di Felice Magnani
Scusi, come mai i giornali e la televisione si occupano così poco di noi giovani e in molti casi solo quando combiniamo i guai?
Le cose brutte fanno notizia, creano una forte tensione emotiva, fanno parlare, discutere, fanno capire che facciamo sempre troppo poco, che i problemi esistono e che andrebbero seguiti con più attenzione per essere risolti. I mass media dovrebbero riservare più spazio al mondo giovanile. I giovani hanno infatti bisogno di potersi confrontare, di indagare, conoscere, capire, confrontarsi e noi adulti abbiamo il dovere di fare in modo che ciò avvenga. Sarebbe un gravissimo errore sottovalutare la capacità critica del mondo giovanile, un gravissimo errore pensare di risolvere sempre tutto con un colpo di spugna, bisogna avere il coraggio di mettersi in gioco, di stabilire un confronto sistematico e costante. Forse sarebbe il caso di riordinare le fila, di creare dei filtri, di far capire che la vita non è fatta di mondi opposti che si ignorano, ma di uomini e donne che mettono in campo tutte le loro capacità per vivere meglio, per dare un significato vero e importante allo stare insieme. Si tratta di imparare a conoscersi, di capire che cosa sia più giusto fare per predisporre un terreno fertile su cui lavorare. A volte, purtroppo, bastano le marachelle di pochi per gettare fango su molti che si comportano bene, è una vecchia storia, bisognerebbe avere il coraggio di far finire questa storia, in che modo? Impegnandoci tutti con grande lealtà e coraggio, per dare un volto all’energia giovanile. I giovani non sono solo droga, alcol e sesso come qualcuno vorrebbe far credere, non sono solo bullismo e violenza, sono soprattutto l’espressione più grande e più bella dell’amore, sono il presente e il futuro della società in cui viviamo. Se vuoi ascoltare la voce della genuinità e della purezza accostati ai giovani, ascoltali, falli parlare, falli sentire importanti e non incapaci e inadeguati. Dai giovani possiamo imparare molto e insieme possiamo cambiare il mondo. Non trascuriamo il fatto che in questi anni, con la storia delle migrazioni, della crisi economica e di quella occupazionale, abbiamo dedicato pochissimo tempo alla loro voglia di parlare, di confrontarsi, di rendere pubblici i loro perché, i loro dubbi, le loro impressioni, li abbiamo trascurati e anche sottovalutati.
Le pagine dei giornali, Internet, la tv pullulano di giovani che creano un sacco di problemi, la crisi del mondo giovanile è sotto gli occhi di tutti, che cosa si può fare per migliorare questa situazione?
Le crisi hanno radici profonde, riguardano una comunità nel suo insieme, chi ne paga le conseguenze è chi è più fragile, chi non ha ancora gli strumenti per potersi difendere, per opporre una resistenza costruttiva, chi si guarda attorno e non vede nessuno accanto a sé che lo possa aiutare. Aiutare non vuol dire trattare chi ha bisogno come un mendicante in cerca di carità, ma come una persona che ha bisogno di manifestare la propria identità, anche quando sembra completamente compromessa. Ci sono diversi modi per entrare nel cuore e nella testa del mondo giovanile, ma tutto deve ruotare intorno a una generosa fermezza. Si può stare con i giovani senza perdere la faccia, continuando a essere se stessi, a credere nel valori e nelle regole, ma il miracolo, forse, è nel saper far fiorire i valori e le regole là dove i campi sono aridi, privi di acqua, di sali minerali e dove il terreno ha bisogno di essere dissodato, lavorato, coltivato con generosa attenzione e determinazione, senza mai dimenticare che ogni terreno è una storia a sé, ha bisogno di essere identificato, conosciuto e amato per quello che può dare. Di solito l’humus è in profondità, bisogna avere la pazienza e il coraggio di andarlo a scovare, di portarlo in superficie, di permettergli di far crescere e di alimentare. I problemi nascono e si moltiplicano quando non vengono presi per tempo, quando si tende a isolarli, a sottovalutarli, quando si ha paura di stabilire confronti seri, quando non si fa abbastanza per dare un volto più umano a chi è nato e cresciuto nella povertà materiale. Le bande, le gang, i gruppi violenti in molti casi lo diventano quando perdono il contatto con se stessi, con la propria identità e con la propria dignità, quando non hanno nessuno accanto che li accompagni, che li faccia sentire vivi, così che si affidano alla promiscuità, alla occasionalità, perdono di vista i motivi veri e profondi di valori come la vita, l’amicizia, l’orgoglio, l’entusiasmo, la voglia di essere e di fare, quando non hanno accanto nessuno che possa far capire loro quanto la bellezza e la ricchezza della vita superi le brutture di questo mondo. Forse la scuola è molto più grande di quella che immaginiamo. La vita stessa è una grande scuola che accompagna giorno dopo giorno il nostro cammino. Se per scuola s’intende anche la possibilità e la capacità di influenzare positivamente una crescita, beh allora non dobbiamo dimenticare che ciascuno di noi ha un dovere da esercitare. I giovani hanno bisogno di fiducia, di persone che li sappiano valorizzare, di genitori che li sappiano amare e di educatori che mettano da parte la paura e l’ipocrisia, per fare spazio a quella verità che forma, insegna, educa.
