Armonia. Scaturisce dall’animo questa parola quando giunti sul lungolago di Cazzago si vede il Negus, Luigi Giorgetti, uno degli ultimi pescatori del lago di Varese, sfilettare i pesci, seduto all’ingresso della casa del pescatore. Sembra che questo angolo sia stato creato per lui e lui sa viverci con una naturalezza atavica. Sede della Cooperativa Pescatori, è un luogo dove parlano le pietre, ha in sé la storia di tante vite. Lui ne è il custode, orgoglioso. Invita ad entrare con la familiarità di chi quel luogo lo conosce da sempre. Il tempo scorre lento in questo angolo di lago: i ritmi hanno il piacere della conversazione, delle battute, delle consuetudini e lui con la sua pelle color noce antico, comincia a parlare lentamente, con lo sguardo arguto, evidenziando che la pesca per lui è una faccenda di famiglia: “Fin da bambino pescavamo con qualche pezzetto di rete -si parla quando il lago era lago (sottolinea)- Nell’acqua bassissima e chiara si vedevano i gobbini. Per noi era un divertimento”.
A quattordici anni era pescatore in barca con il papà Giovanni, poi a quindici ebbe il suo “barchett”. E cominciò ufficialmente l’avventura di una vita che prosegue. “Il lago era bellissimo -spiega- Dava da mangiare a cinquanta famiglie tra pescatori e pescivendoli. Un tempo non c’erano le luci di oggi, l’oscurità era totale e nelle notti serene ci si orientava con la luna. Ma il lago era bello anche con la nebbia. Ho fatto la vita sul lago. Quando alla mattina giungo sulla riva, faccio un respiro profondo e i pensieri vanno. Siamo soli: io e lui”. Due compagni che si conoscono nei più profondi palpiti. La pesca è un mestiere geloso: “Ognuno di noi -riprendono i ricordi- aveva il suo pezzo di lago dove pescare. Operava in autonomia, guardingo”. Ha partecipato anche lui alla pesca collettiva delle tinche con il “rierun” attorno agli anni Sessanta. “Si procedeva lentamente con due barche. Il lago era calmissimo e improvvisamente si vedeva saltare una tinca: era il segnale di gettare la rete. Ci mettevamo in cerchio, si formava un sacco alto 25 metri. Si appoggiava il piede sulla sponda della barca e intanto si tirava la corda e il pesce rimaneva impigliato. Una volta abbiamo pescato 30 quintali di tinche”. Accompagnati dalla sua autorevolezza, si visita la casa dei pescatori. All’ingresso a sinistra un’antica caldaia, che occupa buona parte dello spazio: “Serviva per la tintura delle reti prima dell’evento del nylon -spiega- Si bollivano con i gusci delle castagne d’acqua”. In questo percorso tra oggetti che sono passati in tante mani e che hanno conosciuto cos’è la laboriosità, c’è il tremaglio e il Negus fa in modo che si vedano le tre maglie, sorridendo soddisfatto. Ma è soprattutto quando si sale al piano superiore che l’atmosfera diventa densa ancor più di significati: nel salone dove si tiene l’assemblea fa bella mostra di sé in una bacheca la bandiera della Cooperativa. E’ nella parte centrale che evidenzia la sua preziosità. Pur essendo sfilacciata nella parte terminale, appare come una trina: è bello immaginare le mani della ricamatrice che con pazienza certosina ha raffigurato san Pietro su una barca colma di pesci, mentre raccoglie le reti di fronte alla riva di un paese che potrebbe essere Cazzago. C’è in quell’immagine la profonda religiosità lacustre. Accanto, lo stendardo altrettanto prezioso con la scritta ancora ben conservata: “Società Anonima Mutua Cooperativa Pescatori Lago di Varese”. “Lo si sventolava tre volte sopra la bara di un pescatore, mentre veniva inumato”, spiega il Negus. Era l’ultimo saluto della comunità dei pescatori.
Federica Lucchini