C’ERA UN TEMPO
di felice magnani
C’era un tempo in cui tutti si sentivano parte di una grande trasformazione educativa. La scuola, la famiglia, il mondo religioso e quello civile erano coscienti che una buona educazione avrebbe potuto ridare forza a una società capace di riprendersi dai drammi della guerra. I giovani potevano contare su una task force che prendeva forma nei valori laici e religiosi di un mondo adulto che ne riconosceva appieno l’importanza. Colonie estive, ospizi civili, doposcuola laici e religiosi, servizio civile, servizio militare, apprendisti lavoratori, collegi, convitti, scout, oratori organizzati, bastava guardarsi attorno e riflettere, pensare a una via d’uscita e da qualsiasi parte incontravi qualcuno disposto a prendersi cura della tua identità. Le vie risolutorie c’erano ed erano alla portata di tutti, ricchi e poveri, c’era soprattutto la voglia di evitare che i ragazzi e le ragazze potessero vivere una crescita senza senso, priva di obiettivi, di esperienze concrete, c’era un grande interesse comune che partiva dalla famiglia e arrivava alle istituzioni più consolidate. Erano altri tempi, in cui ci si alzava per lasciar sedere un vecchio, erano tempi in cui il rispetto era il perno attorno al quale si muoveva tutta la comunità educante. Vivevi e ti divertivi, ma dovevi stare attento, perché sapevi che le regole erano quelle e guai violarle. Poteva succedere, ma te ne pentivi quasi subito e cercavi nella tua coscienza la fonte di approvvigionamento di nuove opportunità. Un tempo i giovani non stavano tutto il giorno in mezzo alla strada, avevano sempre una mamma o un papà a cui confidare i propri problemi e i propri disagi, un prete con cui connettersi, c’erano i filtri, risposte pronte per ogni evenienza. Poi il tempo è passato, si è cominciato con il dire che le regole non erano più regole, che la libertà doveva essere un diritto e non un dovere, che bisognava essere più comprensivi e meno rigorosi, si è cominciato con un permissivismo esagerato, grazie al quale tutto veniva concesso e risolto spesso con un: “ Vabbé, non c’è niente di male”. La scuola ha smesso di essere quella degli esami a ottobre, quella del sette in condotta, dei genitori che non mettevano in dubbio l’autorità del maestro o del professore, è diventata la scuola di una democrazia senza la certezza della pena, dove tutto o quasi diventava possibile, anche mandare a quel paese chi insegnava il rispetto. Abbiamo cominciato col dire che i ragazzi erano già sufficientemente maturi, che il servizio militare era inutile e dannoso, che bisognava trovare l’alternativa a un insegnamento troppo catechistico, abbiamo aperto le vie a un cammino senza punti di appoggio, dove poteva succedere tutto e il contrario di tutto, ci siamo lasciati condurre da varie forme di irresponsabilità, senza poter opporre il valore dell’autorità, si è dato più peso alla quantità che alla qualità, abbiamo abolito molte strutture che avevano avuto una storia importante. Così una fondamentale rete democratica è stata smontata dei suoi pezzi principali. L’educazione ha preso altre strade, ha lasciato dietro di sé un mondo carico di incertezze e di punti interrogativi. Disagio, malessere, menefreghismo, arroganza, presunzione, arbitrarietà si sono impossessati della vita comune, hanno trasformato il quieto vivere in prevaricazione, aggressività, arroganza, maleducazione, l’educazione si è nel frattempo resa conto che sarebbe stato molto difficile ritrovare la via, perdendo così per strada i suoi cultori, coloro che a lei avevano sacrificato la propria vita. Oggi uno dei temi fondamentali è ripartire, ma per ripartire occorre aver ben chiaro in mente il significato vero e profondo di una ripartenza, che cosa si vuole lasciare o modificare o innovare, di solito i grandi cambiamenti hanno tempi lunghi di preparazione, sperimentazioni e prove, a volte si va anche un po’ per tentativi, cercando di produrre il meglio di quello che passa il convento, certo una società che guarda al futuro deve avere ben chiari i suoi obiettivi e gli strumenti per raggiungerli. Fermo