Cos’è per lei la verità?
Ho una visione un po’ manzoniana della verità, quella che lo scrittore milanese fissa nel suo romanzo storico, come rappresentazione del vero. La verità è formalmente ciò che accade, ciò che si presenta ai nostri occhi nella sua autenticità e che può essere soggetta a indagine, a investigazione, per cercare di coglierne gli aspetti utili e interessanti. La verità ha sempre una parte visibile, reale e una che sfugge, che non si lascia cogliere facilmente e che richiede preparazione, predisposizione naturale all’analisi. La verità ha sempre due faccia o forse ne ha anche di più, dipende dall’angolo di visuale, da come viene proposta, da come la sai cogliere, dai significati che riesci a darle. Essere amanti della verità significa assumersi responsabilità dirette, non aver paura di esprimere i propri punti di vista e le proprie opinioni soprattutto quando la tendenza è quella di annacquare tutto per non far trapelare nulla, per impedire che si possa fare chiarezza. Manzoni ha cercato di raccontare e di consegnare alla storia la sua dose di verità, per rendere più attuale e moderno il suo romanzo, per farlo vivere, per fare in modo che il lettore lo sentisse più vicino, gli ha offerto la possibilità di capire meglio le dinamiche umane. Dire le cose come stanno non è sempre facile, richiede coraggio, fermezza, bisogna crederci, bisogna essere positivamente educanti e fare in modo che chi osserva possa sentirsi coinvolto. La verità è un valore che va amato, così come lo hanno amato tutti coloro che hanno lottato e l’hanno difeso, come i magistrati, le forze dell’ordine e tutti coloro che per la verità hanno dovuto subire ogni sorta di persecuzione umana. Non dimentichiamo mai Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, gli uomini della scorta e tutti coloro che anche oggi lottano per difendere la democrazia e per lasciarci un mondo migliore di quello che abbiamo trovato. Lavorare per la verità richiede trasporto, impegno, entusiasmo, passione, richiede soprattutto onestà e lealtà, capacità di saper disegnare un’immagine credibile del mondo che ci viene incontro, senza bleffare. Chi è stato giovane sa quanto importante sia non essere presi in giro, sentirsi amati e rispettati per quello che si è e quanto sia fondamentale sentirsi risvegliati, richiamati all’esercizio dei propri doveri. Certo non è facile credere, a volte bisogna avere la capacità di fare un passo in più, di passare oltre, di smontare per poi rimontare. Con i giovani bisogna soprattutto parlare, saper ascoltare, porgere l’orecchio e non tirarsi indietro.
Che cosa si può ricevere dai giovani?
