“Bienvenido in Guatemala Italianos!”
Questa è la prima frase che mi è stata rivolta dal guardiano del piccolo ospedale a San Raimundo in Guatemala.
In realtà la frase ha anticipato le molte esclamazioni di cordialità, ma la stanchezza di 22 ore di viaggio, l’ora notturna avanzata e lo stretto spagnolo guatemalteco, non mi hanno permesso di interagire.
Non esiste un volo diretto dall’Italia per il Guatemala e quindi l’obbligatoria tappa dagli USA rende i voli e gli scali lunghi e affaticanti.
Siamo giunti all’aeroporto di Citta di Guatemala alle 21 locale (4 ora italiana). Noi Italiani consideriamo le 21.00 ore serali, ma in un paese caraibico e povero come questo le 21.00 sono ore di limite coprifuoco: buio pesto, scarsa illuminazione e strade dissestate. La cosa che però mi colpisce sempre quando vado in paesi poveri come questo è l’invasione notturna della città da parte di branchi di cani che, come affittuari regolari, occupano gli stessi spazi che poche ore prima ospitavano i banchi di frutta e tortillas dei locali. Un cambio turno preciso e regolare come in fabbrica, forse l’unica cosa regolare e precisa della città.
Il taxi, un vecchia auto dalla marca indecifrabile, trasporta me e Mariaelena dall’aeroporto all’Ospedale attraverso una strada dissestata di circa 15 km che percorriamo in una ora e trenta. Mariaelena è una infermiera milanese di origine domenicana, circa 30 anni, ma ne dimostra 20 e sorride sempre: forse questo è il segreto della sua vita.
Con entusiasmo, come tutti i medici e infermieri e personale di supporto che in seguito ho conosciuto, ho accettato l’invito del Dott. Sansonetti a partecipare alla missione umanitaria.
Dal 2000 l’Associazione “sulla Strada”, riconosciuta come ONG dal ministero degli affari esteri, opera in Guatemala e precisamente nei pressi del piccolo villaggio di San Raimundo, in una delle zone più povere del paese.
Qui non ci sono molte regole, non si vedono infrastrutture, non esiste un governo di controllo, i bambini hanno gli stessi doveri degli adulti e sbarcano il lunario costruendo (in casa) fuochi di artificio artigianali, illuminati da candele e pagati due dollari al giorno.
Qui i bambini giocano col fuoco e rischiano la vita fabbricando petardi che sono poi venduti per le feste dei paesi guatemaltechi, con il benestare del governo.
I bambini sono un grande “business” per i boss dei “fuochi della morte”, hanno le mani veloci, gli occhi svelti e non si lamentano mai. Gli affaristi ingaggiano tutta la famiglia; chi si occupa della polvere, chi delle micce, chi dell’imballaggio. Il tutto all’interno di case-capanne con illuminazione a fuoco che rende il tutto a grave rischio di esplosione. Le ustioni e deturpazioni sono all’ordine del giorno.
Il primo incontro con il gruppo avviene la mattina dopo. Il direttivo della Onlus accoglie il gruppo in maniera familiare.
Poche regole ma moto rigide:
1) Non si esce la sera perché è troppo pericoloso. La gente del posto non è per natura violenta; ti saluta, ti sorride col cuore, ti abbraccia e ride con te. Sono caraibici, godono il tutto con il poco. Però la povertà e la fame fanno brutti scherzi. Gli organizzatori ci esortano a prestare attenzione ai possibili scippi, alle rapine e a girare sempre in coppia. Io devo ammettere che finora non ho visto episodi di violenza: la gente mi ferma, mi riconosce come medico italiano, mi offre il caffè
(non italiano, comunque molto buono), le tortillas e mi accompagna con la moto in ospedale. Ci sentiamo insomma fortunati, la gente del posto capisce quello che stiamo facendo e ci restituisce per quanto possibile l’empatia e la gentilezza.
2) Non si bevono assolutamente alcolici. Non si beve, non si beve, non si beve.
Non si può e basta! I Guatemalesi considerano un disonore bere. Siamo nei Caraibi e quindi non esistono le mezze misure. Non esiste la moderazione. O si beve o non si beve: quindi chi beve è alcolista. Noi non possiamo permettere di farci vedere con vino o birra. Ci facciamo vedere a fare jogging o camminare alle 6 e trenta di mattina per poi recarci in sala operatoria (e ambulatori) alle 8. Su certe regole non si transige! E nessuno sgarra.