restando che l’educazione sia l’immagine ufficiale di un paese, si rende necessario rimetterla in funzione con autorità e fermezza, senza lasciarsi troppo coinvolgere da forme frustranti di buonismo. Nel nostro paese ci sono troppo problemi rimasti irrisolti, troppe iniziative abbandonate a se stesse, troppi progetti gettati alle ortiche, troppe approssimazioni e ambiguità, ci si è dimenticati troppo in fretta che la vita non è vita senza regole precise, senza ideali, senza la capacità di dare risposte alle domande di una comunità che vuole diventare grande. Sono sempre di più le persone che parlano, parlano, parlano, che urlano, urlano, urlano, che si arrogano il diritto di fare e disfare, di trattare la comunità come si fosse una cane da portare a spasso con il guinzaglio, dimenticando che ogni essere umano è figlio di quella preziosissima identità che è la vita, nei confronti della quale va tutto il nostro amore e la nostra riconoscenza. Ripartire dalla vita significa rivalutare tutto ciò che contribuisce a potenziarla, proteggerla, promuoverla, come ad esempio rafforzando il ruolo della famiglia, della scuola, di una società civile molto più vicina e attenta ai problemi che la riguardano, di uno Stato pronto a esercitare fino in fondo la propria autorità, soprattutto quando la democrazia perde i pezzi e rischia di diventare preda di una tracotante anarchia. In questi anni ci siamo resi conto di quanto sia necessario prevedere, ricercare, provvedere, osservare, non dare nulla per scontato, saper guardare sempre avanti, anche quando il mondo ci vorrebbe far credere che tutto sia già risolto e che non ci sia più bisogno di altro. E’ proprio nei rari momenti di quiete che la determinazione comunitaria deve guardarsi attorno, deve mettere sul tavolo la realtà e analizzarla per capirne in profondità i bisogni e le necessità. Una democrazia vitale e proattiva non deve farsi mancare nulla, deve essere sempre sul pezzo, anticipando senza lasciarsi anticipare, deve proporre e sottoporre, deve coagulare le forze e le energie, deve dimostrare che non c’è nulla che la possa mettere in crisi, deve dare risposte certe, capaci di trasformare l’immaturità in coscienza attiva, la stupidità in presa d’atto, l’anarchia in rispetto individuale e comunitario, l’aggressività in capacità di restituire alla ragionevolezza la sua forza restaurativa. Un paese con grandi tradizioni democratiche non deve lasciarsi sottomettere, non deve assolutamente cadere nella rete dell’ambiguità umana, deve saper imporre la propria civile intelligenza con regole certe, uguali per tutti. Forse è necessario ragionare più a fondo sul valore degli atti e delle parole, sul significato della storia, sul significato e sul valore della politica, sull’attualità di parole come rispetto, autorità, autorevolezza, disciplina, riflettendo su che cosa significhi integrarsi, collaborare, unirsi, riconoscersi nelle regole di una Costituzione. L’educazione richiede un’ampia convergenza di forze e di energie, non ama sentirsi sottomessa, sottovalutata, schiacciata, svalutata, non ama chi tradisce ciò che altri hanno costruito con grande determinazione, coraggio e spirito di sacrificio nel corso della propria storia. La rinascita di un paese ha come punto di partenza la capacità di organizzare un sistema in cui i cittadini vivano con pienezza e armonia il loro impegno, coscienti di quello che fanno, sicuri di essere parte integrante di una grande realtà umana, che non distanzia, ma avvicina, che non respinge, ma accoglie, che non calpesta, ma ordina, che non domina, ma insegna, che non aliena, ma coinvolge. Spesso ci si dimentica che la persona ha un’anima e che sente il bisogno di incontrare comprensione e attenzione. Molti dei mali della nostra società derivano da un reiterato menefreghismo, da varie forme di “razzismo”, da iniziative che non vengono sorrette da un’adeguata ragionevolezza, da varie forme di approvvigionamento e da un eccesso di personalismo, ci si butta nei problemi senza valutarne fino in fondo le variabili. Oggi nel nostro paese esiste un grosso problema legato