Il mensile LA VOCE dell’ Appenzeller Museum di Bodio. L’ Appenzeller Museum, nato nel 2009 come «album» dei ricordi di famiglia, è divenuto negli anno un Museo multi-tematico, che oggi raccoglie più di 50.000 «pezzi», che coprono gli interessi culturali più disparati. E’ ubicato a Bodio Lomnago, in via Brusa 6, nelle ex scuderie del conte Piero Puricelli su una superficie di oltre 300 mq. Pubblica il mensile «La Voce», realizza video-racconti, organizza mostre. Il Museo è interamente privato, non gode di finanziamenti di alcun tipo e non ha fine di lucro.
Quest’anno cade il centenario dantesco ed in ricordo del nostro Grande la rivista sta dedicando parecchi articoli a Dante e alla sua poesia a cura di Ottavio Brigandi.
Dante Tintore?
Forse, anzi sicuramente, Dante non fu un tintore, ma fu certamente un grande esperto, fino alla pignoleria, dei colori e del loro simbolismo. Ecco che Ottavio Brigandì si addentra questo mese in questo particolarissimo e sconosciuto aspetto dell’infinito mondo dantesco.
A fronte di una vita e di una società generalmente variopinte, i testi della letteratura medievale contengono pochi accenni al colore, preferendo lasciare l’argomento ad altri campi della cultura (arti figurative, tintura di stoffe, oreficeria); se perciò un testo d’epoca cita un colore (o, meglio ancora, un gruppo di colori in connessione tra di loro), tale brano assume una particolare evidenza ed è spesso utile a veicolare un senso simbolico.
È il caso di Convivio IV, XX 2, su cui ho personalmente sudato: «Lo perso è uno colore misto di purpureo e di nero, ma vince lo nero, e da lui si dinomina; e così la vertù è una cosa mista di nobilitade e di passione; ma perché la nobilitade vince in quella, è la vertù dinominata da essa».
Secondo Dante, il nero simboleggia la nobiltà e il «purpureo» la passione (di che colore è anche oggi l’amore?), mentre il color «perso», definito come un «misto di purpureo e di nero», sta per la virtù. È un viola? Un nero con riflessi rossi? Ma perché è legato alla virtù? Nel provare a rispondere e nell’effettuare un’indagine sulle tinte per stoffe, ho scoperto che, ai tempi del poeta, il «perso» è principalmente un colore per lane della moda francese; tale pers d’oltralpe si dà come un blu più o meno scuro, talvolta ritinto con il rosso. I mercanti di Firenze non si limitano ad importarlo a caro prezzo, ma provano anche a contraffarlo; in uno dei modi usati, si conferisce valore a un panno-lana nero (generalmente opaco e poco luminoso) grazie a un’immersione nel rosso.
Per questioni di chimica tintoria, l’esito non dà un bordò o simili, ma un nero rinfrescato e luminoso; si ha così il “perso fiorentino”, il quale, senza poter davvero gareggiare con lo scurissimo perso francese, possiede una sua riconoscibilità e un posizionamento ben preciso sul mercato. Si torni perciò al «perso» del Convivio: se è infatti vero che «la vertù è una cosa mista di nobilitade e di passione» e la nobiltà stessa sta alla base della virtù, quest’ultima ha come efficace simbolo il «perso» che, nella versione fiorentina, è proprio un nero lucente e profondo, la cui brillantezza ben significa l’intelligenza necessaria ad agire con virtù. Pensando infine a quale abito ci mettiamo oggi per cerimonie e occasioni formali, si comprende che gli esperimenti dei tintori e dei mercanti medievali stanno a fondamento degli usi e delle abitudini sociali di oggi.
artic. di Ottavio Brigandi-