Ogni persona deve sentirsi parte fondamentale di una grande avventura, nella quale ha il compito di svolgere con impegno e con amore i doveri che gli sono stati assegnati. Da cosa nascono i doveri? Forse dall’idea che una comunità unita, solidale, attenta e collaborativa potrà essere più capace di risolvere tutti quei problemi che s’incontrano nel cammino della vita. Certo la prima cosa da fare è quella di fare in modo che le persone sappiano esattamente quali siano questi doveri e come bisogna agire per metterli in pratica, per realizzarli. In questi ultimi anni ci siamo abituati a sentir parlare di diritti e ci siamo convinti che tutto o quasi fosse dovuto. Ci siamo aggrappati al diritto come a una sorta di ancora di salvezza, ma non abbiamo assaporato fino in fondo la bellezza della conquista. Di solito le conquiste non sono mai semplici, implicano una grande convinzione e soprattutto l’idea condivisa che quello che facciamo abbia una pubblica utilità, serva a consolidare e a potenziare la vita stessa di una comunità, che altrimenti rimarrebbe vittima di un pragmatismo arbitrario, in cui ciascuno opererebbe per fini e tornaconti personali. Dentro questo straordinario complesso di reciprocità si giocano convinzioni fondamentali, come ad esempio la certezza che collaborando le cose possano andare meglio. In molti casi è venuta a mancare una coscienza dei problemi, li si sono osservati e affrontati più come ostacoli alla realizzazione personale che come errori sui quali riflettere con molta attenzione per poterli risolvere e iniziare così una nuova vita.
Oggi è invalsa una strana modalità, quella di guardare sempre nel piatto dell’altro, invece di cercare di guardare nel proprio, di fare quella che un tempo era considerata la via d’accesso a una sana rigenerazione introspettiva: l’autocritica. Sapersi autocriticare significa mettersi in gioco, non far finta di non vedere i propri difetti, ma andarli a cercare e lavorarci sopra per risolverli. Per fare questo però occorre essere franchi e severi con se stessi, di solito la rigenerazione parte sempre da un esame che non ammette cedimenti o flessioni di natura arbitraria. Viviamo in una società che riflette poco e che non ama mettersi in gioco, preferendo, in genere, spettegolare. Puntare sugli altri è più facile, ci toglie la paura di non essere all’altezza, di essere bisognosi di aiuto o di comprensione, di essere persone che sbagliano e che hanno bisogno, ci dà molto fastidio ritornare a essere un po’ bambini che hanno bisogno della mamma. Così facendo però non cresciamo, rimaniamo ancorati a forme astratte di idealismo che non trovano radicamento, rimanendo spesso prigionieri dell’utopia. Per capire la maleducazione bisogna smettere i panni di un servilismo di maniera e indossare quelli che ci consentono di apparire per come siamo veramente, persone che hanno dei bisogni e delle necessità per la cui soluzione c’è bisogno di qualcuno con cui confrontarsi. In buona sostanza abbiamo bisogno di quello che ci avevano insegnato i sacerdoti quando eravamo ragazzini e cioè che prima di poter accedere alla Comunione bisognava sottostare all’esame di coscienza e quindi alla Confessione. Esame di coscienza e Confessione, due passaggi fondamentali per riannodare le fila, per rimettersi in carreggiata con uno spirito nuovo, meno esigente ed egoista, più altruista, più rivolto alla sfera oggettiva, più sintonico con le attese della vita. In questi anni ci siamo costruiti un mondo ideale, pensando che bastasse avere una bellissima Costituzione e che il peggio fosse passato. Abbiamo anche pensato erroneamente che una democrazia, per essere una vera democrazia, dovesse basarsi su un’ incontenibile libertà e così a poco a poco abbiamo eroso ogni forma di limite, abbiamo deciso che fosse meglio evitare di vivere secondo regole che ci avrebbero costretto a fare i conti con la coscienza, limitando di fatto il nostro campo d’azione, così abbiamo accantonato la coscienza, ritenendola la peggior nemica della nostra libertà. Diminuendo la forza morale della coscienza tutto ha assunto un volto diverso, ci è sembrato di capire che vivere sarebbe stato più facile, non avremmo dovuto fare i conti tutte le volte con qualcosa che ci avrebbe impedito di agire e di vivere finalmente più libere. E’ sul concetto di libertà che ci siamo persi, perché avendone troppa non siamo più stati capaci di capire esattamente che cosa fosse giusto e che cosa sbagliato, abbiamo perso di vista l’idea di giustizia, di legalità, abbiamo abolito le differenze, fino a illuderci che saremmo diventati tutti uguali anche sul piano delle specificità umane, come i sentimenti, gli affetti, i modi e le strategie con cui dare un senso compiuto alla vita. Strada facendo ci siamo resi conto che tutta quella libertà alla quale ci eravamo aggrappati non era altro che una estrema forma di egoismo e che durante il cammino aveva perso di identità, nessuno più sapeva riconoscerla e valorizzarla, era diventata una vera e propria nemica del genere umano. Una società, per essere sana, ha bisogno di regole su cui appoggiare il proprio stato di necessità e la propria fragilità, ha bisogno di sentirsi ben configurata, protetta, capace di dare risposte alle domande che la vita ci impone senza mezzi termini e con estrema determinazione. Una società sana sa distinguere, sa prendere decisioni, sa distribuire con intelligenza la propria ricchezza e, soprattutto, non si fa mettere sotto, ma è capace di prevenire e di orientare, sa formulare proposte, sa predisporre il suo futuro senza cadere nell’ipotesi di un qualunquismo e di un fatalismo di comodo. La maleducazione si nota soprattutto là dove la cultura avrebbe dovuto fare la differenza e dove le democrazia avrebbe dovuto educare, formare, orientare e istruire. Oggi paghiamo lo scotto di un eccesso di tranquillità e di sicurezza. Stiamo pagando errori di natura umana, politica, culturale, sociale, perché non siamo stati e non lo siamo tuttora sufficientemente previdenti, non abbiamo saputo e non sappiamo tesorizzare e guardare avanti, prevedere, senza abbandonare il buono che abbiamo capitalizzato. Ci siamo lasciati convincere che la moneta potesse prendere il posto del cuore, abbiamo avuto l’ardire di parlare sempre di numeri mentre i popoli del mondo stavano morendo a causa di guerre, povertà e desertificazione umana, dimenticandoci che l’essere umano ha bisogno di affetto, comprensione, di attenzioni e di amore. Per questo ed altro diventa fondamentale conoscerci meglio, approfondire, coinvolgere, convergere, fare in modo che il mondo in cui viviamo sia davvero un pochino di tutti, soprattutto di chi per troppo tempo ha subito le prepotenze della storia.