3) Non si critica nessuno. Tutti abbiamo varie motivazioni per essere qui. Ognuno ha le sue e le condivide con chi vuole, ma la regola semplice è “siamo tutti qui per aiutare”. Non si sbuffa se finiamo la sera tardi, non si critica il cibo (in realtà il gruppo sussistenza cucina molto bene), non si evidenziano i difetti. Semplice no?
Per il resto vi è libertà, non esiste la gerarchia, non c’è chi comanda anche se è presente un responsabile sanitario.
Si chiama Andrea ed è un ragazzo di 50 anni, un medico romano che ha fondato la parte sanitaria dell’associazione. Tranquillo e discreto e avanti agli altri come un leader di altri tempi.
La mattina è il primo a alzarsi per correre e devo ammettere che, pur avendo 10 anni in meno, mi è difficile stargli dietro (per ora…). Non l’ho mai sentito alzar la voce o imporsi, e tutti lo seguono. Ho spesso pensato al segreto del carisma che sta insegnando al gruppo. E’ qui con la moglie e la giovane figlia che partecipano come supporter all’attività.
Il primo giorno è dedicato all’organizzazione dell’ospedale. Il gruppo ha trasportato, nei vari anni, strumentazione chirurgica e diagnostica, lettini, equipaggiamento di supporto e tutto ciò che serve per creare una clinica polispecialistica operativa secondo standard europei. Tutti collaborano a pulire la struttura, lavare i ferri chirurgici, trasportare la strumentazione, creare gli ambulatori.
L’Ospedale non è nostro, viene concesso al gruppo di volontari italiani da una associazione medica americana che l’ha costruito alcune anni fa e che l’utilizza una volta all’anno per alcune settimane.
Strani gli americani. Proprio strani.
Vivono sempre in bilico tra il comando e la sensazione di dover rendere candida e linda la propria coscienza.
Hanno colonizzato da molti anni il Guatemala. Prima una colonizzazione politica ed in seguito, considerate le colonie un crimine contro la civiltà, le hanno sostituite con colonie economiche.
Qui gli americani hanno consistenti e tangibili interessi economici, soprattutto in campo agricolo tanto da considerare il paese un granaio statunitense. Un granaio a basso costo, pochi controlli, nessun sindacato.
Quindi non è strano vedere a pochi passi dall’ospedale un immenso muro con filo spinato e guardiani armati che circondano infiniti campi di pomodoro proprietà Mc Donalds!
La segretaria dell’ospedale è una statunitense texana di 60 anni con lontane origini sud americane. Con lei scherzo spesso. Dice che noi italiani abbiamo un grande cuore ma siamo confusionari e io, abbracciandola, rispondo che gli Italiani sono maestri nel cucinare e nel corteggiare le donne! Lei ride, come tutti i sud americani, ride spesso.
Non conosco i colleghi volontari americani che ci sostituiranno, ma mi piace pensare che proseguano il nostro impegno.
La mattina alle 6 vado a correre con il mio compagno di stanza Giampaolo (per tutti il “Giampi”), un ragazzone di 50 anni che un po’ assomiglia a Kevin Kostner. Viene da Cesena e ha offerto il proprio contributo alla missione. “Io non so niente di medicina! Ho fatto il pizzaiolo, e numerosi altri lavori. Ora sono qui e intanto penso a che fare quando torno”. Perfetto compagno per me! Sono giunto qui’ in sindrome da sovraccarico di lavoro con tutto organizzato e conoscere una persona che vive il momento rilassa tutto il gruppo.
Il gruppo è eterogeneo. Qui trovi tutto: dai giovanissimi ai giovani e alle “vecchie glorie”.
Ho conosciuto Antonella e Paola, due infermiere italiane che lavorano a Liverpool, precise e cordiali: si occupano dei malati insieme a Giulia, infermiera romana che io chiamo simpaticamente “modella mancata”.
Ho conosciuto Fabio, un ex medico dell’esercito. Ha girato il mondo con una divisa e ora continua a girarlo per portare aiuto. Fabio è il mio mito. Russa come un toro ferito, parla un ternano strettissimo e fuma come una ciminiera, ma la mattina è il primo ad alzarsi ed andare a correre. Lui si occupa di medicina interna. Mi ha insegnato a riconoscere le ferita da scabbia e pulci che spesso infestano i bambini. Io in cambio gli offro di aiutarmi negli interventi chirurgici.
Molti sono i chirurghi, alcuni con già una professione affermata ed alcuni in corso di specializzazione, quelli chi in Italia chiamiamo “specializzandi”
Ragazzi giovani, molto validi, viso pulito. Bello vedere su di loro la fiamma della chirurgia senza limiti imposti.
