Sono in continuo aumento i gruppi di fedeli da tutta la Lombardia che richiedono di visitare la chiesa parrocchiale di sant’Agostino e santa Monica per immergersi nello stupore. Lo stupore generato da un’opera mozzafiato che ricorda la bellezza dei mosaici delle grandi cattedrali, offrendo un percorso spirituale molto profondo: si tratta del mosaico, realizzato nel marzo 2015 dall’équipe del Centro Aletti di Roma, coordinato da padre Marko Rupnik, che raffigura la discesa di Gesù agli inferi e la comunione dei santi. Nel prossimo mese è già da ora previsto l’arrivo di 18 gruppi. La fama di quest’opera, realizzata per desiderio del parroco don Norberto Brigatti, si allarga a macchia d’olio per l’intensità del messaggio trasmesso e per la maestosità dell’opera. Chi ha il privilegio di ammirarlo, esce dalla chiesa arricchito interiormente. Dopo l’attimo iniziale in cui l’occhio non sa dove guardare tanta è la meraviglia, si entra come in una dimensione atemporale, poiché non c’è particolare che non colpisca l’attenzione. Per la verità, poche sono le figure e la vista dei tanti pellegrini ha modo di riposarsi per fissare la bellezza dei volti e capire il significato dei gesti. Di grande effetto l’immagine di Cristo che scende negli inferi e con la sua luce immensa apre le tombe e prende Adamo per i polsi dove batte la vita ed Eva che osserva le stigmate. Di una raffinatezza particolare è la porta degli inferi creata con tasselli di diverse sfumature di verde e marrone e rappresentata dalla grande bocca di un serpente. Intensi gli sguardi. “Nel bianco e nell’oro del mantello di Cristo -spiega padre Rupnik- sono raffigurati “grappoli di santi” cari alla vostra tradizione come sant’Agostino e santa Monica, sant’Eusebio, sant’Ambrogio, sant’Ippolito e Cassiano e san Martino a cui sono dedicate le parrocchie della comunità pastorale di Casciago, Morosolo, Luvinate e Barasso. Con battesimo si entra nel mantello di Cristo e si sale a lui”. Nella sommità del mosaico il grande Cristo Pantocratore: una mano tiene la scritta “io sono la vita”, l’altra è libera, accogliente. “Quando l’uomo è innestato in Cristo, la terra vive la liberazione”. Ecco quindi le pietre luminose come l’oro e tanti smalti “materie avvolte nell’amore, destinati a sguardi belli. Al buio una candela riflette solo l’oro, l’unica materia che evoca la santità di Dio. C’è una bellezza che seduce e c’è una bellezza, come questa, che salva. Noi siamo belli perché abitati dall’amore di Dio, come lo è questo mosaico”. Il team che ha realizzato l’opera era composto da 18 artisti, tra i quali sacerdoti e architetti, di diversa nazionalità dal Brasile alla Cina. Molto interessante è stato assistere alla sua esecuzione ed osservare i tanti contenitori in cui risaltavano i sassi ritrovati alla Schiranna utilizzati per delineare la bocca del “sheol”, gli inferi, che si mischiavano con il travertino bianco, il rosso Verona, ad una pietra macedone denominata “sivec”, a smalti ottenuti con diverse fusioni. Un particolare: se l’opera la si osserva in lontananza, il piede di Cristo pare si adagi sul battistero.
Federica Lucchini