“Mi fermo qui!”
Mi piace immaginare che in epoche remote qualche barbuto avventuriero, dopo lungo peregrinare alla ricerca di una meta, abbia scelto le nostre zone per piantare la sua alabarda e, con soddisfazione, abbia dichiarato: “Mi fermo qui!”.
Cosa poteva offrire la nostra terra per convincerlo a fermarsi da noi? C’era acqua, c’era terra per pascolare, c’erano boschi con mirtilli, fragoline, lamponi e funghi. Ma, soprattutto, c’erano le castagne che permettevano la sopravvivenza nei lunghi mesi invernali. Poi il clima era abbastanza mite, il lago non era lontano, a Gemonio passava la strada che da Angera conduceva a Luino ed in Svizzera; complessivamente la scelta poteva considerarsi soddisfacente. Ma dove avrà piantato la fatidica alabarda? Dove avrà costruito la prima casupola? Il primo nucleo abitato potrebbe essere sorto a Cerro o nella Caldana alta, oggi zona Via S. Bernardo, o forse a Carnisio. Sicuramente avrà dovuto scegliere un luogo al riparo dalle acque che, da noi, scendendo copiose dalla montagna, rappresentavano un ostacolo più che una risorsa.
Incominciamo ad avere qualche notizia di una certa attendibilità a partire dall’epoca della dominazione romana. Si può supporre che i Romani avessero avuto nelle nostre terre una colonia agricola, ma una caratteristica che si attribuisce ai nostri luoghi è quella di essere stata una zona di avvistamento. Già ai tempi dei Romani vi erano infatti tre torri di vedetta: una in quella che oggi è la frazione Torre, una a Carnisio dove esiste oggi il Belvedere della villa Mörlin-Visconti e la terza dove ora sorge la Chiesa di Cerro.
“Tres visus“, tre punti di avvistamento, da cui, forse, il nome Trevisago. Abbiamo per la prima volta ragguagli scritti sui nostri predecessori attorno all’anno 1100 e veniamo a sapere che Caldana, Carnisio e Cerro formano tre piccoli centri abitati. I nostri paesini fanno parte in quegli anni del Contado del Seprio. Milano e Como con i Visconti da una parte ed i Torriani dall’altra intrapresero in quegli anni lunghe e sanguinose lotte per il possesso del Contado e pare che le nostre zone fossero frequentate da truppe militari tanto che per anni si è creduto che i toponimi di Caldana (caudana, cioè cucine), Carnisio (magazzino delle carni) e Cerro (magazzino della legna) derivassero da questa presenza. L’interpretazione è suggestiva, ma del tutto inattendibile.
Siamo nel Medioevo: tra la povera gente, cioè fra la quasi totalità della popolazione, il problema esistenziale era quello di riuscire a riempire la pancia e, a molti, questo problema risultava di difficile soluzione. Erano fonte di sopravvivenza l’agricoltura e l’allevamento, ma la produzione era spesso vanificata dal clima, dai soprusi, dalle scarse conoscenze. Si cercava di sopravvivere e per i ceti più umili la base dell’alimentazione era costituita dalle castagne e da zuppe e polente di miglio, avena, panico e segala. Si conoscevano poi le fave, l’aglio ed i porri. Chi poteva permetterselo, allevava animali da cortile quali galline, anatre ed oche. I buoi rappresentavano un bene inestimabile per alleviare le fatiche mentre i maiali rappresentavano un’autentica preziosità a tavola (tuttavia riservata a pochissime famiglie).
Si coltivavano le viti ed il sale era a disposizione di pochi fortunati. Un gaio ed animalesco senso della vita, prodotto dal vivere in primitivo contatto con la natura, compensava alcune miserie. Si viveva allo stato animale e, per esempio, si riposava su di un saccone di tela (bisaca) imbottito di foglie secche; quando ci si rigirava mandava un rumore simile a quello delle patatine fritte nell’olio.
C’era molta sporcizia ed erano frequenti le epidemie. Per i poveri malati c’era allora il ricovero all'”Ospitale di Cocquio”, ove operava una confraternita di suore.
Tra i nobili, cioè i ricchi, l’interpretazione della vita era invece diversa e abbastanza strana. I loro appetiti alimentari erano regolarmente soddisfatti, ma, nelle famiglie aristocratiche, convivevano in una per noi pittoresca ed inconcepibile promiscuità ferocia e carità, vendetta e pietà, ascetismo e religiosità. Per esempio i Besozzi, ricchi signorotti locali, da un lato conducevano una vita piena di sfruttamenti, prepotenze e baldorie e, dall’altro, per farsi perdonare queste loro cattive abitudini, costruivano ogni tanto, in penitenza dei loro peccati, chiese e cappelle.
Fu così che Giacomo Besozzi, titolare di molti possedimenti in Caldana, Carnisio e Cerro e, in particolare, padrone della tenuta che oggi è Villa Mörlin, decise di costruire, ai margini della sua proprietà, una cappella.
Siamo nel 1260 circa. Si legge in un documento che nell’anno 1262 “….da un Frate Leone dell’Ordine de minori conventuali di prima pietra fù instituita la Capella ò Chiesa di Carnisio con titolo dell’Assontione della Beatissima Vergine”.
Sulla costruzione della cappella è aperta una disputa non risolta. Fu costruita sulle rovine di una chiesa antica (un convento francescano? un tempio pagano?) oppure fu normalmente edificata appena fuori dall’abitato di Carnisio e su un poggio panoramico e deserto?
Gli storici propendono per la seconda ipotesi nonostante qualche elemento giochi a favore della prima.
Poi, autentica spina nel fianco per le nostre popolazioni, ogni tanto passavano eserciti con condottieri spesso mercenari i quali, avendo scelto per mestiere la guerra, cercavano di renderla il più confortevole e redditizia possibile. Questi, con vandalismi e brutalità, attuavano sistematiche spoliazioni cui seguivano inevitabili carestie.
L’ignoranza e la superstizione condizionavano inoltre in modo traumatico tutte le attività.
Si racconta che molti possidenti, in punto di morte, quando vedevano le fiamme dell’inferno spuntare in fondo al letto, si affrettavano a destinare quel che avevano alla Chiesa sperando di accaparrarsi in extremis un angolo di Paradiso. La Chiesa, quasi non fosse già ricca a sufficienza, diventò ricchissima anche da noi e i primi documenti attestanti la proprietà mostrano che quasi tutto il territorio caldanese è di sua proprietà.
Si possono far risalire al 1200-1400 i primi edifici di culto posti nel nostro territorio. Oltre alla già citata cappella di Carnisio, ve n’era una a Cerro ed i recenti ritrovamenti lo confermano. A quale periodo si può far risalire? Nella parte superiore di un affresco, da poco scoperto, si notano il sole e la luna, elementi tipici del Trecento mentre l’iscrizione I.N.R.Y., con la Y finale, è tipica del tardo Quattrocento. L’enigma resta insoluto.
Esisteva una piccola cappella anche fra Caldana e Cerro, proprio sulla strada che congiungeva le due frazioni. Era dedicata a S.Bernardo e di essa non si hanno elementi per datarla.
In tutte queste Cappelle veniva celebrata l’Eucarestia. La portavano disinvolti parroci che, secondo il costume dell’epoca, giravano la Pieve esortando alla rassegnazione e predicando (a pancia piena) la santità del digiuno.
Chiesa del Cerro
Cerro
Chiesa di Carnisio e Caldana
Piazza del Noce e sede Società Operaia di Caldana
Lago di Caldana