Sale sul tavolo con un’abilità sorprendente e si siede in un angolo. Piega la gamba sinistra in modo che il piede si avvicini al gluteo destro, mentre il ginocchio dell’altra gamba costituisce un appoggio per favorire l’atto del cucire. Una posizione da yoga per un lavoro da meditazione. E’ da una vita che Carlo Biasoli, 81 anni, sarto da uomo, ripete quotidianamente questi gesti nel suo laboratorio. Non ha bisogno di una sedia; altrimenti non avrebbe lo spazio attorno per svolgere il tessuto su cui lavora. A fine dicembre chiuderà la sua attività in viale Verbano, iniziata il primo gennaio del 1953 dal padre Giuseppe da cui ha ereditato la passione. L’incontro con lui si rivela una sorpresa, nella scoperta di un mestiere fatto di attenzione e di capacità. E naturalmente di soddisfazione nel vedere la perfezione indossata dai clienti: già lui è di una eleganza raffinata con il suo gilet rigato classico di lana pettinata mentre entra nel suo laboratorio, o, meglio, antro delle meraviglie. Sì, perché, tra scatole di bottoni, cerniere di vari colori, ferri da stiro pesanti (“Uno di mio padre arrivava a 7 kg”, ricorda) non si sa dove guardare tanto ogni oggetto qui è vissuto ed ha una sua precisa funzione. Nulla è inutile. “Ci vogliono quaranta ore per realizzare un pantalone e una giacca. Se poi si aggiunge il gilet ne abbisognano 50”, spiega mentre illustra la funzione del canape e del crine per l’interno del tessuto. Ma è proprio nel toccare i tessuti che le sue mani assumono movenze da prestigiatore. E’ sufficiente che sfiori una stoffa per capirne la bellezza e lui esprime la soddisfazione con una luminosità particolare degli occhi. Vista e tatto sono i sensi più usati. C’è poi un gesto che ripete la sapienza di un mestiere antico, che lui interpreta magistralmente: quello di sollevare ago e filo, utilizzando il ditale: ha una leggerezza e una eleganza che sembra suoni il violino. “Sono nato dentro la sartoria -sottolinea- vedendo il padre lavorare. Ho cominciato a 10 anni, durante le vacanze estive, ad usare l’ago, a fare le “marche”, le linee per mettere assieme l’abito, e il punto cavallo per non fare sfilare il tessuto”. Poi, dopo le scuole commerciali, ha frequentato a Milano scuole di taglio e modellismo. “Finii la scuola un venerdì a mezzogiorno. Mio padre mi concesse il riposo di fine settimana, poi il lunedì cominciai nel laboratorio che avevamo precedentemente: era il 6 luglio 1952. Da allora non ho mai smesso”. In tutti questi decenni ha frequentato corsi di aggionamento “perché -sottolinea- è importante aggiornarsi anche nelle piccolezze”. E i risultati si sono visti: clienti che ritornano. “Sto facendo un’ultima giacca, chiesta da un cliente quando ha saputo che termino l’attività”. Ma la soddisfazione maggiore è stata vedere in televisione un suo frac indossato dal nipote, Alessandro Cadario, mentre dirigeva l’orchestra in Senato. “Doveva essere realizzato per una persona che muovendosi aveva un dinamismo preciso”, interviene la moglie. “Non è un lavoro facile. Ho visto tante ragazze lasciarlo”, conclude. Lui la passione l’ha nel sangue, come il padre. Entrambi hanno ricevuto dall’Associazione Artigiani della Provincia il diploma con medaglia d’oro per “anzianità aziendale”.
Federica Lucchini
Il frac indossato dal nipote mentre dirigeva l’orchestra in senato
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