all’immigrazione. Ci si appella molto spesso alla solidarietà, alla generosità, a regole e leggi che non sono state preventivamente preparate e che nella maggior parte dei casi si legano alla occasionalità, a interventi che non rispondono a una visione concreta e reale di ciò che si deve affrontare, ci si scontra e si lotta per una supremazia culturale, politica e sociale, affidandosi molto spesso a pessime forme di capitalismo senz’anima, costruito apposta per soddisfare una retriva vocazione al comando e alla dominanza. La politica va preparata prima ancora che si scontri con la realtà, deve avere ben chiari gli obiettivi da raggiungere, deve coinvolgere senza escludere, deve insegnare la buona educazione, deve proporsi come momento di armonia sociale, dove le attese e le aspirazioni s’incontrano e si uniscono per rendere ancora più gradevole quel processo d’integrazione che anima di positività la vita degli esseri umani. Viviamo un tempo in cui la digitalizzazione è un mezzo, uno strumento importante, ma pur sempre qualcosa di umanamente materiale che non sostituirà mai il respiro dell’anima, quella straordinaria vocazione alla socialità che aiuta gli esseri umani a costruire giorno dopo giorno la loro vita e quella della comunità a cui appartengono. Mai come oggi la forza interiore è quella che fa la differenza, quella che aiuta a capire chi siamo e cosa possiamo fare per lottare contro i disagi e le iniquità, è quella che ci fa capire come anche una terribile pandemia possa essere l’inizio di una nuova alba della conoscenza e del sapere, l’inizio di un nuovo cammino verso tutto ciò che nel tempo ha costruito la nostra umanissima felicità. Viviamo il tempo di un nuovo rinascimento e forse anche di un nuovo umanesimo, un tempo che impone una riflessione profonda sui principali temi e problemi che mordono la natura umana, richiamandola a tutta una lunga serie di riflessioni, convincendola che rinascere si può, basta volerlo. Per convincersi basta guardare quei camici bianchi che con orgoglio e fierezza hanno preso in consegna la malattia del genere umano per cercare di farle ritrovare il gusto della speranza e l’amore per una vita che non risparmia all’uomo la sua aggressività. E’ con i medici che dobbiamo ritrovare la fiducia, è con la loro determinazione e la loro fede che dobbiamo tentare di costruire una società più attenta e quindi più in grado di rompere quei muri e quegli ostacoli che stupidamente ne impediscono l’evoluzione. E’ mettendo da parte gli odi e i rancori, i personalismi e gli arrivismi che, forse, riusciremo a rimettere in campo quella volontà che ci ha sempre permesso di riconquistare quello spazio di libertà necessario per ritrovare il sorriso.
CHE COSA AVEVA L’EDUCAZIONE?
di felice magnani
Ci sono momenti in cui vale la pena staccare e osservare la realtà con uno sguardo diverso: più razionale, disincantato. Vale davvero la pena lasciare che l’interiorità si riaccenda e che rimetta in moto il meccanismo della ricerca, quello che di solito caratterizza le stagioni più vive e più tenere della vita, quelle in cui si vive sull’onda di emozioni, di scoperte quotidiane, di sentimenti che si accendono e si spengono, di quel senso un po’ magico che induce a sognare un mondo più vero e più umano. La società dei consumi, quella dei grandi stravolgimenti urbani, sociali, etici e morali, si è impossessata della nostra unicità, ci tratta come dei subalterni a cui non resta altro da fare che applaudire o disperarsi, ci impedisce di porgere l’orecchio al richiamo di quel fanciullino di pascoliana memoria a cui molto spesso abbiamo tappato la bocca e tarpato le ali. Così facendo abbiamo perso la possibilità di vedere il mondo sotto una luce più umana, più carica di speranza nel futuro, ci siamo preclusi la strada di una giovinezza dello spirito, della capacità di rilanciare proprio mentre siamo in difficoltà. In molti casi viviamo come se avessimo subito una sorta di mummificazione interiore. Viviamo una vita determinata quasi sempre da input che arrivano dall’esterno e che condannano la natura umana a essere subalterna, invece