Il ragazzo con cui lavoro si chiama Marco e pratica la scuola di specialità a Torino. Giunto qua in compagnia del suo amico di infanzia Federico che ora fa il chirurgo. E’ una spugna vivente di 30 anni. Assimila tutto, guarda tutto, non si ferma mai, mi fa 1000 domande e cerco di insegnargli quello che so. Lo ritengo molto bravo ma non lo ammetterò mai di fronte a lui perchè è Juventino.
Ho conosciuto Carmelo, dentista di Agrigento, giovane e mediterraneo, con i lineamenti latini.
Sorride sempre. Cavolo! sorride sempre anche se tra poco si sposa! E’ qui con la collega Annalisa per i trattamenti odontoiatrici. Lavorano sempre. Qui la gente non può permettersi un dentista e sono visti come “ghiaccio nel deserto”.
Ho conosciuto Umberto. Un manager di Livorno. Lui è uno che fa girare i soldi. Un rampante. E’ qui per amore; è’ innamorato di Angela, la ginecologa del gruppo. Sono insieme da anni e vivono a Roma.
Lei è timida, riservata, sicuramente la prima del corso. Lui invece è uno diretto e, “tagliato”. Ha girato il mondo. Ma veramente tutto il mondo. E’ la persona tipica che dove lo metti sopravvive. Contratta tutto, parla con tutti, scherza con tutti ed è molto umile. Qui cataloga i pacchi e smista i pazienti alla ricezione. Stiamo organizzando insieme un viaggio in Alaska nel 2017: il vero viaggiatore si organizza in anticipo.
Ci sono due ragazze di nome Alessandra. Sembrano la sorella maggiore e la sorella minore. Sono due anestesiste di Roma. Molto brave. Addormentano ogni tipo di paziente, con qualsiasi malattia ed età. Parlano un romanesco incredibile.
Anche Laura e Viviana, le strumentiste, vengono da Roma. Sono molto carine e ridono e scherzano in una cadenza che assomiglia ai film di Verdone e Alberto Sordi.
Loro mi chiamano il “professore” o “primario” e mi prendono in giro per la mia cadenza linguistica milanese. Probabilmente non riconoscono l’impercettibile ma immensa differenza con la cadenza di Varese di cui vado orgoglioso!
Poi ci sono le interniste tra cui ricordo Katia, cardiologa di Alghero con fidanzato a Tenerife e Manuela.
L’attività si divide in trattamenti medici e chirurgici.
Tanti interventi, non credevo.
Ho praticato interventi alla prostata, al rene e trattamenti per incontinenza urinaria femminile (qui le donne fanno almeno 5 figli). I chirurghi operano tutto il giorno; qui aspettano solo noi perché in Guatemala la sanità di alto livello la paghi tantissimo. Quasi impossibile accedervi. Gli ospedali pubblici hanno nomi molto descrittivi della qualità fornita: inferno, “entri e non esci” etc.
Mi colpisce la motivazione del personale di supporto. Lavorano tantissimo: cucinano, lavano, sterilizzano strumenti e non hanno una vera esperienza sanitaria. La loro motivazione personale è molto elevata.
Carla e Gianni sono una coppia di Roma di 50 anni. Stanno bene insieme e si vede. Lavorano insieme tutto il giorno come supporto alla fondazione che hanno fondato. Lei ride sempre e lui la guarda come un fidanzatino. Che belli che sono!
Carlo e Lorella sono soci fondatori dell’associazione nata 15 anni fa. Si occupano dell’orfanatrofio e della scuola dei bambini riuscendo ad insegnare loro un lavoro alternativo alla costruzione dei fuochi.
Incredibile organizzare il trasporto di equipe polispecialistica completa dall’altra parte del mondo. Pero’ qui ci riescono. Non fanno inutili conferenze politiche sull’integrazione per poi chiudere le tapparelle ai problemi. Non si sentono superiori. Non sfruttano la posizione. Non hanno secondi fini.
Hanno bisogno di soldi e li trovano a casa nostra: girano il paese, spiegano e supplicano un aiuto. Un aiuto qui è preziosissimo. (Per donazioni trovate il sito “sulla strada Onlus”)
Sono convinti che un aiuto sul posto eviti un incontrollato flusso migratorio di disperati in Europa.
Quindi si rimboccano le maniche, sospendono il lavoro temporaneamente e vengono qui, nella polvere, tra le pulci e i sorrisi dei bambini. E lo fanno. Cavolo se lo fanno!
Quanti di quelli che a casa nostra parlano e sputano soluzioni impossibili saprebbero farlo?
Prealpina del 07/02/2016
La Provincia del 03/02/2016