Una breve pagina di padre David Maria Turoldo (da Anche Dio è infelice, San Paolo), vecchia di più di trent’anni, che sembra scritta ieri.
Di fatto, nel profondo, il problema non è Dio, ma è: in quale Dio credere. Credere in un Dio sbagliato è il più grande disastro che possa capitare: tanto più se capita a tutta una religione e a tutta una civiltà. Allora saranno sbagliate tutta la religione e la civiltà. Una situazione che oggi si fa sempre più grave; e non solo per via dell’islamismo e i nazionalismi sempre più dirompenti (e sempre intrecciati a fanatismi religiosi e razziali), ma pure per forme aberranti di “fideismi” anche cristiani: aspetto che è ancora più avvilente in quanto, se c’è un problema posto da Cristo alla fede, è precisamente quello di Dio: è sulla conflittualità del concetto di Dio che Cristo verrà condannato e ucciso. A sbagliare Dio, è sempre l’uomo che paga.
È certo questa una delle ragioni della situazione contraddittoria in cui tutti viviamo: un rilievo – questo sì – di importanza unica, se ne avessimo l’adeguata sensibilità. E cioè: 1) il problema vero non è mai stato l’ateismo; e anche oggi, e nonostante tutto, non è questo; 2) oggi si sente il bisogno di tacere su Dio: oggi il nostro concetto di Dio (che non è quello di Cristo, tutt’altro!), non regge al vaglio di una sincera critica.
Non per nulla lo stesso Paolo VI diceva di «Questi atei nobilmente pensosi alla ricerca di un Dio che noi non abbiamo saputo dare»; 3) da qui, gli atteggiamenti di oggi più diffusi e contraddittori fra loro: a) di fanatismi e di integralismi sempre più marcati, ovunque; b) di proliferazione e fungaie di gruppi di ricerca religiosa stravagante, alla maniera delle mode; c) di richiesta diffusa di una fede non meglio precisata: esistenza di fede allo stato brado (comunque in opposizione alle istituzioni): senza dire che potrebbe essere questa la domanda di fede allo stato puro; d) di situazioni che si esprimono in domande puramente etiche, di etiche sempre più infondate e arbitrarie e caotiche; per finire: e) nelle scelte di un pragmatismo assoluto che caratterizza soprattutto il campo delle politiche.