Cento anni di vita siglati dalla riconoscenza e da quella sinergia feconda che genera comunità. Questa è la storia del rapporto tra Bardello e le suore della Congregazione di Nostra Signora degli Apostoli che a giugno festeggeranno l’importante anniversario con un nutrito programma che culminerà con la celebrazione della messa presieduta dall’Arcivescovo Mario Delpini. Il grazie è lungo un secolo. C’è fermento per organizzare al meglio questa ricorrenza. Le suore sono anziane, malate dopo anni di missione in Africa, e allora si muove il cuore di Bardello, Comune, Parrocchia, Pro Loco, tanti volontari. Per secoli, quel palazzo dove risiedono è stato un palazzo di signori, a cui si dovevano pagare i tributi della terra, del lago di Varese e di Biandronno. Quelle mura così possenti e quel portale ancora signorile hanno visto persino un assedio dei soldati austriaci quando nel 1949 cercavano armi che temevano nascoste nell’edificio. Vi si accedeva con grande soggezione perché dai Besozzi e successivamente dai Quaglia dipendeva la vita di molte famiglie bardellesi. Era il palazzo del potere. Poi nel 1922, provenienti dalla Francia, arrivarono loro e improvvisamente diventò il palazzo dell’accoglienza. Hanno una connotazione particolare le suore di Bardello, avvezze a qualsiasi sacrificio. Dietro la loro schiena che magari tende ad essere un po’ curva e dietro quell’accento che per alcune di loro, pur essendo italiane, è marcatamente francese, c’è una intera vita trascorsa in Burkina Faso o in Benin e in altri stati africani a contatto con le malattie, la fame e l’acqua razionata. Hanno dei vissuti straordinari alle spalle. Aprire la pagina della memoria, legata al rapporto con le suore per molti bardellesi, quando il convento non aveva la funzione di casa di riposo per le consorelle, significa far scaturire una miriade di ricordi perché ci sono sempre state nella loro vita. Una realtà presente e sollecita. Quel portone era la metafora dell’accoglienza. Simbolica della loro presenza è stata l’istituzione del servizio infermieristico quando ancora non esisteva il Servizio Sanitario Nazionale. “Era un ospedale”, ricordano alcuni, garanzia di preparazione e serietà. Le suore erano reperibili ad ogni ora, senza farsi pregare, sempre pronte ad affrontare i problemi come nella realtà africana dove l’indispensabile spesso manca. La loro spiritualità missionaria si manifestava nella vita parrocchiale. E allora il palazzo era aperto per l’oratorio femminile, per organizzare spettacoli teatrali, per organizzare la corale, per seguire i bambini all’asilo. Tanti di loro in passato sono stati vestiti con gli abiti che davano loro le suore. Il convento era divenuto un centro di raccolta, anche perché la questua era una delle attività delle religiose. Cariche di borse pesanti, tornavano al convento dopo aver camminato per ore a cercare anche la frutta, anche non in ottime condizioni. Ci sono bei ricordi legati al presepe vivente di Bardello che negli anni Cinquanta/Sessanta, richiamava migliaia di persone. Persino la TV. Partiva dal convento con i costumi tutti confezionati dalle suore e dalle ragazze che da loro avevano imparato ad essere sarte e ottime ricamatrici. Era una tradizione preparare la dote presso di loro. C’è un ricordo molto lontano, ma che ricostruisce il clima di quegli anni: tutte le novizie, ed erano tante, in fila uscivano con la falce sulle spalle per andare a tagliare il fieno, dopo aver dedicato tempo alla preghiera. Non disdegnavano nessun lavoro. Oggi è il momento dell’affetto per le suore allettate e inferme. Hanno vissuto la loro esistenza per gli altri. Soprattutto per gli ultimi.
Federica Lucchini