Non avrebbe potuto intraprendere un’altra strada: questa l’aveva nel sangue. Fin da bambina le barche usate dal padre Angelo, detto ‘Ngiol, e dalla madre Ercolina, avevano costituito per lei non solo un mezzo di trasporto, ma una nicchia protettiva, l’emblema di un futuro faticoso, ma gratificante. Cresciuta in quell’angolo suggestivo di Biandronno, dominato dalla cascina Camilla, voluta nel 1844 dal duca Antonio Litta Visconti Arese, proprietario e amante del nostro lago, come deposito attrezzi per la pratica venatoria, ed abitata dai genitori, era solita percorrere quella scala che conduceva all’attracco e fin da bambina con la sorella Fiorina immergersi nelle acque e divertirsi con i persici-sole (“i gubitt”) che stavano a pelo d’acqua. Raccontava con semplicità esperienze, oggi inimmaginabili, come quando sulle acque gelate, vedeva il papà, cacciatore e pescatore, spaccare con la fiocina il ghiaccio, dove emergevano le bolle, per prendere le anguille. Fin da piccola il remo le è divenuto amico, dapprima accostata alla riva e ben presto con la barca che aveva il suo nome, in legno di larice, dirigersi verso l’isola le è diventato naturale. Con gli insegnamenti dei genitori, prestando attenzione al minimo refolo di vento. Ricordava con gioia il giorno della sua cresima: lei a letto malata e il beato Cardinale di Milano Ildefonso Schuster che in auto giunse alla cascina Camilla per impartirle il sacramento. Un momento di gioia che ancora le era impresso nella mente. Con gli archeologi la frequentazione era quotidiana durante le campagne di scavo all’isola. Tanti i viaggi avanti e indietro, in attesa che arrivassero alla spicciolata o che avessero finito i lavori. Tutti tenevano la bocca cucita, non volevano che trapelasse nulla della scoperte, tranne il professor Mario Bertolone, autore della bella foto che correda queste righe. Veniva a casa loro, parlava con famigliarità in dialetto. “Il nostro lavoro è bello, ma pericoloso”, amava raccontare. Ricordava il giorno in cui si perse nella nebbia: “Era come essere ciechi- diceva- Continuavo a girare spaventata. Non sapevo dove ero! Poi finalmente ho trovato un pescatore di Cazzago Brabbia con la bussola che mi ha indicato la strada. Stavo andando in direzione di Gavirate”. Ricordava quel giorno in cui con il marito, appena intuito che si sarebbe sollevato il vento, si diresse all’isola per richiamare i visitatori al ritorno. C’erano anche da salvare le germane, che avevano legato come richiamo per la caccia. Le onde divennero molto alte, paurose, ma tra l’ansia della mamma e della sorella che vedevano il pericolo riuscì a salvarle. Erano anche loro parte del suo mondo, che da anziana vedeva tutti i giorni dalla finestra di casa sua: il lago, attracco sicuro a cui affidarsi e consegnare le sue emozioni.
Domani (22 ottobre) alle ore 14 nella chiesa parrocchiale di san Lorenzo avverranno le esequie di Carla Manfredi, 78 anni, la barcaiola che ha trasportato per anni i visitatori all’isola Virginia.
Federica Lucchini