Non ho problemi a definirmi euroscettico, soprattutto a causa dell’enorme delusione subita da chi come me ha speso qualche anno di lavoro per contribuire a realizzare il sistema della moneta unica. Bisogna avere il coraggio di dire che il meccanismo non ha funzionato come ci si attendeva, colpa forse della complessità delle norme o forse dell’immobilismo delle autorità. La promessa era la crescita nella stabilità e invece non c’è stata né l’una né l’altra. Economia a rilento e speculazione finanziaria sono il triste scenario dell’Europa del terzo millennio, conseguenze inevitabili di regole obsolete rimaste ferme agli accordi di Maastricht del 1992. Ma ciò che sconcerta sono le reazioni ufficiali alla Brexit: Cameron è accusato di aver promosso un referendum inopportuno, cioè di aver consultato il popolo britannico; qualche maestro di pensiero politico sostiene che la maggioranza del 52% è troppo risicata per una decisione così importante. A me hanno insegnato che la democrazia consiste nel rispetto della volontà degli elettori e che se anche uno solo di questi determina lo spostamento di una decisione, il suo voto conta come quello degli altri milioni di elettori. Qualche intellettuale sostiene che il voto europeista dei giovani rappresenta le aspirazioni della nuova generazione di laureati e quello degli anziani rappresenta la retroguardia di un paese vecchio e ignorante. Io replico sostenendo che non tutti i giovani sono laureati e il campionario desolante della meglio gioventù britannica lo ritroviamo nei luoghi di villeggiatura tra vandalismi e alcolismo, mentre la retroguardia dei rincoglioniti della mia età è quella che ha prodotto i Beatles, i Rolling Stones, la minigonna e la Mini Morris, cioè la generazione che ha rivoluzionato i costumi e la società. Conclusione: temo che le intoccabili, dogmatiche e autoreferenziali autorità europee e i loro sostenitori più o meno disinteressati, lungi dall’accettare le critiche, stiano scaricando sugli altri le loro colpe e si preoccupino esclusivamente di conservare un potere sempre più logoro. (Adriano Biasoli)