Mentre il mondo intelligente inventa il green e la digitalizzazione universale, mentre il mondo della grande finanza fa girare i soldi, ma non sai mai quando, come e dove andranno a finire, mentre il politico illuminato si bea di semplificazione e si fa paladino di una possibile guerra alla burocrazia, il popolo sovrano di una democrazia spenta, con poche idee in testa, attende che le promesse non siano solo debiti. L’umore che circola non lascia sperare nulla di buono, anche i meno attenti si rendono conto che nell’aria, oltre al virus, c’è qualcosa che non va. Il paese è fortemente turbato, lo è al punto che parla moltissime lingue, ma il vero problema è che non riesce più a farsi capire proprio nella sua lingua madre, quell’italiano che bravissime maestre e bravissimi maestri insegnavano con tanto amore subito dopo la seconda guerra mondiale, quando il mondo aveva una gran fame e una gran sete di sapere, quando scrivere e scrivere bene era un modo per dimostrare la bellezza estetica di una lingua elevata ai massimi splendori da geni mostruosi come Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Alessandro Manzoni, Giacomo Leopardi. Il paese è turbato perché chi la il compito di guidarlo manca di visione, è sempre troppo preso dalle beghe di partito, da alleanze che fanno mettere le mani nei capelli. La politica, quella vera, quella che fa l’interesse dei cittadini, è ben altro, ha autorità, eleganza, stile, fermezza decisionale, ma anche visione, missione, si muove con armonia ricercando sempre un punto di equilibrio su cui appoggiare le difficoltà maggiori e da cui decollare per cambiare il mondo. Forse per la prima volta e grazie a quel terribile mostro del Coronavirus ci rendiamo conto che fare politica non è da tutti e che per affrontare certi problemi la diplomazia è senz’altro fondamentale, ma la è ancora di più se sa essere credibile, se sa infondere fiducia, se è capace di ritagliarsi una fetta di credibilità e di affidabilità non solo in campo nazionale, ma anche in quello europeo e mondiale. Il problema vero è che il nostro paese non si sa gestire, è molto confuso, è troppo preso da interessi di parte, manca di autorità e di autorevolezza, ha perso il controllo morale, non sa più come armonizzare quella miriade di problemi che in questi ultimi anni hanno sconvolto la vita della gente. In molti casi non sa più da che parte cominciare per costruire un ordine che sia ordine per tutti, dimostrando ai paesi amici di avere le idee poco chiare su come intervenire per rimettere le cose a posto. E di cose da rimettere a posto ce ne sono tantissime: il debito pubblico, il problema dell’evasione fiscale, il problema delle delinquenza organizzata, l’incapacità di gestire i soldi dell’Unione, una conflittualità perenne che impedisce al paese di unirsi per combattere l’illegalità e l’ingiustizia, una disarmonia politica che diventa limitativa e degenerativa. Il paese è schiavo di una burocrazia di cui parla spesso, ma che non riesce a togliersela dai piedi. Per quale motivo? Che cosa spinge la politica a continuare a mantenere in vita una fonte di reddito elettorale che è un peso gravissimo da sopportare, perché impedisce allo stato di intraprendere, di lavorare e di far lavorare? Come fa una Unione a fidarsi di chi a parole promette, ma nei fatti non fa una piega per cambiare comportamento? E’ così difficile prendere spunto dal ponte Morandi? Come mai lì è stato tutto così liscio e così semplice, mentre invece da tutte le altre parti non si muove foglia che la politica non voglia? La burocrazia è una fonte di potere? E’ una fonte di reddito? A chi serve? Perché nessuno muove un dito per cambiare rotta? Come mai non si semplifica invece di complicare? Quali sono oggi i rapporti tra stato e regioni? Siamo sicuri che il paese sia davvero unito quando scattano le emergenze? Siamo sicuri che non varrebbe la pena affrontare seriamente, sotto l’aspetto costituzionale, il rapporto tra stato e regioni, per modificare o migliorare qualcosa in nome dell’unità nazionale?Quando si perde di credibilità gli amici ti guardano sempre con sospetto, soprattutto se esistono dei pregressi che non solo rimangono irrisolti, ma si aggravano con il passare del tempo. Il cittadino, anche il più sprovveduto, guarda la televisione, passeggia per una città o per un paese e si domanda: “Ma in che paese vivo?”. “E’ questa l’Italia che mi ha educato al rispetto della democrazia, della Costituzione, delle leggi, delle regole, della coerenza sociale?”. “Cosa ci fa tutta quella gente sdraiata lungo i marciapiedi, nelle stazioni, nei parchi cittadini, perché sta lì e non lavora? Oggi anche i ragazzini più sprovveduti si chiedono come mai ci sia un sacco di gente in giro che non fa niente, si chiedono dove trovi i soldi per vivere, per mangiare, per dormire. E’ possibile che una democrazia tra le più importanti d’Europa non sia in grado di ricostruire una vita civile, sicura, garantista, che sia capace di essere apprezzata per la sua creatività, la sua intraprendenza, ma anche per la sua fermezza e la sua decisione nel prendere in mano le situazioni e indirizzarle nel verso giusto? Le persone si domandano come mai i paesi pullulano di ladri, di piccoli delinquenti, di gente che vive rubando e rapinando, come mai non esista un sistema che controlli in modo attivo, operativo e costruttivo per mettere fine a situazioni che di democrazia, di costituzione e di legalità non hanno più nulla o quasi. Il cittadino ha la netta sensazione che lo stato e la società civile abbiano paura, non siano più in grado di far quadrare i conti, tirino a campare, trasformando le case in fortezze e la vita comunitaria in fuga dalla realtà. E’ possibile vivere a casa propria con la paura addosso? E la sicurezza della democrazia dov’è? Dove sono coloro che hanno il compito rappresentativo di assicurare l’ordine pubblico? I paesi hanno bisogno di cittadini molto attenti, che sappiano osservare, discutere e parlare, hanno bisogno di decisione e di fermezza, devono essere incoraggiati, per fare questo è necessario che si crei una unità d’intenti tra famiglie, scuola, amministrazioni, associazioni e cittadini, società civile e stato. Forse abbiamo bisogno di un <Comitato> che controlli con più attenzione lo stato di salute di una democrazia che fa acqua da tutte le parti e che non sa più come fare per guadare il fiume e passare dall’altra parte.