Ci sono diverse cose che dovrebbero cambiare, prima fra tutte l’atteggiamento nei confronti della vita, il bene più prezioso di cui disponiamo. Il dramma del virus ci ha insegnato che il tempo a disposizione è limitato e imprevedibile, ci ha fatto capire che bisogna razionalizzarlo al massimo, cercando di utilizzarlo al meglio per se stessi e per la comunità nella quale abbiamo avuto la fortuna o la sfortuna di capitare. Purtroppo non è ancora ben chiaro il significato di quale valore abbia essere vivi, svegliarsi al mattino ringraziando Iddio di poter vedere, osservare, respirare, gioire, pensare, contemplare, amare, insomma manca spesso il senso vero e profondo del risveglio, di potersi guardare allo specchio scoprendo che in qualsiasi momento siamo liberi di scegliere quale valore reale dare a quella vita che abbiamo ricevuto in dono da un amore umano, che però trova conferma in una natura più spirituale, meno legato alla forma e molto di più alla sostanza. Il dono della vita è talmente fondamentale che avoca a sé tutti gli altri, perché tutti gli altri sono di natura dipendente. Qual è il problema? Come vivere, come impostare l’esistenza, quali sono le cose che aiutano l’essere umano a crescere, a maturare, a diventare sempre di più protagonista anche senza calcare un palcoscenico o avere una voce bellissima o diventare all’improvviso il più bello o la più bella del mondo. La cosa davvero straordinaria è che a tutti indistintamente viene consegnata una occasione e questo dimostra quanto la creazione sia generosa, quanto le stia a cuore quel sistema umano che ha preso il via nel corso della storia, dimostrando in varie occasioni la sua intelligenza e la sua fragilità, come in alcuni momenti prevalga l’aspetto spirituale e in altri quello materiale. In fondo spiritualità e materialismo convivono in una natura per metà strettamente vincolata alla terra e per metà sollecitata da una forte propensione alle altitudini, da cui sia possibile spiccare un volo che rimetta le cose a posto, soprattutto quando le cose da rimettere a posto vivono dalle parti del cuore e da quelle dell’anima. Non sempre i doni vengono capiti, osservati e amati per quello che realmente sono, in molti casi vengono disprezzati, allontanati, come se il loro stesso pensiero limitasse quella libertà personale che in molti casi si manifesta più come prigione che come occasione di grande apertura mentale verso il mondo. E’ lì dove la vita invece di essere meravigliosa occasione di conoscenza si trasforma in una sorta di condanna perenne, da cui riesce estremamente difficile svincolarsi. In fondo la natura religiosa del problema sta proprio in questo, nel saper collocare il grande spirito umano nelle sue giuste dimensioni, quelle che gli consentono di fruire di tutto ciò che di bello la vita consegna ai suo utenti. La via della mediazione non è facile, capita spesso infatti che l’uomo tenda a voler sottomettere l’altro, che si arroghi stupidamente il diritto di poter gestire a i valori sfruttando una posizione, una condizione, senza valutare che l’altro non è solo quello che ci appare e neppure quello che vorremmo che diventasse, ma è un mondo ampio e aperto, di cui non è sempre facile comprendere l’ampiezza. E’ sulla natura umana che il dopo Covid dovrà lavorare, per fare in modo che la scienza, la politica e la religione tornino a essere espressioni frutto di un’intelligenza che dona non per sottomettere, ma per rilanciare quel valore della libertà personale che è la base di decollo della bellezza umana. La libertà è un valore che si percepisce anche fisicamente, ma il suo utilizzo non è scontato, richiede una forte preparazione. E’ tanto più libero infatti chi sa gestire la propria libertà, chi la sa limitare, orientare, stimolare, ma anche riprendere, criticare, sollecitare, insomma non basta imparare a memoria la legge, la legge va letta, studiata, esaminata, confrontata, amata qualche volta anche criticata e anche concretamente realizzata. Le parole e le frasi, per quanto storicamente perfette, hanno sempre margini di modifica e di movimento, molto dipendono dalle condizioni sociali, economiche, culturali, le società cambiano e richiedono molta attenzione nel saperle interpretare e soprattutto vivere. Il dramma del Covid 19 ci ha fatto capire molte cose, ma il problema vero è che le cose vissute e imparate non bisogna dimenticarle, bisogna farle diventare sostegno, stimolo, spinta, capacità di saperle applicare con una devozione nuova, più vera, più sentita, più umanamente vissuta. Si potrebbe cominciare col dire basta alla noia, all’immobilismo, alla presunzione, alla saccenza, all’arrivismo di qualsiasi natura, si dovrebbe con il cominciare a ripensare una condizione umana in cui tutti si sentano umanamente conosciuti, riconosciuti e amati, non per questo esenti da comportamenti rispettosi e stabili. C’è una realtà fisica di cui ci siamo spesso dimenticati, ma che occupa un ruolo fondamentale, come ad esempio la costruzione di una bella scuola, di un luogo sportivo in campo aperto, la restituzione alla vita di spazi meravigliosi di natura, la riabilitazione del movimento come forma di educazione alla salute, varie forme di collaborazione che non siano solo legate a consensi elettorali o al raggiungimento di posizioni di prestigio da cui