La cultura non s’inventa, nella maggior parte dei casi bisogna crearla, farla vivere, promuoverla, sollecitarla, fare in modo che non si disperda e soprattutto che sappia convivere con la storia, interpretandola. La cultura quella vera, quella che aiuta l’uomo a vivere meglio la sua condizione, ha bisogno di essere alimentata ogni giorno, ampliata, vissuta, richiede un’attenzione dinamica, capace sempre di consolidare, potenziare, in modo tale che la persona diventi sempre un pochino più persona, le sia sempre più chiaro chi sia e il ruolo che è chiamata a esercitare nella vita. Uno dei temi ricorrenti è infatti l’eccesso di relativizzazione che ha smontato quei valori che sono stati il pilastro delle società democratiche, sorte dopo i grandi disastri delle guerre, quelli che hanno contribuito a farci cogliere più in profondità il valore della libertà, della patria, della famiglia, della scuola, dell’educazione e dell’amore. Oggi si parla molto dell’amore, ma soprattutto sui giornali di gossip. Se ne parla come di una conquista prettamente di natura materiale, legata alle ragioni dell’eros o a quelle di uno stato di necessità, ma si è persa quasi totalmente anche solo l’idea che l’amore possa essere qualcosa di ancora più grande, qualcosa che non si leghi solo a uno stato ormonale, ma a un modello educativo in cui abbia la possibilità di conoscersi, crescere, maturare, dimostrare quanto sia capace di cambiare in meglio la vita. Non un amore figlio di un consumismo di comodo, delle mode e della precarietà, ma un amore la cui forza abbracci tutta la natura umana, soprattutto quella che rimane un po’ in ombra, che fatica a uscir fuori perché è esigente, impone regole, richiede rinunce, s’ispira a un modello, vola alto e qualche volta non si accontenta di una natura troppo terrena, troppo vincolata alla illusorietà e all’immediatezza. In questi anni di consumismo sfrenato ci siamo resi conto che la vita e l’amore hanno perso di consistenza, sono beni usati, correlati a varie forme di egoismo, soggetti a un’interpretazione umana che varia continuamente a seconda della propria necessità. Alla base del concetto di amore c’è lei, l’educazione, quel delicatissimo processo maieutico che induce a riconoscere e a capire qualcosa di più determinante della nostra natura, della nostra personalità, di quello che siamo e di cosa vogliamo diventare. Per andare avanti bisogna rientrare, tornare al punto di partenza, all’origine del tutto e favorirne la fuoriuscita, per creare le condizioni di una reale presa di coscienza. Un tempo questi straordinari procedimenti cognitivi erano pilotati dallo studio della filosofia, da modelli educativi efficaci, da un mondo affettivo stabile, carico d’intensità, capace di scuotere, di far pensare, di ridurre al minimo il sovraccarico inutile, quello che frena la crescita e immobilizza l’intelligenza. C’era poi una forte cultura cattolica, che costringeva pensare, a meditare, a cogliere la natura spirituale dell’amore, quella che si lega alla bellezza, alla donazione, alla rinuncia, alle ragioni del cuore e a quelle della fede, una cultura capace di fungere da anello di congiunzione tra le due anime della natura umana, quella terrena e quella spirituale. Una sorta di equilibrio in cui la realtà si misura, si confronta, si dispone a un dialogo serio con se stessa, uscendo dalle tirannie, dai facili consumismi, dalla piacevole consuetudine di una rituale comodità, per incontrare risposte più ampie, più capaci di creare solidali momenti di serenità e di felicità morale. La cultura odierna risente moltissimo della mancanza di un ordine morale cui ispirarsi, tutto viaggia sull’onda di varie forme di liberazione che non trovano piedistalli stabili su cui appoggiare una presunta libertà. Anche l’aspetto religioso, che ha avuto un fortissimo ascendente nella società del dopoguerra si è andato affievolendo. Oggi l’educazione religiosa non ha più la famiglia come punto di riferimento stabile, in molti casi esercita un’azione di contenimento. La scuola soffre di una generale riduzione di autorevolezza e in parte anche di autorità, non ha più il coltello per il manico, non trova più nella famiglia un’alleata sicura e nella politica un supporto attento, sopravvive con forze sempre più esauste, con mezzi sempre più precari, non trova le giuste corrispondenze nei governi e nella forza rigenerativa dello Stato. L’incremento del bullismo dimostra quanto la scuola abbia perso di autorevolezza e quanto la società civile e lo Stato siano in sofferenza rispetto ai problemi reali delle persone. Il sistema educativo è in crisi a tutti i livelli, soprattutto nei rapporti umani e nel sistema relazionale. La tendenza odierna è quella di minimizzare, di ridurre, di pensare che basti poco per ricostruire, non si tiene conto che ogni problema ha un ambito in cui cresce e si sviluppa, un’incubazione e un contesto in cui si determina. Oggi manca un’educazione all’amore che vada oltre una formale pratica istituzionale, forse occorre ripartire da lontano, dove l’amore nasce e prende forma nella sua dimensione fisica e morale. Educare all’amore significa collegare il mondo affettivo della natura umana alla realtà in cui l’uomo vive e distribuisce le sue affinità.