di aiutarla a diventare protagonista, capace di una vita di relazione forte e coraggiosa. L’uomo vive subendo una realtà che non ha eletto e che in fondo in fondo rifiuta, ma che in nome di una non sempre comprensibile democrazia è costretto a subire. E’ un po’ come la storia delle tasse, una spada di Damocle che ti porti dietro dalla nascita alla morte, senza la speranza di uscirne. Cosa aveva l’educazione di una volta?. Forse un volto più umano. Di solito nasceva in una famiglia, nell’aia di una corte, attorno a una tavola imbandita. Anche la scuola era diversa. Non avevi mai tempo da perdere. Ogni attimo era scandito da una traduzione, da un tema, da un compito di matematica, da una ricerca storica, geografica o scientifica. Frugavi nella piccola biblioteca familiare o in quella della tua città o del tuo paese alla ricerca di un sapere che accendeva di curiosità il ritmo incalzante della vita e quello delle stagioni. C’era anche un tempo per il gioco, si trattava di un tempo studiato, collocato all’interno di una programmazione quasi naturale. La vita quotidiana era piena, pronta a ringalluzzire ogni tipo di curiosità. Bisognava imparare a distribuire bene il tempo, a non disperdere il patrimonio naturale ricevuto in dono. Ci si incontrava spesso a casa dei compagni o degli amici per fare i compiti o anche solo per festeggiare un compleanno o per giocare. C’era sempre qualcosa da fare, da imparare, da costruire, da ascoltare. C’era sempre una voce che stimolava a vivere con degli obiettivi, con una voglia infinita di conoscere il mondo. Per essere felici non era necessario avere una casa grande o un oratorio bellissimo e con tanti spazi, bastava avere qualcuno vicino che regalasse una carica di entusiasmo e di passione, che condividesse una partita o un discorso interessante, che facesse capire che bisognava fare sempre un piccolo sforzo personale per essere davvero contenti. Nessuna società è mai stata perfetta. Le frustrazioni si trovavano ovunque, ma era profondamente diverso, cioè più umano, il clima che gravitava attorno. La scuola era più attenta alla distribuzione del tempo e del lavoro, era cosciente che il dolce far niente avrebbe innescato una buona dose di anarchia. L’impegno era attivo su tutti i fronti. C’erano ragazzi che una volta finiti i compiti si mettevano al servizio dei genitori, si ritagliavano piccoli lavoretti, cercavano insomma di dare un senso alla bellezza della libertà. I più fortunati avevano qualcuno che li seguiva nei compiti a casa. C’era chi andava a lezioni private, chi frequentava la casa dello studente, chi andava all’oratorio, chi andava a casa del maestro o del professore per approfondire. Le famiglie erano molto attente all’educazione, anche quelle meno abbienti, quelle meno preparate culturalmente, lo erano soprattutto nella pratica, quando si trattava di dare un senso alla vita dei propri figli. L’impegno era far crescere i giovani con uno sguardo attento alla concretezza. Nulla sarebbe arrivato per caso, alla base di ogni conquista ci doveva essere tanta buona volontà, una sorta di orgoglio naturale che stimolava la capacità di affrontare con dignità e coraggio le prove della vita. Oggi viviamo in una società che non è più capace di elargire certezze e soprattutto fa pochissimo per costruire una democrazia chiara, affidabile e convinta. Tutto è diventato opinabile. Tutto è relativo. I giovani non vengono valorizzati per quello che sono e che rappresentano. L’italianità, il legame con le leggi e le regole costituzionali, è fortemente in ribasso, crescono a dismisura sistemi che vivono di vita propria, nella maggior parte dei casi diversa da quella indicata dall’ufficialità istituzionale. E’ sempre più difficile riconoscere il valore fondante, quello di appartenenza, capita spesso che le improvvisazioni della storia colgano di sorpresa anche la politica più attenta, trasformando il senso di responsabilità individuale e collettivo in una sorta di punto di vista soggettivo, che determina una diffusa arbitrarietà personale. Diventa sempre più difficile capire il valore delle cose, il