CHI E’ L’ALTRO?
di felice magnani
Viviamo un tempo difficile, un tempo in cui difficilmente la bontà, la generosità, il merito, la bravura, la disponibilità sono ingredienti appetibili per costruire qualcosa di più solido, adatto alla maturità di tempi che hanno un assoluto bisogno di mano d’opera qualificata. La rivoluzione telematica, con la sua finissima tecnologia, ha spiazzato molti, soprattutto coloro i quali garantivano la qualità della produzione seguendo un calendario umano ricco di valori passati al setaccio. La prima cosa di cui si parlava, quando per necessità professionali si doveva stilare un giudizio sulla persona, era: “E’ una brava persona!” e l’essere bravo aveva un valore quasi assoluto, perché si legava soprattutto a quella natura primaria, che sapeva unire l’umano nella sua complessa integrità. L’essere bravi era dunque una buonissima carta d’identità, quasi un lasciapassare, un via libera verso l’affermazione lavorativa e la persona si sentiva coinvolta al punto che faceva di tutto per fare bella figura, per dimostrare tutte le proprie qualità e così faceva anche la fortuna dell’azienda o della comunità nella quale viveva. L’altro era qualcuno che godeva della nostra considerazione, qualcuno nei confronti del quale posizionavamo la stima, la fiducia, l’orgoglio, oppure anche l’antipatia. Chi ha insegnato per molti anni sa perfettamente quanto siano importanti le parole di chi ti deve giudicare, di chi ti accompagna, sollecitando di volta in volta la tua curiosità, la tua intelligenza, la tua voglia di apprendere, di metterti a confronto con quel mondo che ti passa accanto e che vuole sapere come la pensi, quali siano i pensieri che si annidano nella tua mente e nel tuo cuore, che tipo di atteggiamento sia più giusto assumere, quale sia il tipo di relazione più adatto. L’altro è un mondo nel mondo, un mondo da scoprire, ma perché la scoperta porti a una conoscenza vera è necessario spogliarsi dei preconcetti e dei pregiudizi, accantonare quelle negatività che ostacolano la conoscenza del cuore e quella dell’anima, aprirsi a una umanità nuova, fatta di profonda fiducia e di corretta attenzione. Riscoprire la forza evocativa dello spirito che alberga nella persona è un po’ come risvegliare quella purezza di pensiero e di costume che accompagna la gioia quotidiana di un bambino che osserva con occhi di stupore il mondo che lo circonda. Tornare bambini non significa privarsi di una personalità o sottovalutare il coraggio di un carattere formato, bensì rafforzare quel gusto dell’armonia che induce a nuove conquiste, meno materiali, meno scontate, più nuove e interessanti, meno vincolate all’egoismo, più aperte a una libertà vera, non soggetta alle prevaricazioni dell’ambiguità. Non si può amare l’altro se non s’impara a conoscere se stessi, se non si attiva quel meccanismo empatico di cui il grande Socrate è stato maestro e sagace divulgatore, non si può amare l’altro se non si abbandona un modo di vivere e di giudicare che resta ancorato a sommari giudizi di ordine prevalentemente estetico, evocati per rafforzate varie forme di opportunismo a danno del prossimo. Oggi la politica non aiuta in questo, non educa alla valorizzazione, alla motivazione, all’unione, alla collaborazione, alla comprensione umana, morale e sociale di chi ci sta di fronte, fa di tutto per stuzzicare i pensieri e le azioni peggiori, assumendosi forti responsabilità, soprattutto nei confronti dei giovani. Mai come in questo momento l’altro è prossimo, è fratello, è nostro simile, è colui che cammina con noi guardandoci in faccia, per capire quale sia la strada giusta, per rendersi conto se esista davvero una pagina di Vangelo che possa modificare l’indurimento delle persone. Mai come in questo momento c’è un estremo bisogno dell’altro, per questo l’educazione diventa il perno attorno al quale si configura il mondo nuovo che avanza, un mondo che non vuole essere compatito o asservito, ma orientato e accompagnato verso l’assunzione di nuovi e fondamentali valori umani. E’ forse necessario capire, analizzare, sollecitare, fare in modo che la storia si colori di impegno e di collaborazione, che tralasci i danni incalcolabili di una presunzione di fondo, è necessario che l’uomo trovi il suo posto a tavola, si sieda e cominci a costruire insieme agli altri la nuova storia, quella che con mille difficoltà nasce dalla convinzione che siamo tutti nella stessa barca e che abbiamo un grande bisogno l’uno dell’altro. La politica ha ancora molto da apprendere, ma deve affrancarsi dagli stereotipi, dall’idea che ad arrivare siano sempre i più colti, i più belli, i più ricchi o i più acculturati e soprattutto i più furbi. Sembrerà assurdo, ma l’idea politica tradizionale, legata alle illuminazioni ideologiche individuali e alle evoluzioni storiche, è troppo statica di fronte alle domande di una storia che muta rapidamente e che richiede risposte concrete, risposte che affondano la loro forza nel bisogno degli esseri umani di sentirsi parte attiva di un complesso costituzionale in cui ciascuno possa riconoscersi.