“Ci sentiamo scampati a una grande tragedia!” Ha sentito il desiderio di tornare nel suo nido, a casa Menotti, l’attrice Silvia Priori, direttrice di Teatro Blu, con il marito Roberto Gerbolès, dopo che il loro camper, parcheggiato a Marghera mercoledì 4 settembre è esploso, andando completamente in fumo. Loro in quel momento erano a Venezia, stavano raggiungendo piazza San Marco. Salvi per miracolo. Ora è il tempo del ripensamento e Silvia racconta della chiamata improvvisa della polizia al marito: “Lei ha un camper?” e della loro paura che lei fosse rimasta dentro. “Era incredibile, non capivamo. Pensavamo che gli avessero dato fuoco perché era appena uscito da una revisione totale -spiega- Siamo arrivati dopo mezz’ora ed è stato schioccante. La polizia ci stava aspettando: c’era un cumulo di macerie, tutto carbonizzato, le pareti del camper liquefatte perché, probabilmente, ma non lo sappiamo ancora, è stata una anomalia del bruciatore del frigorifero che ha innescato una scintilla. Questa ha fatto esplodere le due bombole del gas. Fiammate altissime che hanno devastato tutto intorno. Per fortuna, il camper era parcheggiato in maniera isolata, quindi non ha procurato danni”. Non è stato possibile recuperare nulla, ma una cosa ha colpito l’attenzione di Silvia: “Fra tutto questo carbone, spuntava un mio slip di pizzo con le roselline rosa e in quel momento ho capito che avrei potuto esserci stata io in questo camper con il quale in dieci anni abbiamo fatto viaggi meravigliosi in tutta Europa, mostrando la bellezza ai nostri figli. Abbiamo perso il computer, tanti file importanti. Per fortuna che scenografie e costumi erano in un furgone a parte”. Tace un attimo Silvia, poi riprende a raccontare di una sensazione premonitrice: “Prima di scender dal camper, stavo rispondendo ad una email e sentivo dentro di me una sorta di agitazione. Dicevo a Roberto che era in bagno: “Andiamo Roberto, andiamo!”. Volevo uscire, come se qualcosa mi trascinasse fuori”. Silvia è forte e legge in questa tragedia sfiorata il segno di un destino a loro favorevole e ringrazia: “In fondo non è successo niente, abbiamo perso cose materiali che si possono recuperare. Di fronte alle macerie ho capito quanto la morte ci ha sfiorato e quanto le ali della vita ci hanno fatto volare via. Ho ringraziato i miei angeli custodi, cioè mio padre, a cui sono stata sempre molto legata, che so che veglia su di me, ma anche un caro amico, il pittore Luigi Bello. Ho detto a Roberto: “C’è rimasta una carta di credito. Andiamo a festeggiare, ad onorare la vita. Dopo una serie infinita di pratiche, lo stesso giorno siamo andati a Venezia sul Canal Grande”. Il turbinio di pensieri era accompagnato dalla consapevolezza di dover continuare la tournée teatrale del festival Terra e laghi. “Il teatro per me è sempre stato una febbre -riprende- E’ più che mai terapeutico, mi fa scoprire l’energia creativa”. Il giorno successivo erano a Cervignano del Friuli con l’unico vestito che avevano addosso a recitare Cassandra. Il giorno dopo a Caravaggio nel chiostro di san Bernardino a interpretare Giulietta e Romeo. “Poi -aggiunge- ho voluto ritornare a casa, per riabbracciare i figli, scossi dalla tragedia sfiorata, e filtrare i pensieri. Quando mi sono tolta quel vestito nero che ormai tenevo da quattro giorni addosso è stato strano perché nella sua austerità mi aveva lanciato un messaggio di essenzialità, per guardare a quello che mi è rimasto, non tolto. Se fosse tutto finito, avrei voluto più tempo per me, un tempo più lento, per trovare quell’essenza di quel vestito rimasto. Si può vivere con molto poco. D’istinto mi è venuto il desiderio di regalare cose che ho”. Ma due mancanze ci sono, che bruciano l’animo: quelle foto in un file liquefatto li rappresentavano tutti felici a Bogotà nel 2008, quando sono diventati di colpo una famiglia con l’arrivo dei tre bambini. “Un tempo infinito, denso, fatto di enorme tenerezza e amore”, ricorda Silvia, mentre Roberto, appena rientrato, pone l’accento sui testi andati persi: “La cosa più cara erano loro. Li avevo scritti e mai salvati. E’ come se una parte di me fosse andata persa, bruciata”. Il capitolo della partecipazione che tutti hanno dimostrato nei loro confronti è grande. Nel libro della vita di Silvia e di Roberto occuperà uno spazio speciale. “Abbiamo sperimentato un affetto collettivo enorme, anche da persone sconosciute. A Venezia eravamo soli, ma eravamo circondati da tanta apprensione”.
Federica Lucchini