senso di quello che si fa, le motivazioni che danno uno scopo al pensiero, alle idee e alle azioni, si agisce molto di più sull’onda di impulsi che non con l’ausilio di una pacata e autorevole ragionevolezza. Basta pochissimo perché si accendano antagonismi, la politica invece di educare gli animi alla conoscenza e al fare, inietta forti quantità di veleni. In questi anni è venuto a mancare il senso dello Stato, la gente si sente in balia di un’ incertezza che non le consente di posizionarsi in modo sicuro nelle dinamiche esistenziali, si è perso per strada il valore immenso della vita, l’uomo agisce sempre di più sotto l’effetto di bassi istinti e di pulsioni irrazionali, riempiendo la quotidianità di azioni insensate. Manca il rispetto dell’altro, è venuto meno quel senso religioso della vita che la preservava da varie forme di materialismo. Anche nelle condizioni peggiori, però, si allertano gl’impulsi migliori, quelli che inducono a riflettere con pacatezza e determinazione sugli errori, per rilanciare la positività di una sana vita comunitaria. Viviamo in un paese che vuole cambiare, che vuole dimostrare il suo valore, la sua creatività, il suo genio, lo spirito di quei santi di cui si parla sempre meno, ma che sono il vanto non solo della chiesa cattolica, ma anche di una nazione che ha imparato ad amarne i messaggi, le testimonianze, la voglia di cambiare in meglio il mondo. Dunque conviene fare un passo indietro per capire e un passo avanti per ritrovare e rilanciare quella cultura che tutto il mondo ci invidia e di cui continuiamo a essere testimoni, anche in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo. E chi più di Dante Alighieri ha insegnato ad amare l’arte, la letteratura, la poesia, il senso religioso di una vita che, grazie alla fede e alla ragione, trova sempre un motivo in più per riconoscersi, per restituire la speranza a chi pensava di averla perduta per sempre?
IL MONDO DELLA SCUOLA E’ MOLTO PIU’ AMPIO
di felice magnani
Abbiamo spesso giudicato la scuola come una fortezza, luogo dove l’ignoranza si trasforma in sapere, dove l’essere umano cresce e matura lontano dagli schiamazzi di una società convulsa. L’abbiamo strenuamente protetta, coltivata, frequentata, ma sempre come se si trattasse di un altro pianeta, dove in molti casi si insegna quello che la società civile dimentica, presa com’è dalle sue ambizioni, dalle sue inibizioni e dalle sue presunzioni. Nell’universo della vita la scuola occupa un posto di grande rilievo, ma chissà perché non è sempre amata e desiderata come dovrebbe, di solito viene guardata con sospetto, persino con un pizzico di paura, come se la conoscenza fosse figlia di una violenza, come se alla scuola mancassero quel cuore materno e quell’autorità paterna che animano la coesione sociale della famiglia. In molti casi la scuola è rifiutata, non è compresa, diventa antagonista, si erige a spirito giudicante di una società troppo lontana e individualista per entrare di diritto nella bellissima complessità della crescita umana. Nell’autorevolezza del sapere si consuma l’umanità docente, quella parte che, della scuola, costituisce l’anima pensante. L’insegnante si trova e continua a trovarsi spesso solo, immerso nelle contraddizioni di un mondo dominato dalle mille ambiguità di un costume retrivo, impreparato, incapace di cogliere al volo l’energia trasformante, il bisogno d’innovazione, di libertà, di diritto, la voglia di immergersi nella vita per capirla meglio, per accompagnarla e per essere accompagnati, in un cammino di reciproca comprensione. La scuola deve spesso soccombere dinnanzi a un fronte critico senza idee chiare, vittima spesso di un irrefrenabile dinamismo sociale, umano, morale, economico, societario. La scuola è rimasta forse prigioniera della sua storia, di un passato remoto che non ha saputo rendersi prossimo, uscendo una volta per tutte da varie forme di approssimazione. Si è lavorato troppo poco sulla forza emancipativa della persona, sulla sua capacità di essere pensiero e azione, apprendimento e applicazione, sulla necessità di uscire definitivamente