esercitare varie forme di potere. Il dopo Covid potrebbe prevedere un modo diverso di fare scuola, un modo diverso di vivere la vita all’interno di un paese e di una città, ripristinare il senso della vitalità e della costruzione, l’insegnamento della sopravvivenza, sfruttando spazi abbandonati, ridare un senso a quello che abbiamo, rivalutandolo o modificandolo, cercando di mettere davanti a tutto la condizione della natura umana, la sua vocazione al bello, il suo voler migliorare sempre un pochino di più. Il dopo Coid potrebbe rivalutare la collaborazione, rimettere in circolo il valore della discrezione, quello della rinuncia, quello del chiedere scusa, del dire grazie, di porsi in atteggiamento di ascolto e di protezione vera nei confronti di quei vecchi che hanno costruito pezzi di mondo prima di noi, a prezzo d’immensi sacrifici. Ecco cosa potrebbe essere importante, far capire ai giovani il valore del sacrificio, la bellezza dell’impegno, l’importanza del lavoro, educandoli a una vita attiva, vera, dove ogni attimo diventi il tempo di una nascita e quello di una risurrezione. Basta dunque con gli sprechi e con la stupidità umana, avanti con le risorse nuove, quelle che costano, ma che dimostrano quante occasioni abbiamo per poter dare un taglio positivo alla nostra esistenza. Nel dopo Covid anche il prete non dovrà più aspettare una telefonata, ma sarà lui a suonare un campanello, a chiedere come stanno gli anziani e i vecchi, senza lo stress o il timore di doversi allontanare dai quotidiani e inalienabili impegni di natura amministrativa. Dunque un mondo dove cadono i veli e dove l’autorità sia davvero il frutto di una vera povertà evangelica, fondata sulla gioia e sull’entusiasmo, togliendo di mezzo vecchi e ancestrali ricordi di antiche velleità assolutiste, dove bastava indossare un abito per sentirsi i padroni del mondo. Dunque un’autorevolezza che parta dal cuore e non da un corpo fisico, una consapevolezza che abbia come finalità il benessere generale, che non sia legato solo alla quantità di denaro guadagnata o a una carica importante assunta, ma alla voglia di cambiare in meglio quel mondo che per un attimo ci si presenta di fronte e ci chiede di avere anche il nostro contributo. Nel dopo Covid il lavoro deve avere uno spazio fondamentale, deve far sentire uomo l’uomo e donna la donna, deve imprimere una’accelerazione alla bellezza della vita sociale, deve far cambiare l’arroganza dell’imprenditore e la presunzione dell’operaio, deve far capire che è nella collaborazione e nell’aiuto reciproco che la società civile si compatta, dichiara apertamente la sua voglia di concorrere alla realizzazione del bene comune. Insegnare il lavoro ai giovani, far capire loro cosa significa fare la spesa, lavare i piatti, rifare il letto, costruire una tenda, proprio come fanno gli scout, percorrere un sentiero, orientarsi, incontrare persone, animali, attivando un reale sistema di reciprocità con una natura viva, capace di generare emozioni, ma anche sollecitazioni e convinzioni. Nel dopo Covid l’amministratore non è più soltanto saltuario esecutore di opere, ma fonte sistematica e costante di attenzioni e di promozioni, di valorizzazioni e di vocazioni, insomma un motivatore nato, che conosce bene e a fondo l’animo umano, le sue necessità e i suoi bisogni. Nel dopo Covid il politico deve essere cosciente di che cosa significhi esattamente esercitare un ruolo, deve avere la capacità di mettersi in discussione, di riconoscere i propri errori, di chiamare a raccolta tutti i cittadini indistintamente quando il paese ha bisogno. E’ forse anche in questa dimensione che dopo il dramma si riaccendono gli entusiasmi, ma sempre con la certezza che l’intelligenza sia una sacrosanto valore aggiunto e che, proprio per questo, vada ascoltato, ponderato, confrontato e messo in pratica con devozione e determinazione.
È una canzone del vescovo di Noto, Antonio Staglianò, per incoraggiare lo sguardo pieno di speranza a ciò che verrà dopo questa pandemia. Scopriamo la nostra vulnerabilità e fragilità. Non abbiamo il controllo di tutto. Ma “di la di questa” sofferenza, raggiungiamo con la nostra immaginazione “profondissima quiete e sovrumani silenzi” (Leopardi) e proviamo a riscoprire l’altezza, la lunghezza e la profondità e la larghezza della nostra interiorità. “Non uscire fuori di te, ritorna in te stesso, là nell’interiore dell’uomo abita la verità”, diceva Sant’Agostino. Certo abbiamo bisogno di riscoprire “il sapore del silenzio”, per conoscere “dove mi trovo” se mi conosco e riconosco o vivo da alienato, sempre “fuori”, dentro maschere che alla fine mi rendono infelice. Nel silenzio ogni essere umano scopre la verità di sé, concentrato nel potere di amare che lo fa risorgere da ogni morte, se decidi di viverlo “ora”, di parlarne con te stesso “ora”. “Ora” è l’attimo, l’istante misterioso che ti cambia dentro, il tocco dello Spirito (di qualche daimon per chi non crede) che ti convince ad agire amando, dimentichi del passato, con lo sguardo aperto al futuro, dentro una visione nuova di te, degli altri, della società, della fede e dell’amore stesso. A ciò che verrà “ora” puoi guardare. Quando vinceremo questa guerra contro la pandemia bisognerà ricordarselo. Adesso la speranza si fa invocazione e anche canto… umile canzone pop.