“In fondo, il momento dell’incanto è legato all’improvvisazione”. Sembra una frase dal sapore leggero, invece, no. Enrico Ferrari, 48 anni, architetto, banditore durante la festa di sant’Eusebio, storica “piazza” dove le offerte solitamente lievitano, è consapevole che la sua presenza è sinonimo di attenzione, di battuta pronta. Un giusto equilibrio tra lo stimolo nel far alzare il premio e la discrezione perché ognuno possa assistere a questo spettacolo -perché tale è l’incanto di sant’Eusebio- senza essere disturbato nelle sue scelte. Ha avuto un’eredità “pesante”: il suo predecessore Ottorino Sartori è stato banditore per oltre cinquant’anni. Un maestro in quest’arte da cui lui ha avuto modo di imparare molto fin da ragazzino quando gli passava le barelle su quel banchetto dove lui era in piedi e in dialetto ricordava a tutti, roteando gli occhi con un atteggiamento fintamente minaccioso, che sant’Eusebio può tutto. Poi Enrico correva a distribuire i premi. Quelle offerte, disposte sulle barelle in legno, riccamente addobbate, che vengono sempre trasportate a mano in processione dalla chiesa parrocchiale di sant’Agostino e santa Monica, sono sempre state predisposte come un dono per la chiesa. Quindi curate nei dettagli e dove la fantasia ha libero sfogo. “Un tempo erano più fantasiose -ricorda- con la presenza di oche, galline, asini. Oggi sono tutte ben confezionate, con tanti preparati in casa.”. Dunque offerte allettanti, una piazza ben disposta e il banditore che non è da meno. “Quando mi è stato proposto quest’incarico una decina di anni fa ho intuito che imitare Sartori sarebbe stato un errore: avrei finito per diventare la sua brutta copia. Le battute in dialetto non sono mie. Ho cercato di avere un mio stile. Mi sono reso conto che la timidezza che mi caratterizza in quel momento sparisce. Il mio è un servizio in cui credo molto. Devo far divertire molte persone che attendono l’incanto e nel contempo fare in modo che le offerte salgano. Per rompere il ghiaccio, faccio partire il parroco, don Norberto Brigatti. Il primo cesto lo batte lui. Così stimolato, inizio a descrivere la prima barella, ma intanto ho già osservato le presenze. Tutte e nella mente metto in atto i meccanismi che possono, nella discrezione e nel divertimento, fare uscire allo scoperto chi vuole contribuire. Certo, quello che costituiva l’imprinting di Sartori lo riprendo ogni volta. Prima di concludere un’offerta, grido in dialetto: “E do e do e meza e mezza trì” (E due e due e mezza e mezza tre)”. Oppure per motivare: “I mezz van mia in Paradis” (I mezzi non vanno in Paradiso, le cifre devono essere tonde). Certo -continua- ci sono momenti veramente divertenti: giovedì, avevo notato che non era ancora arrivata una coppia che tradizionalmente alza la posta. Aldino, uno dei volontari che mi consegna la barella, è uscito con la punta di diamante, la migliore in assoluto, che di solito viene presentata quando il clima è caldo. Questa volta c’erano salumi in abbondanza che io poi avrei descritto. “Riportala via”, gli ho detto e lui mi ha guardato stranito. “No, aspetta, riportala fuori”, quando ho visto che le due persone che avrebbero fatto un’offerta importante erano giunte. Così abbiamo dato origine ad un numero divertente, tra le risate dei presenti. L’offerta base è salita sempre più in un rimpallo all’insegna della golosità, ma soprattutto della gioia di donare. Ed è arrivata a 2500 euro. “Meno male che anche quest’anno la ruota è girata”, ho detto fra me quando sudato e contento ho finito il mio servizio”.
Federica Lucchini