da schemi troppo vincolanti per permettere al sapere di farsi verità, di dimostrare sul campo quanto l’intelletto possa armoniosamente convivere con quel mondo che lo circonda e che lo interroga con sistemica perseveranza per sapere sempre qualcosa di più della sua identità, dei suoi limiti e delle sue risorse. Amiamo la scuola, ma la vorremmo diversa, più attenta, aperta, dialogante, più inclusiva, più capace di cogliere e anticipare, di correre in parallelo con quel mondo che la circonda, una scuola sempre più capace di trasformare le straordinarie ricchezze dell’animo umano e della sua universalità, una scuola che sa farsi capire anche da chi parla una lingua diversa, che sa farsi protagonista di una ricerca costante, collaborando attivamente con quel mondo che la circonda e di cui diventa figlia, dopo essere stata madre. La scuola è un mondo molto più ampio e appetibile di quello che abbiamo conosciuto, è un concerto quotidiano di anima e di energia, di volontà e di curiosità, di gioia e di soddisfazione, di generosità e di applicazione, basta saperla far uscire allo scoperto senza precluderle la possibilità di diventare protagonista di una storia che si costruisce giorno per giorno, una storia in cui l’umanità dimostra tutta la sua ricchezza e la sua animosità, la sua voglia di unire la bellezza del pensiero spirituale a quella di un pensiero più fisico, più attivo, capace di far ritrovare quel senso della bellezza che spesso sfugge quando non viene coltivato con la dovuta passione.
A SCUOLA LO SGUARDO SI APRE
di felice magnani
Stare con i giovani, parlare con i giovani, confrontarsi con i giovani, percorrere ogni giorno insieme una parte del cammino della vita è qualcosa di veramente straordinario. Nella scuola c’è l’anima del mondo, un fluttuante sistema di esperienze, consigli, incontri, confronti, scoperte, sperimentazioni, programmi e obiettivi. La scuola è un grande laboratorio da cui emergono stili, metodi, anime, voci, pensieri e dove spesso la narrazione va di pari passo con l’evoluzione di un mondo che non finisce mai di stupire, di regalare ghiotte occasioni di conoscenza e di sapienza. A scuola s’impara a smontare per costruire, per mettere ordine in quel turbinio di idee e pensieri che alimentano la fonte del sapere. E’ bella quando non è ripetitiva, fiscale, scontata, quando risveglia invece di pianificare, quando si ricorda che la vita è in perenne movimento e che una costituzione per quanto storicamente bella e socialmente utile è sempre soggetta alle mutazioni e alle interpretazioni di un’intelligenza che opera costantemente in chiave dinamica. Nella vita della scuola ci sono energie e forze che s’incontrano per rilanciare nuove armonie e nuovi equilibri sui quali fondare l’economia di una cultura che stimola, sollecita, ravviva e armonizza. E’ a scuola che il nostro spazio si definisce, assumendo identità e dignità, è passando attraverso la scuola che la società detta le sue regole diventando paladina di valori e di esperienze, è nella scuola che i colori risaltano per quello che sono, nella loro luce naturale, quella che è toccata in sorte a ciascuno perché ne rendesse merito. Una società rinasce sempre dalla scuola, si forma quando la parola s’incarna per rendere più agevole la capacità di indagare quel variegato sistema delle relazioni che anima il nostro io. Di scuola se ne dovrebbe parlare di più. Dovremmo sorprenderci a pensarla e a ricordarla, rimettendo al centro la bellezza di quei rapporti umani che sono la rivincita sulle aridità e sulle desertificazioni della vita. Di scuola si dovrebbe vivere sempre per mantenere solleciti i rapporti interpersonali, per approfondire i dinamismi di un sistema che si apre sempre di più al dialogo e al confronto. La scuola è un tempo indefinito, dove insegnante e alunno procedono, permettendo all’insieme di convergere, di fare posto a quel volto sorridente di chi scopre strada facendo il senso di un amore disinteressato, attraverso il quale l’insegnamento e l’apprendimento diventano bene comune, aperto a chiunque voglia esprimere il suo livello di convivialità.