Moltissimo, d’altro canto chi lo è stato ne sa qualcosa. Il problema è che riesce sempre più difficile ripristinare un ordine sociale in cui ogni età sia espressione di valori condivisi, di voglia di fare, di crescere, di continuare a essere giovani nel corpo e nello spirito. Il segreto è quello di far scattare la molla, di saper condurre fuori tutto quello che di buono c’è e che spesso rimane rinchiuso in solai polverosi, dove si consumano le energie migliori. La giovinezza è già di per sé un immenso valore, ma va coltivata, va fatta vivere, bisogna lasciarle lo spazio e il tempo per crescere, per dare i suoi frutti, evitando di emarginarla e di sottovalutarla. Dai giovani s’imparano lo stupore e la meraviglia, quel sorriso che rende più agevole affrontare un problema, quell’energia fisica e mentale che non si ferma davanti a nulla e a nessuno, quella voglia di infinito che spazza via le incertezze della vita e che consente di superare anche le prove più difficili, quella fiducia che aiuta a essere più attivi e propositivi, quella voglia di fare che esce allo scoperto quando il buon educatore sa leggere nell’animo umano e lo sa orientare, in modo tale che il giovane ne prenda coscienza. I giovani sanno dare moltissimo e chi ha vissuto per tanti anni con loro ne è consapevole, ma bisogna saperli prendere. Uno dei grandi problemi di tutto il sistema educativo è la comunicazione, la capacità di entrare nel cuore e nella testa di chi ti sta di fronte, di leggerne i bisogni e le necessità, di saper far vivere quella gioia e quell’entusiasmo che spesso i disastri della vita annacquano o cancellano. I giovani credono, hanno una vocazione quasi naturale a questo, ma non amano essere presi in giro, hanno bisogno di conferme, di capire che non li temi e che non sei un nemico messo lì per dominarli, ma sei uno che ha qualcosa da dire e da insegnare, uno che non si nasconde dietro parafrasi o giri di parole, ma una persona che ha imparato che nella vita bisogna rispettare e farsi rispettare. Ai giovani non piace essere ingannati, vogliono il faccia a faccia, il muso contro muso e soprattutto vogliono verità. Se insegni che non bisogna fumare perché fa male alla salute devi anche essere il primo a dare l’esempio. Mi è capitato molte volte di avere colleghi e colleghe che avevano problemi disciplinare perché alle parole non facevano corrispondere i fatti. Dunque i giovani vogliono coerenza, non amano essere presi in giro, vanno allenati, guidati, indirizzati con estrema onestà e fermezza, devo capire che dall’altra parte non c’è il padrone, ma uno che conoscendo la un pochino più di loro, è anche in grado di farla amare per quello che realmente è. I giovani hanno l’animo sgombro, pronto a ricevere. Spesso sono alle prese con i problemi legati alla crescita, allo sviluppo fisico e mentale, vivono momenti in cui ricercano quasi con disperazione una propria identità, per questo vanno informati e sollecitati, mai compatiti o lasciati nella convinzione che il loro mondo sia il migliore dei mondi possibili, perché dall’altra parte della barricata ce n’è sempre uno migliore del nostro, con il quale diventa un dovere confrontarsi. Ai giovani dedichiamo troppo poco tempo e spesso si trovano soli, senza qualcuno accanto che li possa capire. Hanno spesso bisogno di manifestarsi, di dire quello che pensano, di cercare e trovare nuove vie di approccio con la realtà che li circonda. Soffrono le distanze e quando non trovano corrispondenza si buttano in quella vita di gruppo che diventa il luogo della loro interazione fisica, morale, culturale e sociale. Può capitare che il gruppo annulli la dimensione individuale, si sostituisca, creando un mare di problemi a chi non sa ancora come posizionarsi di fronte alle novità. Dunque la società deve riscoprire la bellezza dell’educazione, dello stare insieme, di trovare momenti di condivisione e di confronto, deve riattivare la forza e la bellezza della sfera affettiva, quella dei valori e delle regole che fanno diventare grandi, che costruiscono giorno per giorno senso di responsabilità e di appartenenza. In questo <gioco> la famiglia e la scuola hanno un ruolo fondamentale.
E’ facile dirlo, ma quando la famiglia non c’è?
Una società pronta sa come affrontare le necessità che incontra sul suo cammino, sa come organizzarsi ed è proprio nel momento della necessità che sa attivare tutta la sua capacità d’intervento. Di solito i problemi nascono quando si dà tutto per scontato, quando ci si fa trovare impreparati a gestire l’imprevisto. Questo vale per la famiglia, per la scuola, per la società in generale. Molti dei nostri problemi si manifestano anche con violenza perché non abbiamo coltivato a sufficienza la ricerca, ci siamo lasciati trascinare da varie forme di fatalismo, dimenticando che una società evoluta non dovrebbe lasciarsi prendere in contropiede, ma dovrebbe avere sempre l’occhio puntato sul futuro, su quello che potrebbe succedere. La vita comunitaria ha bisogno di convergenze educative, perché la scuola non finisce con il suono di una campanella. Quando le agenzie educative mancano o sono carenti è necessario che tutto l’assetto educativo sia convergente, pronto a dare il suo contributo, non facendosi trovare impreparato. Ci siamo dimenticati che l’educazione non è solo un fatto privato, non riguarda solo alcune agenzie o alcune persone, ma coinvolge tutta la comunità, nessuno escluso. Quando qualcosa non funziona non basta scaricare le colpe, bisogna attivare risposte e bisogna che le risposte siano convergenti. In molti casi non abbiamo tenuto conto che c’è una unità anche nella pluralità e che la scuola, quella vera, la incontriamo ovunque, là dove ciascuno si assume le proprie responsabilità educative, morali e sociali.