Dalla rivista Menta e Rosmarino anno 2004
Sono presenze quotidiane discrete, poste lì ad attenderci tutte le volte che entriamo in chiesa. Non pretendono di essere ammirate, anzi. Se avessero la parola direbbero senz’altro che il loro compito è quello di magnificare la gloria del Signore, che attraverso di loro Gesù e i Santi diventano figure familiari a tutti noi. Figure che si stampano nella nostra mente e ci guidano. Null’altro, direbbero. Loro sono solo strumenti, umili, e come tali vogliono essere trattati. Ma per una volta potremmo non ubbidire e osservarli nel loro contesto tecnico. E allora dall’osservazione si passa all’ammirazione tale è la ricchezza di dati che ci comunicano.
Si potrebbe partire dall’affresco del Cerro, scoperto casualmente nel settembre del ’93 in seguito a lavori attorno al paliotto dell’altare, durante i quali erano apparsi la base di una crocifissione e due mantelli. Grazie alla sensibilità e alla competenza dei presenti e dell’allora parroco don Giuseppe Tavecchia, sotto l’egida della Soprintendenza si provvide all’asportazione della tela raffigurante l’Annunciazione, S. Antonio abate, S. Bernardo di Clairvaux, che tiene incatenato il diavolo, conosciuto come el ciapin. E fu la sorpresa grazie al lavoro di restauro di Rossella Bernasconi e Barbara Carcano che operarono allo scopo di valorizzare le parti originali, evitando la ricostruzione delle parti mancanti. Si tratta di una crocifissione di autore ignoto, risalente alla fine del ‘400 – inizio ‘500, che ha l’impostazione classica di quest’epoca: la croce frontale, le due figure laterali statiche e simmetriche, l’iscrizione I.N.R.Y. con la Y finale tipica di questo secolo, le venature del legno molto marcate. Nella parte superiore si notano il sole, simbolo di luce, la luna in ombra, elementi tipici del Trecento. Il viso del Cristo di buona fattura sottolinea la drammaticità del momento, messa in risalto dai chiodi molto evidenti e dalla conseguente fuoriuscita di sangue. La linea nella figura di Cristo definisce nettamente i contorni, evidenziando la plasticità della forma del corpo. Le due figure femminili laterali presentano una linea morbida ed avvolgente che segue un andamento curvo e suggerisce il movimento, il rilievo e la fluidità del tessuto delle vesti. Sullo sfondo una Gerusalemme che ricorda i paesaggi grotteschi, divisa in due parti: una parte il borgo, ricco di particolari, dall’altra un edificio rappresentativo con una strana prospettiva. L’autore, infatti, conosceva l’architettura rinascimentale, ma non la sapeva rappresentare. Un bell’effetto coloristico è reso dalle mura che evidenziano, però, una costruzione architettonica ingenua. Sopra l’affresco vi è una finta architettura risalente al ‘600 che termina con una fascia decorativa dipinta in modo arcaico che non si riesce a datare, ma sicuramente è anteriore al ‘600.
Proseguendo nel nostro itinerario artistico entriamo nella chiesa dell’Assunta a Carnisio dove a lato dell’altare si trova un pregevole dipinto (olio su tela, dimensioni 118 per 121 cm), risalente alla metà Ottocento, copia di un’opera che il Morazzone dipinse nella prima metà del Seicento. Si tratta dell’incontro tra Cristo e la Samaritana al pozzo di Sichem. Grazie al restauro voluto e finanziato dal Lions Club S. Caterina del Sasso – Laveno Mombello ai primi anni del ‘90, oggi è possibile ammirarlo nella sua bellezza originaria. La relazione critica del dott. P.C. Marani della Soprintendenza ai Beni Artistici (tali dati sono tratti da Tracce del Morazzone nei nostri paesi di Gianni Pozzi e Virgilio Arrigoni su Terra e gente del ’93, rivista della Comunità Montana) ci fa sapere che Il dipinto che, prima del restauro appariva annerito, al punto che se ne poteva sospettare una sua appartenenza al XVII secolo, costituisce una derivazione del dipinto di Morazzone custodito nella Pinacoteca di Brera dal quale differisce però per formato con la conseguenza che, nella tela di Cerro di Caldana (ndr. in quegli anni l’opera si trovava in tale chiesa), la parte inferiore è stata aggiunta: il cambiamento di formato, rettangolare quello del dipinto di Brera quadrato quello della replica presente, ha infatti comportato un allungamento della base del pozzo e delle parti inferiori delle due figure, con la creazione di parti di panneggio sotto al ginocchio sinistro del Cristo e nella veste della Samaritana, che mancano del tutto nel dipinto braidense.
Le sorprese continuano anche in un’altra chiesa del nostro territorio. Sul volume Pittura tra il Verbano e il lago d’Orta dal Medioevo al Settecento, edito dalla Cariplo, Cassa di Risparmio nel ’96, si trova una citazione dell’opera di Pietro Gilardi L’Immacolata con i Santi Gerolamo, Chiara e Agostino che si trova su una parete laterale del presbiterio della chiesa della Purificazione della Vergine di Cocquio. Si tratta di un olio su tela, 320 per 210 circa. Si hanno poche notizie del suo autore, legato al classicismo bolognese. Si sa che operò nel 1716 attorno ad una decorazione ad affresco all’interno della XIV cappella del Sacro Monte, rimasta interrotta nel ’13 per la morte del maestro più anziano, il Legnanino. Benché di qualità non particolarmente alta – vi si legge sul testo – (e infatti dai contemporanei il Gilardi era apprezzato soprattutto quale frescante), la tela di Cocquio Trevisago si inserisce dignitosamente nella produzione da cavalletto del pittore per chiese del territorio.
Federica Lucchini
Dalla rivista Terra e gente
Cerro di Caldana e la chiesa dedicata all’annunciazione di Maria Vergine, S.Bernardo e S.Antonio Abate.
Articolo di Federica Lucchini sulla chiesa del Cerro