Le pagine della memoria sono lì presenti, vive e palpitanti. Ascoltarle significa raccogliere e tramandare una testimonianza che oggi è sempre più raro incontrare per ragioni anagrafiche. Il cavaliere al merito della Repubblica Franco Pedotti ha compiuto 100 anni l’11 gennaio scorso, festeggiato dagli alunni della scuola secondaria e dal sindaco Mirko Reto. E’ uno degli ultimi reduci del secondo conflitto mondiale che racconta in prima persona le esperienze vissute rivolgendo l’attenzione agli episodi salienti delle sua vita militare, iniziata nel 1940. C’è una pagina bella all’insegna dell’ospitalità vissuta a rischio della vita, che, in mezzo alla paura e al coraggio, va subito evidenziata. Franco è riuscito a salvarsi stando rinchiuso in una soffitta per un anno intero, fino al 25 aprile del 1945, grazie all’altruismo dei proprietari di una cascina ai margini del paese di Casciago. Se fosse stato catturato, lui, soldato dell’Artiglieria Celere, sarebbe stato fucilato, ma la medesima sorte sarebbe toccata anche a chi così generosamente gli concedeva di vivere. Fuori dalla soffitta comandavano i nazisti e i fascisti con la Repubblica di Salò a cui lui, secondo le loro volontà, vi avrebbe dovuto aderire. “Avevo fatto loro una promessa -spiega ricordando chi l’ha salvato- Non mi sarei assolutamente mosso, non avrei dato segno di vita. Così passai un anno a leggere nella soffitta i libri che un mio zio, sfollato da Milano a causa dei bombardamenti, mi faceva avere regolarmente: ricordo libri di storia, romanzi di Salgari. Contrassi la pleurite: un professore di origine russa di Varese una volta -solo una volta perché la seconda sarebbe stato troppo rischioso- venne a visitarmi e mi prescrisse le medicine”. Quando giunse la liberazione, con la bicicletta subito raggiunse la sua casa a Cocquio Sant’Andrea, dove l’attendeva il padre Paolo, lo stesso che un anno prima, quando era arrivato ridotto in misere condizioni da Milano, gli aveva detto che non poteva rimanere: erano giunti già i carabinieri per controllare la sua presenza e arrestarlo, in quanto risultava renitente alla leva di Salò. “Non ho mai sparato un colpo durante la mia vita militare -sottolinea- Il mio compito era di trasportare i rifornimenti da Valona o Durazzo in Albania, fino ad Atene, dove ero di stanza. Al porto del Pireo non venivano mai inviati”. Era giunto nella capitale greca con le truppe di occupazione italiana, dopo essere stato a Giannina: in realtà la nave che l’avrebbe dovuto trasportare in Cirenaica, nella Libia, era affondata. Quindi, assieme ai commilitoni, fu destinato alla Grecia. Vi giunse vestito da soldato coloniale con il cappello di sughero, la sahariana, i gambali di pelle. La città era ospitale. Il nemico era costituito dai partigiani greci. Ha perso il suo piastrino in uno scontro in Albania, dove era stato leggermente ferito: “Sparavano dalla montagna”, ricorda. Poi venne l’8 settembre, giorno dell’armistizio. “Ognuno si doveva arrangiare”, ci fu detto. Con un autocarro costeggiammo il mare Adriatico, con l’obiettivo di arrivare in Italia. Ma a Durazzo fummo catturati dai tedeschi. No, non mi maltrattarono. Ricordo che ci caricarono su una nave. Da Venezia la destinazione, su un tradotta, era la Germania. Fu durante quel viaggio che riuscii a fuggire: mentre attraversavamo la Carnia, una notte, siccome il treno viaggiava lentamente, saltai contro l’ignoto. Mi andò bene: qualche escoriazione, qualche botta di poco conto. La fortuna fu dalla mia parte: ero caduto in un prato. E qui cominciò la mia avventura solitaria. “Un giorno o l’altro mi prenderanno”: era un pensiero fisso. Viaggiavo di notte, per nutrirmi rubavo cavoli e mele. Costeggiai a piedi la ferrovia e giunsi a Tricesimo, dove nei pressi dei parenti avevano una fattoria. Appena arrivato -continua- mi accolsero felici. Mi fecero togliere subito la divisa, troppo pericolosa per l’identificazione, mi ospitarono per due settimane e avrebbero continuato a farlo se io non avessi voluto raggiungere subito casa mia a Cocquio”, termina. Finita la guerra, iniziò la sua esperienza lavorativa presso gli uffici postali: prima come impiegato diurnista, poi come verificatore e in seguito come ispettore postale. E’ in questa veste che ricevette dall’allora Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat (vice era Aldo Moro) il Cavalierato al merito della Repubblica.
Federica Lucchini
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Franco compie 100 anni, a festeggiarlo arrivano i ragazzi del paese