro tempo …!”. Vero. Mi vien però da replicare: a cosa servono Mozart, Tizia- no, Shakespeare? Perché il dialetto non è soltanto uno strumento linguistico; esso rappresenta un patrimonio culturale dal valore inestimabile, un patrimonio che ha mille e più anni di vita. Rinunciare al dialetto significa ripudiare secoli di cultura locale, di tradizioni orali, di sapienza gnomica trasmessa dagli antenati attraverso proverbi, modi di dire, fiabe, leggende, preghiere, toponimi. Perdere il dialetto significa perdere un’inestimabile ricchezza lessicale frutto della fantasia popolare che quando crea le sue immagini, pittoresche e folgoranti, le crea in dialetto. Pirandello sosteneva che perdere il dialetto significa anche perdere il “sentimento” che c’è nella parola, mentre l’italiano, di quella stessa cosa, esprime solo il concetto. Poi un’altra ragione, forse la più forte: se vogliamo sa- pere chi siamo, da dove veniamo e in che direzione voglia- mo andare, lo studio del passato è fondamentale e il dialetto è la lingua con cui è stata scritta la nostra storia, il mezzo con cui esplorare le nostre radici. Con il dialetto si spezza il filo ideale che ci congiunge al passato, cioè alla radice stessa della nostra storia. Tutte queste ragioni non sarebbero state da sole sufficienti per non lasciarlo cadere? Talvolta ci sentiamo muovere la feroce accusa di aver “saccheggiato” l’ambiente. Ed è vero anche questo, la no- stra generazione ha malridotto l’ambiente. Ma quello del dialetto è un altro saccheggio, di ordine culturale, ma sempre di saccheggio si tratta. Il dialetto non lo si parlerà quasi più – è inevitabile – ma vogliamo almeno tenerlo vivo? Pensare a delle modalità in grado di non lasciarlo cadere completamente nell’oblio? Ben vengano allora iniziative come queste! E’ la strada giusta. Nel concludere desidero esprimere un particolare riconoscimento al Comune di Orino, divenuto ormai un punto di riferimento e di studio per la realtà dialettale ed etnografica della nostra zona.

Alberto Palazzi

 

Federica Lucchini    

 

 

 

Giorgio Roncari

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La Cantastorie Diana Ceriani

 

 

 

Le foto di Tiziano Micci

Battesimo Civico 

 

 

Varesenews

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